23 Dicembre, 2024
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Incendi, speculazioni e crisi climatica: cronache dall’Argentina che brucia

Dopo Rosario, la regione di Entre Ríos e del delta del Paraná, gli incendi colpiscono Córdoba. Al momento si stima che la superficie bruciata raggiunga i 100.000 ettari – un’area grande quanto la città di Buenos Aires –, ma il fuoco continua a espandersi. Lo sviluppo immobiliare, l’estensione delle zone agricole e la crisi climatica mandano in fumo la biodiversità e la legge forestale mentre la povertà avanza

I vigili del fuoco combattono in prima linea per spegnere gli incendi, davanti alla mancanza di intervento da parte delle autorità. Analizziamo la situazione per capire cosa potrebbe succedere se la terra continua a bruciare.

«A partire dal 15 agosto, il fuoco ha continuato a espandersi per una settimana senza che il governo della provincia aiutasse o intervenisse per spegnerlo. Non hanno mandato aerei antincendio né pompieri, nonostante dicessero che l’avrebbero fatto; quando il comune, disperato, ha cominciato a chiamare la Defensa Civil [l’equivalente della Protezione Civile, ndt] per chiedere aiuto, quell’aiuto ci è stato negato. In quel momento avremmo potuto tenere la situazione sotto controllo, ma siamo rimasti da soli – noi, la gente del quartiere, una quarantina di persone, sindaco incluso – a spegnere il fuoco con qualsiasi cosa trovavamo. La provincia è intervenuta solo quando la notizia è diventata di interesse nazionale ed era ormai impossibile nascondere la portata della tragedia. L’abbandono delle autorità è stato completo».

 

Gli abitanti di Copacabana, uno dei centri più danneggiati dai recenti incendi, raccontano con indignazione la loro lotta corpo a corpo contro il fuoco e l’abbandono statale. Nei dintorni del paese è andato distrutto un tesoro biologico, le palme caranday, materia prima che dà sostentamento al 90% dei suoi abitanti, che ne lavorano artigianalmente le foglie.

 

«Gli incendi sono di origine dolosa. I terreni hanno preso fuoco ovunque. Nessun produttore accenderebbe mai un fuoco adesso: sappiamo bene che, con la siccità di questo periodo, non sarebbe possibile controllare nessun rogo. Io ho perso 200 ettari e mi hanno prestato un terreno per poter spostare la produzione», commenta una guida locale mentre aggiusta pali e recinti distrutti. A Copacabana e dintorni il fuoco ha ridotto in cenere più di 20.000 ettari, un’area grande quanto la città di Buenos Aires.

Qualche giorno più tardi, alcuni funzionari provinciali e nazionali hanno visitato la zona di Charbonier per fare una stima dei danni, ma senza avvicinarsi a Copacabana, a pochi chilometri di distanza. Sono scesi da una jeep 4×4 con il sorriso stampato sulla faccia per farsi fotografare mentre toccavano la cenere. E, come se la devastazione prodotta non fosse abbastanza, le autorità governative della provincia di Córdoba hanno fatto capire che esiste già la bozza tecnica (affidata a un consulente privato) per portare avanti il progetto della tanto discussa «autostrada di montagna» che attraverserebbe la valle di Punilla, da San Roque a Cosquín.

I sospetti aumentano perché sembra ormai più che probabile che l’autostrada rischi di attraversare la riserva naturale di Quisquisacate, dove hanno preso fuoco 520 ettari. Una casualità?

 

 

RESPONSABILI NATURALI

Per le autorità e per molti esperti, le dimensioni degli incendi nei boschi originari, che si sono diffusi in tutta la zona montana, sono state determinate senza dubbio dalle condizioni meteorologiche estreme provocate dal cambiamento climatico. Infatti, da quando è finita la stagione delle piogge ci sono state scarse precipitazioni e la situazione è peggiorata con l’arrivo di agosto, mese in cui i venti e le temperature aumentano, creando un terreno fertile per l’espandersi del fuoco.

 

Quest’anno la portata degli incendi e l’ingente quantità di fumo non si sono limitate a oscurare i cieli su gran parte delle montagne, ma hanno anche generato insolite nuvole di cenere e vere e proprie tempeste di detriti.

 

Queste, trasportate dai venti, hanno percorso centinaia di chilometri, raggiungendo la valle di Calamuchita, situata parecchio a sud rispetto ai principali centri interessati. Nella città di Córdoba il cielo si è tinto di rosso.

Grazie al suo clima mite, la regione delle Sierras di Córdoba è abitata da migliaia di anni, come testimoniano i petroglifi e le pitture rupestri scoperti nei numerosi siti archeologici. I primi boschi sono stati abbattuti durante il periodo coloniale, verso la fine del XIX secolo, per fare spazio a piccoli insediamenti. Negli ultimi cento anni le persone del luogo, spinte da uno spirito imprenditoriale, hanno fatto il possibile per attirare visitatori.

 

Il turismo è diventato, così, il tratto distintivo dei paesaggi montani, che vantano il clima migliore del mondo. Le dighe, costruite con diverse finalità, consentivano di praticare sport acquatici nei laghi artificiali, oggi gravemente inquinati.

 

Il treno viaggiava lungo la valle di Punilla, ma senza avere un impatto violento sul paesaggio. Oggi, i segni visibili delle strade sono profonde ferite sui pendii delle montagne, che aggravano la desertificazione e la perdita di habitat e specie. La cosiddetta «autostrada di montagna» risulta un paradosso: contro ogni previsione, il governo provinciale si è impegnato a costruirla a un costo spaventosamente alto e senza conoscere il livello di indebitamento.

In altri casi, la voracità che devasta le foreste si è manifestata sotto forma di cave, mentre nelle zone turistiche le varietà di specie autoctone sono state sostituite da file e file di specie esotiche. In alcune aree, soprattutto nella valle di Calamuchita, sono stati piantati pini a distanza regolare, che hanno dato vita a nuove aree di produzione di legno dolce. Queste piantagioni di pini, periodicamente abbattuti, ricoprono migliaia di ettari e hanno ormai soppiantato la vegetazione originaria. Le conseguenze sono evidenti.

 

 

L’ENTITÀ DEL DISASTRO

Nella zona di Gran Córdoba e in quella delle Sierras Chicas vivono quasi due milioni di persone, aumentate in maniera esponenziale nell’ultimo decennio, in particolar modo nel dipartimento di Colón. Questo fenomeno costante di espansione urbana implica delle conseguenze a livello ecologico: la pressione sull’ecosistema si traduce in una maggiore interfaccia urbano-forestale, nell’abbattimento dei boschi originari per creare terreni edificabili e, di conseguenza, nella perdita della vegetazione, nelle continue crisi idriche delle aree montane e nell’incremento del numero di inondazioni e incendi.

 

Così, come ogni anno, anche nel 2020 una gran parte delle Sierras di Córdoba si è trasformata in un inferno di fuoco: centinaia di sfollati, aria inquinata, proprietà bruciate e interi boschi originari ridotti a un mucchio di cenere.

 

«È vero che stiamo attraversando un periodo di siccità, ma molti incendi sono stati appiccati con l’intenzione di liberare aree protette da poter usare in un secondo momento» continuano a ripetere gli abitanti della zona di Punilla, colpiti dal fuoco. La cartografia della deforestazione e degli incendi – dati geografici alla mano – permette di realizzare un istogramma sulla condizione del terreno. Dopo ogni singolo incendio, non solo la vegetazione autoctona non è stata recuperata, ma è stata sostituita dal cemento, da aree residenziali private. Un’analisi che smentisce la versione ufficiale di un prossimo risanamento nella zona di Copacabana.

Il lassismo delle autorità è evidente: il fuoco diventa la soluzione per far avanzare la frontiera agricola, mineraria e urbana. I piani di riforestazione puntualmente sbandierati ai quattro venti («piantare 400.000 alberi») dopo gli incendi degli anni scorsi non sono mai stati realizzati, come chiunque può vedere camminando per le colline bruciate tempo fa e dove oggi rimane solo qualche vecchio tronco del bosco scomparso. Quello che è stato dimostrato è che il modello produttivo e la matrice economica della provincia hanno bisogno di più terra per espandersi. La gente di Córdoba sa che il risanamento non arriverà mai, perché non c’è mai stato in seguito a incendi passati. Per più di vent’anni i boschi originari sono stati sistematicamente dati alle fiamme.

I soldi per piantare altri alberi non ci sono ma ci sono, invece, soldi per abbatterli, perché questa è un’attività che arricchisce i promotori immobiliari, gli agro-esportatori e la pubblica amministrazione.

 

 

BOSCHI INFIAMMABILI

Nella riserva naturale di Defensa de La Calera si sono verificati due grandi incendi (il 19 giugno e il 10 luglio 2020) e altri più piccoli, che hanno distrutto in pochi minuti parte dell’esiguo bosco originario che si trovava in quel territorio. Una sera di agosto, verso mezzanotte, quando le temperature sono gelide, il biologo Facundo Fernández, responsabile dell’area protetta, si è precipitato a vedere il rogo. Insieme a lui, numerosi vigili del fuoco volontari hanno fatto fronte comune contro le fiamme, con il caldo e la cenere a coprire i loro visi sporchi. Con profonda tristezza Fernández commenta: «i boschi di montagna sono ecosistemi vitali perché funzionano come spugne. Nella stagione delle piogge, quando l’acqua è abbondante, assorbono quella in eccesso e ospitano un’enorme biodiversità. In tempi di siccità, invece, hanno la capacità di restare in vita pur avendo esaurito la loro riserva. Ma, quando iniziano gli incendi, si trasformano in materiale combustibile e, bruciando, perdono la loro capacità di assorbimento».

All’interno del settore della riserva di Defensa de La Calera, che si estende per 13.600 ettari, i Parchi Nazionali e il Ministero della Difesa conservano i resti delle foreste delle regioni del nord est del Paese, già molto ridotte e degradate. Quest’anno, a causa della siccità che va avanti da mesi, c’è molto materiale vegetale combustibile che, alla prima scintilla, comincia a bruciare. Da quando è iniziata la stagione degli incendi, ce ne sono già stati quattro. Il biologo Fernández continua: «ogni volta che scoppia un incendio non perdiamo solo la fauna, ma anche le fonti d’acqua e la rigenerazione dell’ossigeno; l’intero ecosistema ne è vittima, quindi anche la microfauna, la macrofauna e gli spazi di rifugio, nidificazione e habitat di tutte le specie. Ogni incendio rappresenta un attacco alla diversità biologica. Solo quest’anno è bruciato più del 10% della riserva in cinque incendi. Probabilmente più di 1.500 ettari».

 

 

Gli incendi che devastano le Sierras hanno trasformato tutta la vita della regione. Studi dell’Universidad Nacional de Córdoba stimano che tra il 1999 e il 2017 ci siano stati più di 5.000 incendi boschivi che hanno bruciato 700.000 ettari di foresta. Ad oggi, probabilmente ne sono già bruciati più di un milione.

 

Prima degli ultimi incendi, i boschi originari coprivano circa il 3% della loro superficie iniziale. Quest’anno hanno perso circa il 10% di quella misera percentuale. La sorprendente capacità dei boschi originari di sopravvivere agli incendi successivi e di rigenerarsi è ora minacciata dalla scarsità di alberi. La donchisciottesca legge forestale che li protegge non è supportata dalla volontà politica dei funzionari né da risorse economiche. Si potrebbero installare telecamere per la rilevazione di incendi, o si potrebbero fornire dispositivi di protezione e di respirazione ai vigili del fuoco che intervengono sul territorio; o, ancora, si potrebbe investire nel piano provinciale di gestione degli incendi.

La propaganda ufficiale elogia l’eroismo dei pompieri, incolpa i cittadini e chiede loro di combattere il fuoco con «stracci bagnati»; privatizza i profitti determinati dagli incendi ma rende pubblica la spesa per spegnerli. Oppure indice una gara d’appalto «di impianti elettrici per l’albero di Natale» con un budget previsto di 8.420.003,91 di dollari. A Córdoba questi incendi devastanti sono diventati la «nuova normalità». Ora sappiamo che, a causa del cambiamento climatico, il numero e la frequenza di eventi meteorologici estremi è aumentato, e continuerà a farlo.

Così, senza pioggia, la miccia è pronta a riaccendersi e a portare con sé disastri sempre più grandi. Sono numerosi gli incendi che continuano a colpire la provincia di Córdoba

(Dinamopress)

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