Dal Malawi al Ruanda, il continente accelera con creatività, e con i missionari in prima fila, per non perdere un’intera generazione. Padre Gamba: «Le lezioni? Per sei mesi le abbiamo fatte via radio»
Riportare i ragazzi a scuola, andandoseli a riprendere nei campi, premendo per lo scioglimento di matrimoni precoci, cercando di supplire con una didattica a distanza rudimentale laddove le porte degli istituti restano sbarrate. Al tempo del Covid-19, l’Africa che cerca di non perdere una generazione e di non fare passi indietro sul fronte di istruzione e sviluppo è l’Africa delle mille esperienze portate avanti sia dagli insegnanti locali che da missionari, cooperanti, semplici volontari. Finiti i lockdown, il continente registra un numero di casi relativamente contenuto (1,4 milioni, con 34.600 morti), seppure resta l’incertezza sulla quantità di casi non tracciati. Anche a queste latitudini – tranne in alcuni Paesi come Sudan e Niger, colpiti da gravi inondazioni – ora è il momento del ritorno a scuola. Laddove scuola, per molti, continuerà ad essere una seggiola sotto un albero, un quaderno coi fogli da centellinare, una radiolina con le lezioni trasmesse a migliaia di chilometri di distanza.
Balaka, piccolo e povero centro nel sud del Malawi. Il rapporto di polizia di una zona di periferia elenca 78 ragazzine date dalle famiglie in matrimonio, ragazzine che prima frequentavano la scuola e che, con la chiusura degli istituti causata dal coronavirus, per i genitori erano diventate un “lusso” da cedere in fretta in cambio di una dote. «Ne abbiamo riportate a casa 51, ma 15 di queste erano incinte», spiegano le autorità locali. In tutto il Paese se lo scorso anno le gravidanze precoci tra marzo e agosto erano state 6mila, quest’anno se ne sono registrate 20mila. E ai ragazzi non è andata meglio. «In tanti sono stati costretti ad andare in cerca di lavoro, generalmente piccolo commercio, lavori pesanti, sempre sfruttati – sottolinea il missionario monfortano Piergiorgio Gamba, una vita passata in Malawi –. Ragazzi e ragazze che non torneranno più a scuola. Ci sentiamo così come i primi missionari, quando a uno a uno si cercava di portare i ragazzi in classe».
Iniziata il 7 settembre per i ragazzi di terza media e quarta superiore, la scuola per tutti qui riaprirà il 12 ottobre. Nel frattempo il Cecilia Youth Center di Balaka, centro giovanile anima della cittadina, continua a essere un’ancora di salvezza per bambini e ragazzi. «Per sei mesi ogni giorno abbiamo seguito il programma scolastico via radio, consegnando libri da leggere a casa e premiando i compiti migliori con dei piccoli animali da allevamento – spiega padre Gamba –. Abbiamo offerto pasti per tutti, ben sapendo che la colazione distribuita nelle scuole è anche l’unico pasto sicuro per molti bimbi, in assenza del quale andava trovata un’alternativa. Abbiamo anche avviato una scuola di cucito per preparare le mascherine da distribuire gratuitamente». «Ora con il ritorno in classe l’impegno è di usare tutte le raccomandazioni che tengano lontano il virus e permettano un ritorno alla vita normale dei villaggi della savana – sottolinea padre Gamba –. In aula possono entrare solo pochi studenti ben distanziati e le nuove aule che mancano sono gli alberi nei dintorni della scuola. Ma abituati a lottare contro la malaria endemica, il colera e l’Hiv i ragazzi del Malawi non hanno paura e sanno di riuscire anche questa volta».
Qualche migliaia di chilometri più a nord, in Ruanda,
Agnes Mukantibenda, 50 anni, madre di cinque figli, nonostante pandemia e restrizioni continua a essere il punto di riferimento del suo villaggio, Munyinya, nel distretto di Gicumbi. Ogni giorno visita almeno una dozzina di famiglie, distribuisce pacchi alimentari e aiuta i bambini a seguire le lezioni radiofoniche trasmesse dal ministero dell’Istruzione. Alle famiglie che non possiedono una radio Agnes ne consegna una, grazie a un progetto di Fondazione Avsi finanziato dall’Unione Europea che promuove anche la produzione di mascherine e detergenti coinvolgendo 450 donne. In aree così remote, anche in un Ruanda tecnologicamente avanzato la radio resta una risorsa preziosa per imparare e per avere informazioni sulla pandemia. In attesa della riapertura delle scuole, Agnes è tra i preziosi 91 volontari di comunità che accompagnano l’istruzione dei bambini e il sostegno ai genitori, spesso analfabeti, in questa fase di incertezza.
Ancora più a nord, nella remota regione ugandese della Karamoja,
ci sono ragazzi che fanno due ore di cammino per studiare. Al Centro Giovani che l’Ong Africa Mission Cooperazione e Sviluppo ha avviato nella cittadina di Moroto, ogni giorno una ventina di studenti seguono le lezioni del doposcuola avviato da don Sandro De Angeli, sacerdote fidei donum della diocesi di Urbino.
In Uganda
le scuole, chiuse dal 20 marzo per le norme anti-contagio, verranno riaperte parzialmente da metà ottobre ma solo per gli studenti degli ultimi anni delle primarie, delle secondarie e delle terziarie; gli altri dovranno attendere gennaio 2021 ed è per questo che, due mesi fa, don Sandro ha iniziato questa esperienza. «Abbiamo riaperto con le dovute accortezze – sottolinea il missionario –. Ogni giorno dalle 9 alle 12 viene un gruppo che è seguito dai nostri educatori: il lunedì quello della scuola primaria, il martedì quello della secondaria e così via, fino al venerdì. Diversi ragazzi arrivano anche da lontano svegliandosi all’alba per raggiungere Moroto: non sono tantissimi perché dobbiamo garantire un adeguato distanziamento, ma la loro presenza ci fa capire che stiamo andando nella direzione giusta per dare una mano al Paese».
(Avvenire)