In queste settimane ci hanno lasciato Rossana Rossanda e Carla Nespolo, due donne militanti comuniste e femministe.
I racconti delle loro lotte ci spiegano molto sul rapporto tra donne e politica
Quando è morta Rossana Rossanda sono rimasta stupita che fossero pubblicate molte foto di lei con accanto grandi uomini della sinistra comunista e/o antagonista con didascalie esplicative «Rossanda con tale uomo o compagno di lotta». Chiaramente quelle foto esistono perché Rossanda ha costruito e partecipato a eventi e processi con quegli uomini, così come con tante altre donne, che hanno poi fatto la storia di questo paese. Forse erano le didascalie di quelle foto che costruivano in me delle associazioni fastidiose, la donna che è insieme a grandi uomini.
Purtroppo poche settimane dopo ci ha lasciate anche Carla Nespolo, prima presidente dell’Anpi donna e non partigiana. In questo caso, i necrologi sono stati forse ancora più subdoli nelle associazioni che hanno costruito. La sua presidenza all’Anpi è stata descritta come dolce, la sua militanza una passione, la sua carriera come un processo di cura delle persone che aveva intorno. E sicuramente Nespolo queste doti le aveva e le hanno, infatti, permesso di costruire un’Anpi aperta alle istanze sociali e a voci plurali. Tuttavia un certo uso linguistico, forse del tutto irriflesso, costruisce immaginari e associazioni ben precise delle donne in politica.
Infatti, le donne in politica sono associate alla dolcezza o alla cura come una “dote naturale”, il tratto distintivo del loro modo di fare politica. O, all’estremo opposto, le si dipinge attraverso il rifiuto totale di quelle doti materne e premurose, quindi donne che hanno rinunciato al loro “essere donne” per fare politica.
Rossanda e Nespolo hanno fatto parte di quella generazione di militanti che hanno costruito la possibilità stessa per le donne di esserci nella politica. Donne che della militanza politica hanno fatto anche la loro professione spinte dalla passione per la trasformazione dello stato di cose esistenti, come voleva il comunismo che le accomunava, ma su traiettorie differenti. Trasformazione di classe e della condizione femminile, anche se loro del movimento femminista, ancor più separatista, non hanno mai fatto parte. Ma delle istanze femministe sono state voce, penna e corpo. Istanze femministe che nelle varie organizzazioni comuniste, da loro attraversate e formate, non sempre erano comprese e appoggiate e per cui le donne comuniste hanno lottato e negoziato. In crisi sia dentro le loro organizzazioni che fuori nei movimenti.
Fortunatamente grazie al lavoro di tante storiche, negli ultimi decenni si è iniziata a costruire una nuova narrazione delle donne nella storia politica di questo paese. Così da un lato si è fatto emergere il ruolo delle donne nelle lotte politiche e nei processi storici, dall’altro si sono riscoperte le biografie di queste donne combattenti e militanti. Così è stato, ad esempio per le partigiane, che solo decenni più tardi hanno visto riconosciuto il loro ruolo nella resistenza. Ancora oggi troppo spesso ricordate solo come staffette, mentre si stenta a riconoscere il ruolo delle donne nel costruire l’appoggio sociale e diffuso all’antifascismo.
Questa nuova narrazione oggi è stata raccolta in alcuni libri per l’infanzia di grande successo dedicati alle bambine, come Storie della Buonanotte per Bambine Ribelli, dove vengono raccontate le storie delle grandi donne che hanno la fatto storia del mondo. Purtroppo in queste pagine Rosa Parks viene accomunata a Margaret Thatcher in una costruzione narrativa che elimina qualsiasi conflitto di classe e di razza, accomunando tutte le grandi donne in un grande calderone senza differenze.
E così le storie di queste donne comuniste, femministe, militanti rischiano di finire o in un racconto storico senza conflitto, dove si pone al centro il loro essere donna ma non la loro militanza politica. O al contrario tenendo ferma la loro militanza rivoluzionaria si edulcorano i conflitti portati avanti in quanto donne.
Così come per le partigiane, lo spazio per queste donne e per questi conflitti andrà strappato alle narrazioni dominanti, ritessendo la relazione tra storia, donne e politica. E questo non solo per la memoria delle grandi donne, ma per le tante storie di donne. Perché ogni lotta politica è fatta di piccole resistenze quotidiane che ogni donna porta avanti giorno per giorno, e di cui serba i segni sul proprio corpo. E di queste storie abbiamo bisogno, perché sono quelle che possono costruire la passione per una nuova politica militante che voglia trasformare lo stato di cose esistenti.
(Dinamopress)