Il fondatore di Sos Stalking, Lorenzo Puglisi, e la psicologa, Elena Giulia Montorsi, analizzano, attraverso una storia, la crudeltà e l’inciviltà del fenomeno
Al 31 agosto di quest’anno sono già 62 le donne uccise per mano di mariti o di partner respinti, in aumento del 15% rispetto alle vittime registrate nello stesso periodo dello scorso anno. I numeri, spiega l’Associazione Sos Stalking, purtroppo non sono incoraggianti: nel 2019 sono stati 95 i delitti che hanno colpito le donne, circa uno ogni tre giorni.
L’andamento come sempre oscilla da regione a regione: ad agosto 2020 Lombardia e Piemonte si sono trovate tragicamente in testa con 11 casi ciascuna, seguiti dalla Sicilia con 8 delitti e dal Lazio con 5, Veneto, Liguria, Campania e Sardegna con 4 casi per ognuna, 3 in Toscana, fino ad Emilia Romagna, Trentino Alto Adige e Puglia con 2 delitti per regione e dall’Abruzzo con 1.
Nel 2018 le donne uccise erano state 142, il 2017 ha visto 113 vittime, nel 2016 ne sono state uccise 115, 120 nel 2015, 117 donne sono state uccise nel 2014 e ben 138 nel 2013.
Secondo i dati raccolti dal Rapporto Eures 2019 su “Femminicidio e violenza di genere”, dal 2000 a oggi le vittime in Italia sono oltre 3.230, di cui 2.355 in ambito familiare e 1.564 per mano del proprio coniuge/partner o ex partner.
Un fenomeno che non conosce tregua, battute d’arresto. Un tema che riempie le pagine di cronaca dei giornali sempre di più.
L’argomento è al centro del romanzo “Soltanto mia”, edito da Mondadori e scritto a quattro mani dal fondatore di Sos Stalking Lorenzo Puglisi assieme alla psicologa Elena Giulia Montorsi.
Il libro, appena pubblicato, parla di un incontro casuale che si trasforma in ossessione, uscendo dagli schemi della narrativa tradizionale: sono infatti i due protagonisti, Gabriele e Federica, a raccontare, ognuno dal proprio punto di vista, quello del carnefice e quello della vittima, la nascita di una relazione che sfocia in tormento e violenza, tramite un avvincente gioco di capitoli alternati.
“L’idea di scrivere un romanzo a quattro mani – spiega all’AGI Puglisi – nasce dall’esigenza di consentire al lettore di entrare nella mente di tutti i personaggi coinvolti (nello specifico vittima e carnefice), così da poter apprendere intimamente quali siano le dinamiche che portano un soggetto a trasformarsi in uno stalker violento e senza freni inibitori. La storia raccontata è ispirata a fatti di cronaca realmente accaduti ed è ambientata in una Milano di periferia”.Sembra che fra i giovani, nonostante i tentativi da parte della scuola e dei genitori di educarli alla parità e al rispetto, si stia invece facendo largo la “cultura” del maschio predatore. Il caso delle ragazze di Pisticci, ad esempio, è emblematico. “Il tema è delicatissimo – aggiunge Puglisi e si lega a doppio filo alla violenza di genere, trovando terreno fertile proprio ove la cultura del rispetto e dell’empatia verso una persona dell’altro sesso non è particolarmente avvertita”.
Nel periodo del lockdown il fenomeno femminicidio è aumentato? “I numeri parlano di un leggero incremento rispetto al 2019 – spiega Puglisi – quello che spaventa, tuttavia, è il calo delle denunce che non corrisponde ovviamente al diminuire dei reati, ma purtroppo alla maggiore difficoltà che molte donne hanno incontrato nel chiedere aiuto”.
C’è il desiderio di “punire” la donna non solo con la morte ma anche lasciandola in vita togliendole però quello che ha di più caro: i figli.
Colpirla nel suo essere donna intesa come colei che da la vita. Sta cambiando qualcosa nella “strategia” maschile? “Gli agiti maschili sono gli stessi da sempre – aggiunge all’AGI Elena Giulia Montorsi – e quando si prendono in esame gli uomini già affetti da problematiche personali la dinamica è sempre la medesima, colpire dove fa più male: la libertà mentale, la libertà economica, la libertà di lavoro e la libertà come donna. Nei casi più gravi tutto questo può portare a togliere la vita a sé e ai figli con il fine ultimo di lasciare la vittima sola nella sua sofferenza per la vita se non addirittura di ucciderla subito dopo aver visto morire i suoi figli. Il patriarcato, come viene citato nel ‘Manuale per ragazze rivoluzionarie’ che consiglio di leggere a donne e uomini è sempre presente, meno delle generazioni passate, ma c’è e per quanto meno apparente lascia ancora la sua netta impronta. Gli uomini guadagnano più delle donne, sono solo le donne a occuparsi dei figli ‘perché nella loro natura’, le donne non possono vestirsi come vogliono perché agli uomini potrebbe cadere l’occhio, sono solo alcune delle moltissime sfaccettature in cui come donne ci troviamo a vivere tutti i giorni”.
Sembra che fra i giovani, nonostante i tentativi da parte della scuola e dei genitori di educarli alla parità e al rispetto, si stia invece facendo largo la “cultura” del maschio predatore.
Il caso delle ragazze di Pisticci, ad esempio, è emblematico. “Il tema è delicatissimo – aggiunge Puglisi e si lega a doppio filo alla violenza di genere, trovando terreno fertile proprio ove la cultura del rispetto e dell’empatia verso una persona dell’altro sesso non è particolarmente avvertita”.
Colpa anche dei social? “Sarei molto cauto a demonizzare i social network – suggerisce Puglisi – perché si rischia una deresponsabilizzazione di massa: è vero che i social pervadono la nostra società e il nostro modo di vivere, ma è altrettanto vero che è la famiglia, in primis, e la scuola che hanno il compito di trasmettere quei valori che servono come anticorpi ai rischi inevitabili della rete. Non credo alla ‘cultura del maschio predatore’, quanto piuttosto a un diffuso inaridimento nello sviluppo delle relazioni sentimentali, sempre più spesso schiacciate dall’apparenza vuota e dalla ricerca di sensazionalismo di facciata”.
E allora, forse ci vorrebbe un ritorno al “vecchio” movimento femminista, quello che ha segnato un’epoca e ha permesso alle donne di emanciparsi, di attuare una vera e propria rivoluzione attraverso la consapevolezza di potersi autoaffermare. Forse le donne di oggi, sono troppo deboli e invece ostentano una apparente sicurezza. Ci vorrebbe uno scossone.
“Il movimento femminista – commenta Montorsi – a mio avviso è presente, forse più in sordina che in passato, ma c’è e lavora. Ogni donna che combatte per la sua affermazione è una donna che lavora per le donne del futuro. La mia generazione può lavorare e “combattere” perché la generazione prima di noi ci ha dato questa possibilità, noi facciamo lo stesso per quelle successive. Talvolta alcune mie pazienti mi dicono che vorrebbero essere nate uomini perché sarebbe stato tutto più facile sia nella vita di tutti i giorni che nel lavoro, ma la riflessione finale è che avere l’onore di portare avanti la generazione femminile ha un senso molto più solenne rispetto alla ‘facilità’ maschile. Come ha detto Chiara Ferragni di recente: ‘Gli uomini non ci prendono sul serio’ e ha ragione, ma è un nostro dovere e un nostro diritto muoverci perché si inizi sempre di più a farlo e alla fine vedremo quanto saremo orgogliose del nostro cammino”.
Nel periodo del lockdown il fenomeno femminicidio è aumentato? “I numeri parlano di un leggero incremento rispetto al 2019 – conclude Puglisi – quello che spaventa, tuttavia, è il calo delle denunce che non corrisponde ovviamente al diminuire dei reati, ma purtroppo alla maggiore difficoltà che molte donne hanno incontrato nel chiedere aiuto”.
(Agi)