La didattica a distanza introdotta da molte regioni. Continua il caos politico tra il governo e le regioni che procedono in ordine sparso senza coordinamento né visione generale.
Il criterio lo ha dettato il governatore lombardo Fontana: “O riduciamo la gente che va al lavoro o la gente che va a scuola”.
La protesta degli studenti: “Scontiamo il fallimento della riapertura”
Mentre il presidente del Consiglio Conte ribadiva che «bisogna evitare la chiusura delle scuole» ieri i governatori delle regioni procedevano in ordine sparso introducendo la didattica a distanza nelle superiori. Nella Campania del «lockdown» totale le scuole sono già chiuse e non riapriranno dopo il 30 ottobre. In Lombardia tutte le superiori sono state messe in didattica a distanza. Così faranno le Marche. In Liguria da lunedì saranno online al 50%, così si farà per le seconde fino alle quinte in Piemonte e nel Lazio. In Puglia la «Dad» riguarderà le ultime tre classi delle secondarie dal 26 ottobre al 13 novembre. Con la curva epidemiologica in crescita potrebbero non essere le ultime decisioni.
Ad oggi nessuno intende prendersi la responsabilità del fallimento della riapertura presentata come un successo. La mancanza di una visione d’insieme ha portato a un caotico gioco delle parti con le regioni, in particolare sul nodo dei trasporti e delle entrate scaglionate in classe. Le decisioni prese in queste ore sono ispirate all’alternativa stabilita dal governatore lombardo Fontana: «Dobbiamo cercare di ridurre l’affollamento e le ipotesi sono due : o riduciamo la gente che va al lavoro o la gente che va a scuola». Come se la scuola non fosse anche un luogo di lavoro. Il criterio è chiaro: la produzione va avanti a costo della salute. C’è poi il problema politico su chi decide in uno stato di emergenza e si assume le responsabilità politiche sia della programmazione, sia dei suoi fallimenti. Il governo non ha fatto né l’uno, né l’altro e oggi assiste alle fughe in avanti delle regioni che dimezzano le attività di un luogo relativamente sicuro, mentre lasciano aperti gli altri dove presumibilmente i contagi da Covid avvengono molto più spesso.
Gli studenti ieri sono tornati in piazza e hanno organizzato presidi e flash mob di protesta in molte città. «Il problema del contagio non sono le scuole, ma come è stata organizzata la riapertura – ha detto Alessandro Personè dell’Unione degli Studenti – Durante i mesi estivi non si è lavorato abbastanza per potenziare le corse dei trasporti, costruire nuove aule contro le classi pollaio e garantire l’organico necessario. Ora stiamo scontando un piano di riapertura che non ha dato risposte ai problemi che ogni giorno stiamo vivendo».
La scuola è stata l’ultima a riaprire a settembre, dopo mesi di didattica online, e la prima ad avviarsi verso la chiusura. Gli ultimi 40 giorni di attività didattica sono passati già in alternanza scuola-schermo con carenze di organici e spazi, «senza programmare le lezioni, dosare i programmi, pensare oltre la singola lezione» racconta il movimento «Priorità alla scuola».
(Il Manifesto)