Lo scorso 18 maggio, su questo sito, scrivevo che l’ingresso nella fase 2 della pandemia avveniva all’insegna di un ribaltamento di paradigma:
«la vita e la salute vengono dopo le esigenze dell’economia»
(https://volerelaluna.it/commenti/2020/05/18/fase-2-il-governo-conte-declina-vita-e-salute/). Un ritorno alla drammatica normalità del sistema, in altre parole. Allora si trattava di non perdere i flussi turistici estivi, di intercettare ogni segnale di ripresa, rischiando però di perdere, con bruschi voltafaccia su tutti i fronti, il vantaggio faticosamente accumulato nei duri mesi di confinamento.
E così è stato, in una estate che da una parte ha visto un “bomba libera tutti” rispetto alle regole, e dall’altra la rinuncia totale a costruire “trincee” per l’autunno: niente di fatto sul trasporto pubblico (il vero buco nero, perché da anni sotto i livelli minimi di decenza), niente di fatto sulle risorse aggiuntive per una scuola già in ginocchio. Niente di fatto – incredibilmente – per i tamponi, e soprattutto per i posti in terapia intensiva e per la ricostruzione del sistema sanitario in tutti i suoi livelli.
Quel 18 maggio, mi chiedevo, con malcelata angoscia: «Cosa succederebbe con una seconda ondata? I suoi effetti sulla vita e sulla salute sarebbero incalcolabili. E anche l’economia, in nome della quale ora rischiamo il tutto per tutto, potrebbe allora davvero schiantarsi».
Ebbene, ora che esattamente cinque mesi dopo, non sorprendentemente, ci siamo arrivati, appare drammaticamente evidente che siamo ancora totalmente immersi in quella “fase 2”.
L’imbarazzante vaniloquio del Presidente del Consiglio a reti unificate la sera di domenica 18 ottobre ha chiarito una sola cosa: stavolta non si chiude perché gli interessi economici hanno ripreso il comando.
Eppure, era lampante che già domenica era tardi, e che si sarebbero dovute prendere misure ben più incisive. E invece niente: e il dettaglio più incredibile è la capacità camaleontica di Giuseppe Conte. Il quale, esattamente come è passato dal governare con Salvini a governare con Speranza, è passato da «il lockdown è il rimedio» a «il lockdown è il problema».
Il paradosso è che proprio per evitare il lockdown, le regole da imporre ora avrebbero dovuto essere chiare, semplici, generali, efficaci. E invece c’è stato l’ennesimo “8 settembre” della nostra storia: si salvi chi può, in ordine sparso. Scaricando tutto sulle regioni, e addirittura sui sindaci. Se c’è una cosa che la pandemia ha insegnato all’Italia, è che dobbiamo drasticamente rivedere l’autonomia locale in fatto di sanità. Per essere chiari: la strada da imboccare ora dovrebbe essere più quella dell’abolizione delle regioni, che non quella, opposta, dell’autonomia differenziata. E invece, in diretta tv, il capo del governo nazionale se n’è lavato le mani, lasciando i campani a De Luca e i lombardi a Fontana, i toscani al vuoto di un eterno passaggio di potere e così via. Un vero disastro.
Il risultato è non solo l’incremento terribile dei numeri del contagio, ma il totale caos organizzativo: lo scaricabarile partito da Palazzo Chigi arriva fino alla coscienza di ogni italiano. I treni vanno regolarmente, ma il ministro Speranza supplica in tv di non viaggiare. I teatri sono aperti, ma c’è il coprifuoco serale. Si inaugurano le mostre, ma bisogna stare a casa il più possibile.
Cosa è sensato, giusto, morale fare o non fare? Ognuno si regola da sé, mentre la politica è in fuga.
La sensazione è che il governo sappia tutto perfettamente, ma non abbia la forza di fare alcunché. In attesa che risalga il consenso per una chiusura, che a quel punto dovrà essere lunghissima, perché la curva scenda. Ed è terribilmente chiaro cosa si stia aspettando, quale sia l’unica molla capace di riportarci alla ragione: il numero dei morti. Che, velocissimamente, sale.
(Volerelaluna – Tommaso Montanari)