26 Dicembre, 2024
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Il viaggio. A Roma periferie cruciali tra droga, degrado e riscatto

Al Quarticciolo, dove 5-6mila persone vivono in case popolari, i problemi restano spaccio e abbandono scolastico. Eppure c’è chi prova a disegnare un futuro.

«Uno degli aspetti che caratterizza questa borgata è l’assenza di mobilità sociale: se nasci nel Quarticciolo è probabile che ci rimarrai. Succede a molti dei ragazzi che vivono qui. Quello che vorremmo fare, è rompere questo destino apparentemente immutabile». A parlare è Alessia, membro del comitato di quartiere Red lab, un presidio di solidarietà e resistenza che da anni si batte per costruire una comunità attiva in un piccolo spazio urbano della Capitale. Stretto tra Centocelle, Tor Tre Teste e Borgata Alessandrino, alla periferia est di Roma, il Quarticciolo è un agglomerato composto esclusivamente da case popolari, la maggior parte occupate da decenni.

Una ‘città nella città’ in cui vivono 5-6mila persone, fatta costruire dal Duce per il programma delle borgate ufficiali a vantaggio delle famiglie numerose. Come in molte altre zone simili di Roma lo spaccio non manca, cocaina soprattutto, così come il degrado abitativo. La dispersione scolastica è alta, d’altronde – è il ragionamento di uno dei ragazzi che ci vive – «perché devo andare a studiare o a lavorare se posso guadagnare di più, in meno tempo?».

Una situazione che dilaga in tutte le periferie della Capitale: secondo la Caritas  il tasso di dispersione negli ultimi quattro anni scolastici ha registrato un aumento del 19,6%, con un numero di casi di abbandoni pari a 2.442 bambini e ragazzi dall’anno scolastico 2015-2016 al 2018-2019. Ciononostante il quartiere rifiuta la narrazione pietistica proposta molto spesso dai media e per chi vuole qui c’è vita e cultura, anche se il Covid ha fermato un po’ tutto: la biblioteca, il teatro di quartiere e molte altre iniziative.

Le palazzine cadono a pezzi, ma una casa serve a tutti e ormai si occupano anche gli scantinati. Si tratta di strutture costruite negli anni Quaranta e in molti casi rimaste prive di manutenzione. Dovrebbe occuparsene l’Ater ma così non è. Una porta murata nasconde la storia di riscatto dietro al comitato di quartiere e l’inizio di una lotta per ottenere diritti altrimenti negati.

Tassi record di addio delle lezioni, boom cronico di alloggi occupati. Il Terzo settore: i professori sono lasciati soli. Il fiore all’occhiello? La palestra ricavata in un locale ora simbolo di rinascita per i ragazzini

«Siamo nati a seguito di uno sgombero, quello di questa abitazione – raccontano i ragazzi di Red lab –. In quell’occasione non è venuta l’Ater assieme ai vigili (come accade di solito, ndr) ma addirittura la celere, che ha cacciato di casa una famiglia intera con tre figli». Uno dei ragazzi sgomberati oggi ha 14 anni, è un pugile agonista e si allena nella palestra popolare del quartiere. Ricavata in un ex locale caldaie, è un fiore all’occhiello della lotta all’emarginazione giovanile e uno dei simboli del riscatto della zona. Per chi non può permetterselo le lezioni sono gratis, perché tutti devono poter sognare di diventare professionisti e, tanto per dare un’idea livello, il ragazzo che la gestisce è stato chiamato ad allenare la nazionale femminile. Gli scantinati sono umidi e stretti ma gli appartamenti non versano in condizioni migliori.

Spesso si tratta di 38 metri quadri in cui vivono anche 5-6 persone. Ci sono crepe ovunque e in qualche caso gli ingressi sono retti da pali innocenti. Ma il Comune che fa? Non molto: l’amministrazione non riesce ad andare oltre la legge Renzi-Lupi che impone di negare la residenza a chi occupa abusivamente una casa. Questo significa non poter avere un medico di famiglia o avere enormi difficoltà per iscrivere i figli a scuola. Anche quando si riesce ad andarci, però, le cose non sempre vanno bene e può capitare che sia l’istituto stesso a favorire la dispersione.

«Gli insegnanti sono lasciati soli e non riescono a far fronte ai casi difficili» spiega Alessia. Se non fosse per realtà autonome come il Red Lab o le associazioni del Terzo settore la vita sarebbe ancora più complicata, soprattutto quando alle spalle non c’è una famiglia. Allora cosa si può fare? La dottoressa Giovanna Depalma è una psicologa, lavora al Borgo Don Bosco, centro salesiano di Centocelle che offre attività sportive, formazione e molte altre possibilità all’intero municipio. Si occupa di genitorialità naturale e sociale e ha a che fare con famiglie ed educatori che cercano di dare un futuro a ragazzi privi di una solida realtà alle spalle. Alcuni non vanno neanche in adozione e vivono in uno stato di privazione e di solitudine, anche quando sono accolti in una casa famiglia.

«Dal mio punto di vista c’è una grande povertà educativa, una vera e propria solitudine delle famiglie e anche delle scuole. C’è l’esigenza di costruire davvero un’alleanza con gli insegnanti. I programmi didattici invece non tengono conto di questo e l’istruzione è spesso improntata solo sull’aspetto cognitivo – ragiona Depalma –. Ma vale la pena intervenire anche quando lo Stato non aiuta. Qui abbiamo conosciuto un ragazzo che a 17 anni non era ancora scolarizzato. Grazie a un percorso iniziato al borgo, ha potuto sostenere gli esami da privatista e frequentando un laboratorio musicale ha scoperto di avere un talento enorme. È stato ammesso al Conservatorio e si è diplomato in flauto traverso. Adesso suona anche al teatro dell’Opera. Se non ci fossero stati gli operatori e questi laboratori, non sarebbe mai diventato ciò che è adesso»

(Avvenire)

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