23 Novembre, 2024
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Sgarbi: Ferrara intitoli una via a Italo Balbo «italiano positivo». No, fu uno squadrista

Il critico d’arte lancia una crociata per il gerarca. Falso dire che si oppose alle leggi razziali del 1938: fu un efferato squadrista. Lo dimostra la Storia

Nonostante Steve Bannon abbia sostenuto più volte il contrario, il populismo odierno non semplifica una tradizione politica avulsa dai suoi stessi elettori e sostenitori, ma la banalizza terribilmente. In Italia le motivazioni dei rinnovati “nazionalpopulisti” strumentalizzano qualunque argomento di dibattito appiattendolo al contingente e sacrificandone il passato. Sottovalutano simboli che racchiudono secoli di sofferenza – perfino il fascio littorio e la croce uncinata – diffondono fake news per ottenere il monopolio dei media e riscuotere la fedeltà degli algoritmi, tradiscono il vero storico, rischiando che le ombre di un tempo iniquo e dispotico tornino a manifestarsi. E tutto perde inesorabilmente di significato, assistendo alla banalità di un male che non può prendere coscienza delle proprie azioni. «La tentazione di cancellare secoli di procedure costruite a garanzia delle minoranze, protette dallo stato di diritto e non dalla mera decisione a maggioranza – sostiene Stefano Feltri in Populismo sovrano (Einaudi, pp. 152, euro 12) – si diffonde anche tra gli intellettuali. C’è sempre stato un filone di argomentato scetticismo nei confronti della capacità della democrazia di mantenere le proprie promesse, ma ora certe provocazioni iniziano a sembrare proposte in cerca di qualcuno abbastanza radicale da attuarle».

Un esempio emblematico è stata l’ultima crociata di Vittorio Sgarbi a Ferrara, secondo il quale Italo Balbo rappresenta «una dimensione di italiano totalmente positiva».

La boutade ha seguito a ruota l’idea del critico di organizzare una mostra a palazzo Koch sul Balbo trasvolatore, evitando qualsiasi riferimento ai crimini del Fascismo, agli omicidi e ai violenti pestaggi alla luce del sole guidati dal gerarca in camionetta, ripresi puntualmente da Antonio Scurati in M. Il figlio del secolo (Bompiani, clicca qui per la notizia). Tuttavia pare impossibile scindere certe vedute di Balbo da quello che commise per ottenere il potere e per imporsi sul popolo italico di fianco a Mussolini. Oltre all’aspro disappunto, la trovata ha sollevato un amaro stupore, ma Sgarbi era già giunto a tanto chiudendo la campagna elettorale per il Comune emiliano, lo scorso anno, quando indossò un lungo cappotto grigio in piazza Trento Trieste, gridando dal palco che fosse un omaggio a Balbo, al suo spessore culturale dimenticato, e che fosse pronto a metterne in salvo la memoria «dalla faziosità di certo antifascismo».

Faziosità o meno, Italo Balbo fu uno dei più efferati e crudeli squadristi che garantirono il Ventennio, e nonostante Sgarbi abbia affermato sui quotidiani ferraresi che fu «un fermo oppositore delle Leggi Razziali del 1938», si sporcò ripetutamente con il sangue dei massacri.

Senza tralasciare che Balbo mai prese pubblicamente le distanze da quelle leggi disumane, tanto meno si conoscono documenti interni al Partito Nazionale Fascista che avvallino il falso sgarbiano. Ma non è sufficiente per il critico di Ro ferrarese, nonché attuale presidente di Ferrara Arte. E se una settimana fa giudicava «gli elementi negativi del tutto marginali», riferendosi ai trascorsi di Balbo, in questi giorni ha replicato sulla stampa «chiedendo al Sindaco e all’ufficio Toponomastica del Comune di Ferrara di istruire la pratica per dedicare una strada o una piazza all’universalmente ammirato trasvolatore». Sebbene in Italia non sia la prima volta che Balbo torni a svettare in qualche vicolo – a Itri, Minturno, Castel Volturno e a Monteroduni – sarebbe come ricordare Einstein perché giocava mirabilmente a scacchi. E basta.

Quadrumviro della marcia su Roma lasciò il segno a Ferrara,

specialmente nel 1921, annus horribilis: violenze generalizzate, alcool e cocaina sino all’alba erano il passatempo preferito dai balbiani. Spesso le temute spedizioni punitive partivano dopo le bevute di Cherry Brandy davanti al Castello Estense. Trasvolatore sì, ma anche colonialista, lobbista e protettore, Balbo si preparava alla mischia con il manganello rinforzato in piombo o addirittura con la mazza ferrata. Gli storici sanno che devono restituire la complessità dell’individuo e del suo periodo, contestualizzandolo nelle mani del Fascismo. Ma non c’è alcunché da elogiare né da revisionare; la storia ha già parlato in modo molto chiaro. Tra il 1920 e il ’23 Balbo pianificò e condusse con spietato rigore l’annientamento del movimento bracciantile nelle campagne emiliane, e fu individuato quale principale mandante dell’omicidio del prete argentano don Giovanni Minzoni. Molti comunisti ferraresi erano fascisti in precedenza – non è un segreto – e questo ha provocato un grande rimosso nella figura di Italo Balbo; probabilmente la soluzione starebbe nell’uscire dalla dicotomia tra celebrazione e oblio.

L’assuefazione a provocazioni che alzano il limite di sopportazione dell’opinione pubblica, in mezzo a tanto rumore, sfianca gli oramai divelti cancelli della morale comune: «Quando si rivedono aggirarsi i fantasmi dell’antisemitismo e della xenofobia, è giusto domandarsi se non si è andati al di là del consentito», asserisce Pietro Folena in relazione al suo nuovo Servirsi del popolo (La nave di Teseo, pp. 224, euro 18) e alla perdita di una religione civile che la nostra Costituzione tramanda, ma che le ultime generazioni di politici non hanno saputo cogliere e di conseguenza incarnare, raccontare e realizzare tra le persone.

Se il capoluogo estense da un lato si prepara a consegnare la cittadinanza onoraria a Liliana Segre, dall’altro prepara il terreno per riqualificare Italo Balbo, per riportarlo tra le vie cittadine. C’è chi non accetta questo genere di contraddizioni, però, e non crede avvengano ingenuamente o senza secondi fini. Diego Marani, presidente del Centro per il libro e la lettura del Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo Mibact, si è espresso duramente contro l’inestinguibile fascismo della sua terra, associando la riabilitazione della figura di Balbo a quella di Rossoni. Marani ha scritto contro «la celebrazione come benefattore del gerarca Edmondo Rossoni che costruì Tresigallo. Rossoni fu innanzitutto un fascista, condannato all’ergastolo dalla Repubblica che espropriò terre, derubò e si arricchì a spese dello Stato per costruire il suo feudo tresigallese. E fu anche uno dei firmatari delle leggi razziali che mandarono nei campi di sterminio migliaia di ebrei italiani». La verità, o ciò che si avvicina il più possibile a una visione coerente, dipende sempre dai fatti e mai dalle opinioni.

A mettere il punto sulla questione ferrarese sono stati «il profondo rammarico» e la costernazione esternati da Paola Balbo in merito alla bagarre mediatica fomentata da Sgarbi.

La moglie di Paolo Balbo, figlio dello squadrista e scomparso alla fine del 2016, da tre anni sta accompagnando presso l’Istituto di Storia Contemporanea la costituzione di un fondo che raccoglie documenti, pubblicazioni, manoscritti e dattiloscritti del gerarca; in sostanza la sua intera biblioteca. Il fondo, non a caso intitolato alla “Famiglia Paolo Balbo” e non alla memoria di Italo, è nato per predisporre all’attenzione di ricercatori e studiosi una quantità imponente di materiale che mette a fuoco un’epoca travagliata, nonché l’attitudine al mecenatismo di Balbo e le personalità culturali che frequentava privatamente. Sin dall’inizio l’attività di archiviazione è stata svolta dall’Istituto senza proclami e gestendo la comunicazione in maniera equilibrata. L’equivoco strumentale è scaturito da un annuncio rilasciato durante una conferenza stampa incentrata sulla rinascita culturale di Ferrara dallo stesso Sgarbi, il quale rivelava il progetto della mostra – curata da Giordano Bruno Guerri – fosse in collaborazione con l’Istituto e la famiglia. E per quanto la suddetta collaborazione sia stata smentita in toto, il critico aveva già attratto orecchie e riflettori su di sé.

(Globalist)

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