Armenia e Azerbaigian sull’orlo della guerra per la regione contesa separatista del Nagorno-Karabach.
Pesanti combattimenti sono scoppiati domenica mattina tra le forze azere e quelle del territorio separatista, che è sostenuto dall’Armenia. Ci sono vittime, sia militari che civili, anche se non c’è un bilancio complessivo: almeno 16 separatisti del Nagorno-Karabach sono rimasti uccisi e 100 feriti, l’Armenia ha riferito poi di una donna e un bambino che hanno perso la vita, mentre il presidente dell’Azerbaigian ha parlato di vittime militari e civili senza fornire numeri.
Cosa abbia scatenato i combattimenti non è chiaro: Erevan e Baku si rimpallano le responsabilità. L’Armenia accusa l’Azerbaigian di avere lanciato attacchi aerei e con artiglieria nell’ambito di una “aggressione pre-pianificata” e sostiene di avere abbattuto elicotteri e distrutto tank. L’Azerbaigian, dal canto suo, sostiene di avere subito un bombardamento e che la sua sia stata una controffensiva, negando la distruzione di suoi carri armati. Il presidente azero, Ilham Aliyev, ha ordinato l’imposizione della legge marziale in alcune regioni dell’Azerbaigian e ha invitato al coprifuoco nelle grandi città. Anche il premier armeno, Nikol Pashinyan, come pure le autorità del Nagorno-Karabach, hanno decretato la legge marziale.
Il Nagorno-Karabach, enclave armena in territorio azero, è una regione montagnosa che si estende su 4.400 chilometri quadrati a 50 chilometri dal confine con l’Armenia. È sotto il controllo di forze di etnia armena sostenute dall’Armenia dal 1994, al termine di una guerra separatista. Da allora le autorità azere ne vogliono prendere il controllo e gli ultimi scontri risalivano a luglio, quando erano morte 16 persone. Sono in stallo da anni i colloqui di pace condotti dall’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, che tenta una mediazione provando a rafforzare il cessate il fuoco del 1994 tramite il Gruppo di Minsk, con diplomatici di Francia, Russia e Usa.
Un aggravarsi del conflitto tra Azerbaigian e Armenia rischierebbe di coinvolgere altre potenze con interessi nel Caucaso. In particolare Russia e Turchia: Mosca dalla parte di Erevan; Ankara invece, che non ha relazioni con l’Armenia per via del nodo irrisolto del genocidio armeno, dalla parte dell’Azerbaigian. Non a caso entrambi i Paesi sono intervenuti. La Russia ha fatto sapere che il suo ministro degli Esteri, Sergey Lavrov, sta “mantenendo intensi contatti per indurre le parti a cessare il fuoco e avviare negoziati per stabilizzare la situazione”. Notizia accolta in modo duro dalla Turchia: “L’Armenia ha violato il cessate il fuoco attaccando insediamenti civili. La comunità internazionale deve immediatamente dire stop a questa pericolosa provocazione”, ha fatto sapere Recep Tayyip Erdogan tramite il suo portavoce.
Una mappa della regione di Limes
Appelli a fermare le azioni militari sono giunti dall’Unione europea e dall’Italia, nonché dalla Francia. “L’azione militare si deve fermare con urgenza per evitare un’ulteriore escalation” e “un ritorno immediato ai negoziati, senza precondizioni, è l’unica strada da percorrere”, ha twittato il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. E la Farnesina ha chiesto alle parti “l’immediata cessazione delle violenze e l’avvio di ogni sforzo, in particolare sotto gli auspici dell’Osce, per prevenire i rischi di ulteriore escalation”. Nell’Angelus, Papa Francesco ha detto che prega per la pace: “Chiedo alle parti in conflitto di compiere gesti concreti di buona volontà e fratellanza che possano portare alla pace non con mezzi violenti ma con il dialogo. Preghiamo per la pace nel Caucaso”.
Mkhitaryan contro Baku
Il calciatore armeno della Roma Henrikh Mkhitaryan, da sempre impegnato politicamente in favore del suo Paese, a poche ore dalla sfida contro la Juventus, ha commentato così: “Mi sono svegliato questa mattina e ho appreso dell’attacco su larga scala dell’esercito azero che prende di mira la popolazione civile a Stepanakert e nelle aree circostanti. Abbiamo il diritto inalienabile di vivere nella nostra patria senza una minaccia per l’esistenza. I nostri figli hanno il diritto di vivere in pace piuttosto che nascondersi nei rifugi. Sono sempre al fianco della mia nazione e chiedo alla comunità internazionale di alzarsi con urgenza e di aiutare a fermare le azioni militari contro la pace e la sicurezza regionali”.
L’anno scorso Mkhitaryan, che giocava nell’Arsenal, aveva saltato la finale di Europa League contro il Chelsea perchè si sarebbe disputata a Baku, capitale azera, per motivi di sicurezza dovuti alle dispute politiche tra i due Paesi e alle idee del calciatore
(La Repubblica)