La campagna per le presidenziali entra nella fase nitroglicerina e i giochi non sono ancora fatti. Il presidente punta su due fattori
Tre comizi, due Stati, un finale di partita incredibile. La corsa alla Casa Bianca è entrata nella fase nitroglicerina, qualsiasi cosa tocchi, può esplodere. Mancano 18 giorni al voto, i giochi non sono ancora fatti, Joe Biden secondo i sondaggi ha già vinto, Donald Trump secondo la realtà non ha ancora perso. Giornata di Trump da rullo compressore, la mattina con gli anziani a Fort Myers, il pomeriggio con il mucchio di Ocala, la sera con “Georgia on my mind” e la folla (senza mascherina) straripante in ogni comizio. Dopo la mattina e il pomeriggio in Florida, il presidente è volato in Georgia, a Macon. Un altro Make America Great Again Rally, i temi sono quelli che ha già toccato a Fort Myers e a Ocala, in Florida. Siamo nel rush finale della campagna, la Florida è uno Stato chiave (29 grandi elettori), sempre swing, la Georgia (16 grandi elettori) è considerata una roccaforte repubblicana del Sud, cruciale per una vittoria di Trump, ma in questo momento con sondaggi che sono favorevoli ai democratici. Sarà vero? Lo scopriremo presto. Nella media di Real Clear Politics Joe Biden è in vantaggio di 1,2 punti, mentre per Quinnipiac University sarebbe avanti di 7 punti. Oh, Georgia. A Macon il sondaggio delle tribune stracolme per Trump è di un altro segno. Se la campagna è quello che si vede, allora i pronostici dei sondaggi sono ribaltati. Vedremo.
Le speranze del presidente
The Donald ha un pensiero stupendo (Patty Pravo, 1978), quello degli elettori repubblicani che non la raccontano giusta, ma la fanno per lui giustissima. Trump dice che “il 62% degli elettori” ai seggi mente quando viene intervistato dai sondaggisti. Perché il presidente evoca un fatto che potrebbe apparire negativo? Perché ha un significato importante, il voto dei fan meno rumorosi di Trump secondo molte ricerche pubblicate anche di recente (Cloudresearch, per esempio), votano Trump ma non lo dicono apertamente, non si fidano, un po’ si vergognano, in ogni caso in loro domina la diffidenza. E per questo motivo che Trump nel comizio di Ocala dice che “non so se è vero, ma se è così avremo la vittoria più travolgente di sempre, ci sarà una storica onda rossa”. Ecco perché qui non possiamo escludere una “landslide victory”, una vittoria a valanga di uno dei due candidati, ci sono troppe cose non dette, un sacco di bugie (in)volontarie, e siamo nella terra incognita del virus. Siamo di fronte a un altro rebus della campagna presidenziale. Primo bagliore: tutte le previsioni sono sbagliate (forse).
L’altro elemento di cui bisogna tenere conto per dare una lettura non asettica (che è sempre marziana) si chiama “entusiasmo”. A quelli che danno i numeri comincia a risvegliarsi la fantasia, anche perché Trump ieri sera ha pronunciato una frase che è passata sotto traccia, riguarda la diffidenza degli elettori di The Donald: “La campagna di Biden non ha alcun entusiasmo, l’unico è quello contro di noi, e di solito non vince, perché si chiama entusiasmo negativo”. Così Trump nel comizio di Ocala punta su uno dei temi meno considerati del finale della campagna, l’entusiasmo delle basi elettorali dei repubblicani e dei democratici. La base trumpiana appare molto più motivata di quella dei dem, come testimoniano i sondaggi sul supporto ai candidati. Biden vive in un paradosso, piace ai suoi sostenitori meno di Trump, ma resta in netto vantaggio nelle medie nazionali della corsa presidenziale. Trump ha rimarcato questo punto essenziale del finale della corsa alla Casa Bianca, potrebbe essere decisivo. E lo ha racchiuso in una formula che è l’opzione della campagna: “La scelta è tra la ripresa di Trump e la depressione di Biden”. Secondo bagliore: la campagna non è quello che si legge, ma quello che si vede.
Gli Stati decisivi
La sfida si gioca come sempre in un paio di Stati, anche se rispetto al passato sembrano saltate molte certezze, ciò che un tempo era swing oggi appare rock, come la Georgia, dove Trump ha chiuso la sua maratona, ieri era considerata una roccaforte del voto conservatore, ma da tempo presenta sondaggi buoni per i democratici. Che fare? Trump ha risposto da Trump, faccio là, in Georgia, un evento Make America Great Again “again” (ribadisce sul palco di Macon) e vediamo chi si prende il piatto sul tavolo il 3 novembre.
Altro punto che diventa nota sul taccuino. Trump è apparso molto diverso dall’uomo con il viso contratto dell’altro ieri sera, quando nel townhall di Nbc news ha dovuto fare i conti con la carica d’ariete della giornalista che conduceva il dibattito, Savannah Guthrie a cui più tardi dedicherà questi dolci pensieri: “Ieri sera c’è stato qualcuno che è andato totalmente fuori di testa”. Nonostante gli attacchi con la testa d’ariete, in Florida e Georgia Trump è apparso molto calmo,ordinato, ha parlato agli anziani con il tono dell’ironia, ha fatto il simpatico e quello che non teme di perdere perché è sicuro di vincere. I due rally a Ocala e Macon sono stati un pienone (no mask o quasi) e lui è passato dai 60 ai 90 minuti di comizio, segno che sta bene, il presidente è davvero guarito dal coronavirus.
Hope Hicks sul palco
A proposito di “guarigioni” e zona miracolo del voto: a un certo punto, durante il comizio di Ocala, la folla invoca Hope, che non è certo la speranza che fu di Obama, ma Hope Hicks, la collaboratrice preferita da Trump alla Casa Bianca. Hope è uno splendore, una cascata di freschezza, ha 31 anni, è bellissima. The Donald la chiama sul palco, proprio lei, Hope Hicks, la prima contagiata da coronavirus dello staff del presidente. “È timida ma non così tanto”, dice Trump mentre la attende. In splendida forma, sorridente, abito grigio, smanicato, stile da anni Sessanta, un po’ retrò, occhiali da diva, Hicks entusiasma la folla e confessa: “Il palco mi gela”. È un passaggio simbolico del comizio di Trump a Ocala, più importante di quanto si immagini, perché ha un significato politico opposto alla campagna democratica: sul palco ci sono due contagiati da coronavirus. Due repubblicani. E sono guariti: Donald e Hope, Trump e Hicks, lei e lui.
Tutti i fili scoperti della campagna riemergono e si annodano. Ricordate la polemica sui veterani che Trump avrebbe dichiarato “perdenti”? Bene, Trump ci mette una pezza e pesca una storia perfetta per costruirci una campagna-flash, perché “a sorpresa” compare un veterano di 105 anni in prima fila ad ascoltare Donald Trump nel comizio di Ocala, in Florida. Scena di forte impatto: il veterano si presenta più arzillo che mai, grandinata di applausi, Trump commenta, “sta meglio di me, ha i capelli migliori dei miei, non ha bisogno del Regeneron, grazie e complimenti”. E video di Dan Scavino che lancia in Rete su Twitter la carrambata elettorale.
Comizio di Biden a Detroit
Armi per fermare il ciclone Trump? Biden fa campagna a là Biden, non proprio una cosa allegra. Le immagini dietro le quinte sono impietose, un candidato senza folla è triste in partenza, ma sui sondaggi è più che vincente, dunque fino a prova contraria (quella dell’urna) Biden ha ragione e la strategia non si cambia, ormai non c’è neppure il tempo per farlo. I suoi comizi non sono comizi, sono momenti per la tv. La vittoria? Sulla carta c’è, in pratica scende in campo Barack Obama perché il non si sa mai comincia a diventare una cosa spessa che non fa dormire la notte e dà una shakerata da brividi al giorno dei democratici. Dunque l’ex presidente Obama sarà al fianco di Biden la prossima settimana a Filadelfia, i dem si giocano tutte le carte pesanti nel gran finale. Reazione di Trump? Ostenta sicurezza, dice di non aver alcuna paura perché Obama si era speso, senza successo, anche per Hillary Clinton nel 2016. “Obama non ha fatto l’endorsement (a Biden) perché lui sapeva cosa aveva nella testa”, è stato l’affondo di Trump. Che cosa accadrà? Ci sono tutti gli elementi di un incubo, la ripetizione del 2016: un candidato non amato dalla base dem (ma migliore di Hillary), Barack che fa la sua comparsa in scena, il set di Filadelfia e Bruce Springsteen che, come la volta scorsa, assicura che “Trump perderà le elezioni”. Non si sono mai ripresi dallo shock di quella sconfitta, il terremoto di 4 anni fa, Trump.
Come in ogni elezione, c’è la girandola di complotti e nemici. Trump ne ha e ne vede molti. Dunque nel comizio di Ocala si materializza il partito delle big tech, secondo Trump “con Joe Biden c’è il 99% della Silicon Valley” e dunque è indiscutibile per lui che “stiamo correndo contro i media, contro la sinistra e contro le big tech”. Insieme alle cospirazioni, si librano in aria i fantasmi, gli spettri, antiche paure da film degli anni Cinquanta e Sessanta che qui in Florida sembrano funzionare sempre: “Guardate il Venezuela, era un paese ricco, aveva tutto e ora non hanno più cibo e medicinali, può succedere anche a noi”, dice Trump agli elettori senior dei repubblicani nel comizio di Fort Myers. “Vogliono trasformare l’America in un paese irriconoscibile”, chiosa. Il pericolo castrista in versione reloaded, c’è in ballo il voto dei cubani, degli ispanici, si vince con quelli, si perde con tutti.
La battaglia su Amy Coney Barrett
Si vince (e si perde) con tutti gli argomenti buoni per catturare l’attenzione delle tante Americhe che fanno l’America, ecco perché la battaglia nel Congresso sulla nomina di Amy Coney Barrett alla Corte Suprema è fondamentale, per Trump non sono le decisioni della Corte domani, sono i voti dei cattolici oggi. La prossima settimana si vota in commissione, primo passaggio per il test finale della nomina, prima delle elezioni presidenziali. Gran finale. Ce la farà, i repubblicani sembrano compatti e Barrett durante le audizioni ha risposto a tono, senza mai scomporsi di fronte all’incalzare delle domande dei democratici. Calma e gesso, si gioca a biliardo e tutte le palle stanno andando in buca. E la notizia, comunque vada, è lui con la sua campagna, Trump. Se perde è il rarissimo caso di un incumbent che non viene riconfermato alla Casa Bianca, se vince siamo di fronte a un colpo che ribalta la storia.
Ogni parola dei suoi comizi è pesata, calibrata per colpire un punto esatto dell’elettorato, le tante parti della torta sociale americana, il lavoro dei ghost writers e degli strateghi si vede quando segui Trump nella stessa giornata più volte e in situazioni diverse. Economia, è la chiave per (ri)aprire la porta della Casa Bianca: “Il meglio deve ancora venire, siamo quasi tornati dove eravamo prima, l’anno prossimo sarà grandioso” e sul “Covid stiamo svoltando l’angolo”. Ciò che colpisce non sono le affermazioni, l’iperbole, questo fa parte della campagna presidenziale, ma la calma con cui Trump parla del futuro, è come se avesse in tasca una carta che nessun altro vede. Eppure tutti i dati ufficiali, quelli che in ogni caso bisogna pesare, valutare, decrittare, mettere in fila per trarne un contesto, sono negativi: la media nazionale di Real Clear Politics nei sondaggi lo vede staccato di 8,9 punti; nei Battleground States pare impossibile lo strike del muro blu dei dem che gli assicurò la vittoria nella Rust Belt; perfino gli ascolti tv lo vedono inseguire, con il townhall dell’altro ieri su Nbc che pur essendo stato frizzante (10,6 milioni di spettatori) è stato battuto dalla camomilla di Biden su Abc (13,9 milioni), sorpresa, Trump non fa più audience e forse, per l’uomo che fu l’icona della televisione, il conduttore di Apprentice, questo è il vero gong della campana. Lui non sembra esserne per niente preoccupato, sul palco, di fronte ai suoi fan, si trasforma in attore e finisce con una gag: Trump che fa il Trump impossibile, quello in versione bon ton, presidenziale. Lo mette in scena in Georgia e assicura che “è molto più difficile come faccio io il presidente”. Trump, nel bene e nel male, è inimitabile. Soprattutto per Trump.
(Agi)