Era una giornata molto felice quell’11 ottobre del 1960 in casa Rai. Il giorno prima a Trieste, dove si era svolta la 12esima edizione del prestigioso Prix Italia, il premio per il miglior documentario era andato a Ugo Gregoretti per il suo Sicilia del Gattopardo, un prodotto Rai destinato a rimanere nella storia. La sera, però, era in programma un esordio decisamente delicato. Andava in onda la prima trasmissione politica della tv italiana: Tribuna elettorale.
L’occasione era offerta dalla tornata di elezioni amministrative previste il 6 novembre. Ma il progetto era di più ampio respiro. Come spiegò Gianni Granzotto, primo conduttore del programma nella sua introduzione, e come ci illustra Edoardo Novelli nel suo fondamentale volume La democrazia del talk show, Tribuna elettorale si poneva come uno “strumento di inclusione degli italiani nella nuova cittadinanza repubblicana, mezzo per allargare i confini della democrazia rappresentativa”.
Era insomma la prova generale delle tribune politiche che avrebbero segnato per vent’anni la vita e il costume politico nazionale. Tribuna politica sarebbe iniziata, infatti, pochi mesi dopo, nell’aprile del ’61. Quella prima edizione di Tribuna elettorale si articolò in nove appuntamenti, riservati alle “conferenze stampa” del Ministro degli interni (che la inaugurò), del Presidente del Consiglio e dei segretari dei sette partiti che avevano ottenuto nelle precedenti elezioni politiche una rappresentanza in più di una regione. I partiti che ebbero accesso alla tv furono Dc, Msi, Pci, Pdium, Pli, Pri, Psdi e Psi.
Come si vede, le regole dettate dalla Commissione parlamentare di vigilanza sulle radiodiffusioni erano molto precise, sia per quanto riguarda la partecipazione sia per i tempi e i modi dello svolgimento: dieci minuti per l’introduzione affidata al politico di turno e poi le domande dei giornalisti e le risposte concentrate in un tempo prestabilito e scandito da una clessidra. Governava il tutto l’elegante, inflessibile moderatore. Il ruolo che la sera dell’11 ottobre toccò a Gianni Granzotto fu affidato in quelle prime stagioni anche a Giorgio Vecchietti.
Tra i giornali rappresentati la sera della prima c’erano La Stampa, L’Unità, Paese sera, Il giornale del mattino, L’ora e La Giustizia con una figura destinata a diventare molto popolare per le sue polemiche nei confronti degli esponenti della sinistra, Romolo Mangione. Il successo fu notevole sia a livello politico-istituzionale, sia – meno prevedibilmente – a livello di critica e di pubblico. Solo il democristiano Gonella rimase fiero avversario dell’iniziativa e accusò i compagni di partito di aver portato nel cuore degli italiani “le ballerine e Togliatti”. Ma non fu certo la sua opposizione a impedire quel matrimonio all’italiana tra politica e televisione che dall’11 ottobre 1960 andò avanti felicemente per molti anni.
Inevitabile appare un confronto tra quel tipo di trasmissione e i talk politici tanto diffusi da anni su tutte le reti. Al di là delle ovvie differenze di stile, di linguaggio e di intenti (difficile pensare che i talk odierni rispondano a progetti alti e complessi di allargamento della partecipazione democratica), è opinione comune che vi siano due sostanziali trasformazioni.
La prima è il ribaltamento dei rapporti tra politica e televisione. Se con le “tribune” la politica entrava nel palinsesto con i suoi schemi, i suoi riti, le sue figure, imponendoli alla televisione, nei talk odierni è la televisione a dettare alla politica le sue regole, i suoi modelli, le sue forme. La seconda riguarda l’immagine dei politici che, per quanto autorevoli e popolari, nelle “tribune” erano dei rappresentanti di un partito, di un progetto politico, di un’idea, di un’appartenenza.
Oggi al contrario il talk comunica innanzitutto la figura del politico, la sua personalità, la sua immagine, il suo corpo. E’ la celebre personalizzazione della politica che, a sua volta, ha, simbolicamente, una data di inizio: quella tarda serata del 19 settembre ’77 quando in una puntata di Bontà loro Giulio Andreotti fu ospite del salotto di Maurizio Costanzo. Con lui c’erano il famoso press agent Enrico Lucherini e Giovanna Mizzoni, una balia asciutta abruzzese. Nonostante fosse il Presidente del consiglio era evidente dal contesto che la presenza di Andreotti non era legata alla sua carica istituzionale ma aveva ben altro significato e, in una certa misura, segnava la fine dell’epoca gloriosa delle tribune.
FONTE: IL FATTO QUOTIDIANO