Nel Paese asiatico viene denunciata una violenza sessuale ogni 15 minuti; Amnesty costretta a lasciare dopo “caccia delle streghe” dal governo. Proteste in piazza
Un’altra donna Dalit, la comunità degli ‘intoccabili’, lo scalino più basso del sistema delle caste indiano, è morta dopo essere stata vittima di uno stupro di gruppo. Lo ha comunicato la polizia. La ragazza, 22 anni appena, è la seconda vittima in una settimana della violenza diffusa contro le donne in India. La giovane è stata stuprata da due uomini martedì nel distretto di Balrampur, nello Stato settentrionale dell’Uttar Pradesh, ed è deceduta durante il trasferimento in ospedale.
Pochi giorni fa una 19enne era deceduta in seguito alle violenze sessuali subìte da un branco di uomini di casta superiore. La vicenda aveva generato indignazione e proteste, affiorate proprio negli stessi giorni in cui Amnesty International ha denunciato che non potrà più lavorare in India: dopo anni di “minacce, intimidazioni e molestie”, i conti di Amnesty India sono stati congelati senza alcun preavviso. Secondo l’Ong, è la rappresaglia del governo di New Delhi che sta portando avanti una “caccia alle streghe” contro i gruppi a tutela dei diritti umani.
L’ultima vittima del branco è stata lasciata in fin di vita davanti alla sua abitazione e i medici non hanno potuto fare molto per salvarla. “Un conducente di risciò l’ha riportata qui e l’ha scaricata davanti a casa nostra. Mia figlia a malapena si alzava o riusciva a parlare”, ha raccontato disperata all’emittente Ndtv la madre della 22enne. I due sospetti sono già stati arrestati con l’accusa di stupro di gruppo e omicidio e potrebbero essere processati in tempi rapidi da un tribunale speciale.
Il secondo tragico fatto di cronaca giunge mentre il Paese è ancora sconvolto per la drammatica vicenda di un’altra ragazza Dalit di 19 anni, sempre nello Stato dell’Uttar Pradesh, violentata lo scorso 14 settembre da quattro uomini di una casta superiore e rimasta paralizzata a causa delle ferite inflitte. E’ stata poi ricoverata in un ospedale di Nuova Delhi, a 200 km dal suo villaggio di origine nel distretto di Hathras. L’annuncio della sua morte, dopo due settimane di agonia, ha scatenato nei giorni scorsi manifestazioni nella capitale e in diverse città dello Stato settentrionale.
In questi due ultimi casi l’ulteriore ‘aggravante’, oltre al fatto di essere donna, è stato quello di essere parte della casta dei Dalit, o Paria, ovvero tra i cittadini indiani più oppressi
da una spietata gerarchia che li condanna in fondo alla scala sociale. Nonostante leggi che sulla carta li proteggono, per la popolazione Dalit, circa 200 milioni di persone, le discriminazioni sono una realtà quotidiana.
Più in generale l’India è uno dei Paesi al mondo più violenti nei confronti della componente femminile di ogni età: uno stupro viene denunciato in media ogni 15 minuti, ma la maggior parte delle aggressioni non fa nemmeno notizia. Lo stupro e la violenza sessuale sono sotto i riflettori da quando, nel dicembre 2012, una studentessa 23enne è rimasta vittima di uno stupro di gruppo in un autobus a Delhi. Un crimine diventato il simbolo del problema delle violenze sessuali in India che fece il giro del mondo e portò alla modifica delle leggi allora vigenti, ma finora senza alcun risultato.
Secondo dati ufficiali, nel 2019 in media sono stati riferiti 87 stupri al giorno
e le violenze ai danni delle donne aumentano in media di 7% l’anno. Ma secondo alcuni esperti ed attivisti il numero effettivo sarebbe molto più elevato in quanto non tutti gli stupri vengono formalmente denunciati. E ora, a far temere ulteriormente per la difesa dei diritti umani delle donne, ma non solo, è la sospensione delle attività di Amnesty International nel Paese. Una decisione presa dall’ong che denuncia la “caccia alle streghe” del governo di New Delhi contro i gruppi per i diritti umanitari.
Secondo l’associazione umanitaria, il congelamento dei conti è arrivato “non per caso” dopo la pubblicazione di una serie di rapporti in cui ha denunciato “gravi violazioni dei diritti umani” da parte della polizia durante scontri settari avvenuti a febbraio nella capitale e da parte delle forze di sicurezza in Kashmir. Repressione e paura sarebbero crescenti in India, e aggravano ulteriormente l’esistenza della popolazione che sta combattendo contro la pandemia di Covid-19, che fa della potenza asiatica uno dei Paesi più colpiti al mondo, con oltre 6,23 milioni di casi e 97.497 morti.
(Agi)