21 Dicembre, 2024
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«Obiettivo donne e giovani per superare lo svantaggio al Sud e nelle opportunità»

Welfare, l’opinione del professor Rosina

 

C’è una grande occasione da cogliere con il Recovery Plan per modificare il modello del welfare italiano. «È venuto meno l’alibi delle risorse. La crisi del 2008-2013 è stata affrontata in Italia con l’assillo della carenza di fondi. L’Europa dell’austerity è stata indicata come causa delle mancate riforme per produrre un welfare attivo e abilitante. E siamo scivolati ancora più indietro nelle classifiche europee. Ora l’Europa ha cambiato impostazione. Ha deciso di investire sulle persone, soprattutto nei Paesi più colpiti dalla pandemia. Si presenta un’occasione di discontinuità per generare i due decisivi processi di convergenza che servono al Paese: una convergenza interna Sud-Nord e una convergenza esterna dell’Italia verso la media europea». Parola di Alessandro Rosina, professore di Demografia all’Università Cattolica e responsabile scientifico dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo. Giovani e donne sono le due categorie che più di altre richiedono un “nuovo Welfare”.

«Il modello di welfare nel nostro Paese è ancora quello costruito negli anni Sessanta: la figura di riferimento era il maschio adulto», spiega Rosina.

Tutto è cambiato. Oggi bisogna saper indirizzare le risorse, per poterci riallineare agli standard europei sull’occupazione giovanile, sull’occupazione femminile e sul tasso di fecondità. «Il Recovery Plan deve favorire investimenti sulle infrastrutture sociali così come su quelle fisiche e digitali. Il capitale umano è la prima risorsa su cui investire in modo solido: dobbiamo formare giovani competenti sia per la Pa sia per le Pmi, oltre che per il salto di qualità in termini di innovazione e della transizione energetica di tutto il nostro sistema produttivo», aggiunge Rosina che indica due nodi da risolvere per costruire un nuovo modello. Due nodi che proprio riguardano il ruolo della donna e dei giovani.

I nodi 

Due carenze fondamentali: innanzitutto la mancata conciliazione tra lavoro e famiglia, che ha indotto le donne italiane a ridurre il numero di figli (oggi siamo a 1,29: record negativo in Europa), per la mancanza di misure e strutture di welfare adeguate che consentano di includere nei processi di lavoro la condizione materna. «Nel nostro Paese o le donne lavorano o fanno figli, al contrario della media della situazione europea, dove si mette in evidenza una propensione delle donne che lavorano a fare figli», aggiunge Rosina. In particolare, la mancanza di asili nido (o i limiti delle condizioni di effettivo accesso in termini di costi, qualità e orari), vincola verso il basso l’occupazione femminile se non c’è l’aiuto informale dei nonni. Il secondo nodo da sciogliere riguarda i giovani: la carenza di politiche attive per il lavoro. «Nel nostro Paese il lavoro continua ad essere ottenuto più per conoscenze e relazioni familiari che attraverso i canali formali. Fragile è tutta la transizione scuola-lavoro – sostiene Rosina – sia per le fragilità della formazione , sia per le carenze dei centri per l’impiego, che dovrebbero accompagnare l’ingresso nel mondo del lavoro e le transizioni tra periodi di disoccupazione e nuovo impiego. Chi non ha famiglie solide alle spalle presenta sia percorsi formativi più fragili, sia, a parità di formazione, meno possibilità di trovare lavoro». L’Italia è il maggior “produttore” di neet (i giovani inattivi) in Europa. Manca un welfare abilitante. I giovani faticano ad acquisire autonomia dalle loro famiglie, rimanendo a lungo nella condizione di figli. IL RISVOLTO Forse è proprio grazie al ruolo centrale della famiglia (e alla natura e alla permeabilità della cooperazione sociale) che i territori del nostro Paese hanno saputo reagire e resistere alle crisi sociali. Ma ancora una volta non può essere il privato (o il privato sociale) a sostituirsi al pubblico. Dovrebbe aggiungersi per arricchire una offerta che trova nel pubblico la regia e la garanzia di qualità di un welfare mix ampio. Manca l’efficacia del pilastro pubblico: alla famiglia e al Terzo settore è stata delegata la forza del welfare. «Secondo i dati dell’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo – spiega Rosina – sono soprattutto i giovani in condizioni più svantaggiate, sfiduciati dall’inefficacia delle politiche pubbliche, che faticano a sentirsi parte di un progetto Paese. In particolare, chi ha meno risorse socio-culturali risulta più preoccupato dalle condizioni presenti proprie che sentirsi coinvolto in scelte collettive che riguardano il futuro del Paese». Chi considera “molto importante” la promozione del Bene comune è il 65% dei laureati contro il 46% di chi si è fermato alla scuola dell’obbligo. La carenza di investimento sulla formazione dei giovani e l’inasprimento delle difficoltà di accesso al mondo del lavoro, tendono a depotenziare non solo il contributo economico delle nuove generazioni al sistema produttivo e alla crescita economica, ma vanno anche a ridurre più in generale la partecipazione attiva al miglioramento sociale e culturale del territorio in cui vivono. 

Posizione difensiva

Chi ha meno risorse socio-culturali si sente ancor più schiacciato in posizione difensiva. A ritenere che l’emergenza sanitaria influirà negativamente sul bene comune è il 56% di chi ha titolo basso contro il 43% dei laureati. Diventa quindi indispensabile, attraverso i fondi di Next generation Eu, rimettere al centro la formazione solida delle nuove generazioni, con pari opportunità per tutti. «Penso che oggi l’azione più forte che può mettere in campo il Paese come spinta per la crescita e la riduzione delle diseguaglianze – conclude Rosina – sia quella delle misure che migliorano la condizione delle giovani donne del Sud, perché è qui che si concentra il maggior svantaggio in termini di opportunità ma da dove anche può arrivare il maggior contributo per ridurre gli squilibri territoriali italiani e favorire la convergenza con l’Europa su livelli di formazione, partecipazione al mercato del lavoro, natalità. Il rafforzamento delle politiche, dei servizi e degli strumenti, che si dimostrano migliorare la condizione delle giovani donne del Sud di per sé migliorano la crescita e riducono le diseguaglianze, ma diventano standard di base di un welfare moderno e avanzato a favore di tutti».

(Il Mattino)

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