20 Luglio, 2024
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Quante ore si passano in macchina per un tampone. L’Odissea dei drive in

Code infinite, giornate intere passate in attesa del check sanitario che accerta la positività o meno al Sars-Cov-2. Nel Lazio come in Lombardia, in Veneto come in Toscana

Ore in coda ai drive in, giorni per avere il risultato, centralini telefonici in tilt, informazioni non sempre chiare, modalità e regole che cambiano con disorientante frequenza. I casi di Covid in Italia si impennano e in tutto il Paese è partita la caccia al tampone, ma il sistema (anzi, i sistemi, visto che ogni Regione fa a modo suo) sembra evidentemente in sofferenza.

Lo dimostrano i numeri: se è vero che ieri è stato ancora ritoccato il record di tamponi fatti, arrivato a 125mila in un giorno, la percentuale positivi/persone testate è in preoccupante crescita, dallo 0,5% di questa estate al 4,58% di ieri. Segno che i test non riescono più a prevenire le catene di trasmissione ed è cominciata la fase dell’”inseguimento” ai positivi, che sono sempre di più rispetto ai tamponi fatti.

Il caso Lazio

Un problema emerso con chiarezza nel Lazio, che per prima ha puntato sul sistema dei drive in. Efficiente e sicuro nei mesi di bassa marea, ora che l’onda si ingrossa sembra segnare il passo: troppe macchine, troppe ore di coda, anche sei o sette, e tempi di attesa per avere il risultato che arrivano anche a 5 o 6 giorni, troppi per garantire un efficace contenimento. Per questo proprio oggi l’assessore D’Amato ha annunciato il potenziamento dei drive in, ad oggi a quota 38 in tutta la regione. L’obiettivo è quello di raddoppiare la rete, sia in modalità pedonale che con automobile, in particolar modo nella città di Roma dove ne sono previsti almeno altri 6 nei prossimi giorni.

Per sgravare il sistema dall’enorme mole di tamponi da processare (solo ieri ne sono stati fatti 12mila) da pochi giorni la Regione ha aperto anche ai laboratori privati, anche se per ora solo per i test rapidi, cioè i tamponi antigenici in grado di dare il responso in meno di mezz’ora, usati da mesi negli aeroporti e da poco anche nelle scuole ma ritenuti ancora meno affidabili di quelli molecolari (in caso di positività serve la conferma con il tampone ‘standard’). Al momento sono 68 i laboratori accreditati, a tariffa concordata (22 euro), ma vista la domanda in aumento anche nel privato si rischia di attendere il proprio turno anche diversi giorni.

Che la situazione sia complessa lo conferma anche Pier Luigi Bartoletti, segretario della Fimmg di Roma e responsabile delle Uscar, le squadre di “cacciatori di positivi” nel Lazio. “Le file ai drive in? Erano prevedibili”, afferma. “Lo avevo detto a luglio all’assessore D’Amato che se l’infezione diventa a trasmissione intrafamigliare aumenta a dismisura la richiesta di tamponi. Per di più ormai la risposta al test arriva mediamente dopo 5-7 giorni, troppo per un contact tracing efficace. Consideriamo che abbiamo una percentuale di positivi del 2,6% rispetto ai tamponi, quindi accelerare i tempi consentirebbe anche di ‘liberare’ quel 97,4% che è negativo, e in attesa del referto non può uscire e tornare al lavoro”.

Inoltre i pediatri, per certificare il rientro in classe, “chiedono tutti o quasi di fare il tampone – dice Bartoletti – e anche questo era prevedibile, la norma induce a fare questo”. Risultato: “Nei drive in la situazione è pesante, la richiesta è decuplicata e il personale è sempre lo stesso“. E il rischio di perdere il controllo dei link epidemiologici è alto: “Non è più il tempo dei cluster circoscritti, il virus è diffuso sul territorio ed è cruciale bloccare i contatti per tempo”.

Le squadre Uscar nel Lazio, prosegue Bartoletti, sono composte complessivamente da 800 unità tra medici e infermieri, un numero sufficiente, ma scarseggiano i kit per fare i test: “I soldati ce li abbiamo – sintetizza – ma ci mancano i fucili. Ora il commissario Arcuri ha fatto un bando da 5 milioni per l’acquisto dei kit, li aspettiamo dalla settimana prossima”.

La svolta dei medici di famiglia

Ma la grande novità, annunciata proprio ieri, è che a breve potrebbe arrivare il via libera per consentire ai medici di famiglia di fare i tamponi rapidi e i test sierologici direttamente a studio. Il sistema sarebbe molto più rapido: chi sospetta di essere positivo può chiamare il suo medico, che lo convoca per il tampone (“o viene lui per farlo a domicilio”, spiega Bartoletti) oppure, se non è tra i medici aderenti, lo indirizza altrove.

Nel giro di poco tempo viene svolto il test e la risposta è rapida, evitando il collo di bottiglia dei drive in: “Si può dire – sintetizza Bartoletti – che se il drive in è come l’aorta, noi siamo come i capillari. Se si crea un sistema a rete, l’aorta si svuota dall’eccesso di sangue”. Il problema, osserva il medico, è anche psicologico: a ogni piccolo sintomo molti chiedono il tampone, “il rischio è l’effetto psicosi”.

Cui si somma l’inevitabile scelta difensiva del medico, soprattutto del pediatra, che non azzarda un certificato di guarigione senza il conforto del tampone, anche se si tratta palesemente di un normale raffreddore di stagione. Per evitare il collasso, non a caso l’assessore D’Amato ha appena chiesto ai medici di famiglia di dare priorità assoluta al test rapido, “mentre il test molecolare – scrive la Regione – deve essere dedicato a conferme di eventuali positività al tampone rapido antigenico”.

Tempi lunghi in Lombardia

Anche in Lombardia i tempi rischiano di essere lunghi: “Anche negli ospedali accreditati – rileva Paola Pedrini, segretario regionale Fimmg – le attese possono arrivare a 5-7 giorni”. In questo caso il problema più che nei tempi di processazione in laboratorio è nella comunicazione: “Il referto magari è pronto – racconta la dottoressa – ma passano giorni prima che venga comunicato al paziente. È un problema di carenza di personale amministrativo. In alcuni casi siamo noi che dobbiamo chiamare il laboratorio per sollecitare il risultato. Anche perché nel frattempo una persona rimane isolata una settimana, e se è negativo sono sette giorni buttati inutilmente”.

Il sistema è diverso da quello del Lazio: attualmente i medici lombardi non prescrivono direttamente il tampone ma ne fanno richiesta all’Ats, che si attiva per effettuare il test, in teoria entro 24 ore. Dal 15 ottobre tuttavia sarà proprio il medico a fare la prescrizione. Non ci sono ancora test rapidi validati a livello regionale, in compenso però, a differenza del Lazio, nei laboratori privati si può prenotare il tampone standard, quello molecolare: sono 30 quelli accreditati, e con un centinaio di euro si ha il risultato in giornata.

Il sistema non punta sui drive in, che sono solo presso alcuni ospedali milanesi e sono dedicati sostanzialmente ai bambini da testare dopo casi di positività a scuola o dopo sintomi sospetti, e anche qui le segnalazioni parlano di 6-7 ore di attesa.

Problemi anche in Campania, anche ieri la regione con più casi (544, record di sempre), ma con un numero di tamponi ridotto, appena 7.504. La Lombardia, per dare un paragone, registra 520 casi e 21.500 tamponi. E i tempi di attesa schizzano anche verso i 10 giorni. Anche se “c’è l’ipotesi – spiega il segretario Fimmg Campania, Federico Iannicelli – di introdurre un test salivare rapido che in mezz’ora è in grado di dare un risultato. Sarebbe fondamentale ora che arrivano le influenze, per consentirci di distinguere subito le influenze dai casi Covid”.

Ipotesi sottoposta proprio oggi dal governatore De Luca al ministro Speranza. Vista la situazione di stress del sistema, inevitabile la decisione di ieri dello stesso De Luca di autorizzare le strutture private a effettuare tamponi ai cittadini, con obbligo di comunicare gli esiti, positivi e negativi, alla piattaforma sanitaria regionale. Mentre ai direttori generali viene chiesto di comunicare l’esito dei test in 24/48 ore massimo, con particolare attenzione ai casi sospetti nelle scuole.

Criticità anche in Toscana, dove il sistema dei drive in risulta in sofferenza soprattutto per l’afflusso massiccio, come ovunque, degli studenti, a causa delle richieste dei pediatri che non si fidano a rimandare a scuola un bambino senza la conferma del test.

Va meglio in Veneto, la regione che per prima ha puntato sui tamponi come arma cruciale per il contrasto all’epidemia grazie al “modello Crisanti” ma anche al decisionismo del governatore Zaia: anche ieri 15mila tamponi, e oltre 2 milioni complessivi, seconda solo alla Lombardia. Poche le segnalazioni di criticità, ma è plausibile una prossima sofferenza del sistema, tanto che lo stesso Zaia da settimane sta puntando tutto sui test rapidi, il più attendibili possibile.

In leggero affanno l’Emilia Romagna, dove si registrano attese dai 2 ai 4 giorni per l’esito del tampone, ma che dal 19 ottobre consentirà ai cittadini di effettuare il test sierologico gratis in farmacia. Mentre dal 26 ottobre arriveranno i tamponi rapidi in scuole e ambienti lavorativi. Prosegue la caccia al test anche in Liguria: nel laboratorio allestito alla Commenda di Pré, nel cuore di Genova, unico ad accesso libero e gratuito, la situazione è al limite con 250 e più accessi al giorno. Mentre per gli studenti il punto di riferimento regionale è il Gaslini. Chi vuole può scegliere il privato, con i laboratori che effettuano sia tamponi antigenici che molecolari: circa 50 euro i primi, un centinaio di euro i secondi.

(Agi)

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