Le riforme da fare
Dopo la vittoria del Sì è necessario procedere con una nuova legge elettorale e un ridisegno dei collegi. Occorre poi ripensare i regolamenti del Parlamento
La Giunta per il regolamento, alla luce dell’esito del referendum, è convocata stasera per far avviare l’iter di modifica del regolamento del Senato, in base alla riduzione dei parlamentari. Parte la macchina dei “correttivi”.
Romano Prodi ribadisce le sue preoccupazioni e
Stefano Ceccanti, capofila della linea ufficiale del Sì, nel Pd, tende la mano: «Quelli che hanno votato No preoccupati degli effetti una riforma monca, e quelli invece che hanno scelto il Sì convinti che fosse il primo passo debbono lavorare insieme. L’obiettivo, ora, è comune».
Va in questa direzione anche l’appello del presidente della Camera Roberto Fico, che boccia la tesi del Parlamento delegittimato: «Da questo voto è assolutamente legittimato a continuare sulle riforme. La prossima legislatura dovremmo essere pronti, dobbiamo lasciare un luogo che abbia già tutte le procedure per 400 deputati e 200 senatori, e il primo punto fondamentale è la riforma dei regolamenti», sottolinea Fico. «Si deve continuare anche con la riforme costituzionali», già all’esame del Parlamento. «Altro tema fondamentale» la legge elettorale. Bisogna lavorare su questi tre punti perché il taglio dei parlamentari ci consegna una grandissima responsabilità», conclude Fico.
Il Pd spinge per il cosiddetto Germanicum, legge proporzionale con sbarramento al 5%, per garantire la governabilità, e mini-listini bloccati. Matteo Renzi resta per il maggioritario ma non chiude, e spinge sulle riforme, a partire dalla sfiducia costruttiva e dal superamento del bicameralismo paritario, riforme “sposate” anche dall’area riformista Pd, da Lorenzo Guerini a Maurizio Martina.
«Adesso è giusto diminuire anche gli stipendi dei parlamentari, affinché siano in linea con il Paese reale che ci onoriamo di servire», insiste invece il capo politico del M5s Vito Crimi. Mentre Luigi Di Maio torna sulla riforma elettorale, per «eleggere direttamente i nostri rappresentanti ed evitare i “paracadutati” nei collegi».
Legge elettorale. Eletti scelti dai cittadini
Se diminuiscono di numero, i parlamentari, diventa irrinunciabile l’esigenza di restituire al cittadino elettore almeno il potere di selezionarli. Dibattito aperto sul modello da adottare. Si va dalla reintroduzione delle preferenze (due, con alternanza di genere) al collegio uninominale maggioritario o ai collegi ispirati al criterio proporzionale sul modello della legge del Senato e delle vecchie Province. Se invece si andrà ai listini bloccati essi dovranno necessariamente essere “corti” ossia con un numero ridotto di candidati, in circoscrizioni piccole, per venire incontro alle censure venute dalla Corte Costituzionale per la legge elettorale varata dal leghista Roberto Calderoli, il cosiddetto “Porcellum”, che prevedendo liste molto lunghe (che non consentivano all’elettore la conoscibilità e singola valutazione dei candidati) di fatto lasciavano in mano alle segreterie di partito, anche in virtù della collocazione in graduatoria, la “designazione” degli eletti, restando all’elettore la sola possibilità determinare la quota di consenso al singolo partito.
Ridefinizione dei collegi. Una legge entro due mesi
In base alla legge 51 del 2019 dal giorno della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’esito del referendum confermativo (che renderà operativa la riforma che era già stata approvata dal Parlamento) il governo avrà due mesi per adottare con legge ordinaria una modifica della composizione dei collegi, che tenga conto della nuova composizione delle due Camere, con i deputati che passeranno da 630 a 400 e i senatori eletti da 315 a 200. Naturalmente il cambiamento diventerà operativo solo la prossima legislatura, ma il Parlamento non può indugiare nell’adozione della nuova normativa per non privare in ogni momento il presidente della Repubblica di una delle sue prerogative più stringenti, ossia il potere di scioglimento anticipato delle Camere. Ipotizzando quindi la pubblicazione il primo ottobre dell’esito referendario, valutando i tempi medi occorrenti per tale adempimento, il Parlamento avrebbe tempo fino al primo dicembre per mettere a punto, insieme al Viminale, la nuova, complicatissima, “macchina” dei collegi.
Regolamenti. Parlamento più efficiente
Un metodo semplice per rendere più efficiente e produttivo il lavoro del Parlamento è la modifica dei regolamenti parlamentari, che ogni Camera adotta al suo interno. Ma, al di là dei problemi “strutturali” come il corretto andamento del dibattito – senza abusare del metodo ostruzionistico – e i “cambi di casacca” che vanno gestiti nel rispetto del principio costituzionale del divieto di vincolo di mandato, vi sono dei problemi nuovi che si vengono a creare col taglio del parlamentari. Ad esempio, con la riduzione di un terzo del loro numero, andrà probabilmente rivalutato il numero minimo per costituire un gruppo, che è di 20 deputati e 10 senatori. Per il Senato, che ha adottato di recente un nuovo regolamento, si pone adesso il problema di rendere funzionali ben 14 commissioni permanenti con soli 200 senatori, alcuni dei quali impegnati, peraltro, nell’attività di governo. È opinione diffusa che si ponga ora un’esigenza di accorpamento di materie, in modo da arrivare a una riduzione del loro numero, consentendo anche ai partiti minori di essere presenti ovunque.
Riforme costituzionali. Elettorato attivo e delegati
Ci sono alcune ipotesi di modifiche costituzionali che potrebbero essere concluse o almeno avviate in questo scorcio di legislatura. In avanzata fase di gestazione la riforma dell’elettorato attivo del Senato che abbassa l’età dei votanti dai 25 anni ai 18, già approvata in prima lettura da Camera e Senato. Se, come probabile, in seconda lettura le due Camere la voteranno con maggioranza superiore ai due terzi essa sarà operativa dal prossimo voto politico, senza dover andare al referendum confermativo. C’è poi una proposta di Federico Fornaro (Leu) che introduce la riforma della base elettiva del Senato (allargando le circoscrizioni da regionali a pluri-regionali, a garantire la rappresentanza dei partiti più piccoli) e la riduzione dei delegati regionali chiamati ad eleggere il presidente della Repubblica da tre a due. Una proposta del Pd, poi, vorrebbe assegnare al Parlamento in seduta Comune il potere di fiducia e sfiducia costruttiva, il voto della legge di Bilancio e delle risoluzioni del governo prima dei Consigli europei. Il M5s spinge invece per introdurre il vincolo di mandato.
(Avvenire)