Lettere al Direttore Marco Tarquinio, e risposta
Caro direttore,
la ritirata italiana dal Mar Mediterraneo inizia nell’autunno del 2016 dopo un periodo di presenza capillare della nostra Marina, iniziato con Mare Nostrum, un’operazione non solo umanitaria ma anche di sicurezza marittima, mirata al contrasto del traffico di esseri umani e di filtro sanitario, in stretto coordinamento con il Ministero dell’Interno e della Salute, missione evoluta in Mare Sicuro, dettata dall’ingresso di Daesh-Isis in Libia e dall’innalzamento della minaccia marittima.
Un fatto è certo, nel periodo 2013-2016, l’Italia controllava il Mediterraneo centrale, assicurando la tutela della vita in mare e il contrasto dell’uso illegittimo del mare. La presenza delle nostre navi nelle acque prospicienti la Libia consentiva, ad esempio, di intervenire con reattività anche nella protezione della flotta peschereccia, evitando il sequestro di pescherecci in acque internazionali. Oggi la situazione è molto diversa. Negli ultimi 5 anni il Mediterraneo centrale è diventato mare di nessuno. La ritirata italiana ha avuto conseguenze pesanti e nulla ha potuto fare l’inutile missione dell’Unione Europea Irini, un’operazione di facciata attivata per dare l’impressione di fare qualcosa di concreto nel processo di stabilizzazione della Libia. In realtà come ho avuto modo di scrivere su queste colonne nell’imminenza della sua attivazione, si trattava di una missione destinata al fallimento per le sue regole d’ingaggio, inadeguate rispetto agli obiettivi dichiarati, figlie della pavidità europea nella questione libica. Incapace di far rispettare l’embargo sulle armi da parte delle forze a sostegno di Haftar (Egitto in primis), inerme di fronte all’aggressività delle navi turche, Irini si è dimostrata poco efficace anche nel contrastare il contrabbando di carburante dalla Libia, uno dei compiti aggiunti nella speranza di dare un senso alla sfortunata operazione. Ulteriore motivo di amarezza è che il comando di questa operazione fallimentare, lo dico nel massimo rispetto degli equipaggi e dei comandanti in mare, la cui professionalità e impegno sono fuori discussione, sia in mano italiana.
Il problema più in generale è che manca la consapevolezza del destino marittimo dell’Italia, dell’importanza del mare per la prosperità e sicurezza dell’Italia, da parte della classe dirigente del nostro Paese. Servirebbe in primo luogo una strategia marittima nazionale, definita a livello interministeriale e poi sarebbe il caso di dare la giusta priorità alla questione marittima, interrompendo il declino della Marina Militare, anche in termini di organico del personale (in continua contrazione) oltre che di mezzi. È davvero paradossale che nel nuovo “secolo marittimo” sia proprio la Marina ad avere le minori risorse umane e materiali rispetto a tutte le altre.
Giuseppe De Giorgi
ammiraglio, già capo di Stato Maggiore della Marina
Caro direttore,
non sappiamo chi abbia deciso il sorvolo delle “Frecce tricolori” durante la celebrazione della festa di san Francesco d’Assisi. Tale esibizione a bassa quota sul Sacro Convento il 4 ottobre ha messo in pericolo l’incolumità dei pellegrini e fatto tremare le pareti con gli affreschi di Giotto come in un terremoto. Le frecce tricolori sono strumenti bellici, annuncio di guerra, foriere di morte, altamente inquinanti e pericolose. Ci stupiamo perciò che i frati e io loro portavoce abbiano acconsentito e si siano entusiasmati per tale spettacolo di vana potenza militare e tecnologica, che oggi è seriamente messa in crisi da un invisibile coronavirus ! Basta con l’idolatria degli strumenti di morte! Convertiamoci invece all’impegno per il disarmo, la custodia del creato e la Fratellanza universale.
Rocco Altieri
presidente Centro Gandhi, Pisa
Gentile direttore,
con stupore e dispiacere ho letto le parole entusiaste con le quali il sito francescano www.sanfrancescopatronoditalia.it e il portavoce del Sacro Convento di Assisi hanno presentato e ringraziato le “Frecce tricolori” che hanno sorvolato Assisi il 4 ottobre, giorno dedicato a san Francesco, alla presenza delle autorità civili, militari e religiose. Il mezzo scelto per rendere omaggio a san Francesco, a parere mio e di tanti amici impegnati nei movimenti per la pace, il disarmo, la nonviolenza e la salvaguardia della natura, è assolutamente improprio e dai frati di San Francesco mi sarei aspettato una presa di distanza. Cos’ha da spartire la pattuglia acrobatica formata da 9 aerei militari con lo spirito di Francesco d’Assisi? Sono velivoli militari (non civili), dispendiosi e inquinanti, che non meritano il plauso di chi ha a cuore i poveri. Basterebbe considerare che il piano di rinnovamento degli attuali M339 con i nuovi M345 costa all’Italia 300 milioni. Quando sono andato a vedere in Youtube il filmato, mi si è aperta casualmente la pubblicità di “Save the children”, che mostra strazianti immagini di bambini gravemente denutriti e conclude: «Con 9 euro puoi donare il trattamento giornaliero di cibo proteico a 10 bambini malnutriti». Un’ora di volo di un solo aereo militare costa oltre 4.000 euro. L’accostamento tra le due realtà, nonostante non sia una novità, mi ha turbato. Ho subito ripensato all’appello ripetuto da papa Francesco nell’Enciclica firmata in quella Basilica il giorno prima: “Con il denaro che si impiega nelle armi e in altre spese militari costituiamo un Fondo mondiale per eliminare finalmente la fame e per lo sviluppo dei Paesi più poveri”. Ma non è solo per motivi economici che i Francescani di Assisi avrebbero dovuto criticare l’omaggio militare: è per il messaggio recondito che sta in quegli aerei presentati come vanto della nazione, cioè nascondere sotto la spettacolarità di quegli aerei da addestramento, l’orribile verità degli strumenti di guerra, i cacciabombardieri, capaci di portare morte e distruzione persino con le bombe atomiche. Con loro reciterei volentieri ad Assisi la preghiera francescana, che indica la via da seguire per essere in perfetta letizia e diffondere la pace: “Signore, fa di me uno strumento della tua pace …”.
E l’anno prossimo, se proprio si vuole fare un omaggio moderno a San Francesco, si faccia volare sopra Assisi un piccolo aereo con una grande scritta “Fratelli tutti strumenti di pace”.
Pierangelo Monti
presidente Movimento internazionale della Riconciliazione (Mir), Torino
Che c’entrano le Frecce Tricolori in festosa esibizione nel cielo di Assisi con le navi militari della nostra Marina che sono state, e purtroppo non sono più, impegnate nel Mediterraneo in quella che fu la missione Mare Nostrum per fermare i traffici di esseri umani, di armi, di petrolio e di droga e per soccorrere coloro che poi sono diventati i naufraghi di “serie B”: poveri, per di più dalla pelle scura, che è disdicevole soccorrere? E che c’entra il lucido ragionamento dell’ammiraglio De Giorgi sul ruolo (abbandonato) dell’Italia nelle acque di casa (meno sicurezza e meno peso politico nell’area, per paura appunto di dover accogliere profughi e migranti raccontati come “invasori”) con le limpide rimostranze di due altri amici innamorati della pace e sconcertati per la scia verde-bianco-rossa disegnata in omaggio a san Francesco da jet militari sia pure trasformati in un simbolo della Repubblica e armati solo di colore? Formulando così queste domande so di avere già cominciato a dare una risposta. E mi rendo conto che essa può non piacere a tutti.
Provo allora a spiegare perché le Frecce Tricolori mi emozionano e rasserenano così come l’impiego generoso ed efficace della Marina militare nel mare che per cultura siamo abituati a considerare ponte d’acqua tra Europa e Africa e non duro muro liquido tra due mondi contrapposti. In entrambi i casi si tratta di strumenti potenzialmente di guerra che vengono invece usati in modo pacifico, e che diventano espressione di Forze armate “disarmate” di intenzione aggressiva secondo lo spirito della nostra Costituzione. Sogno anch’io un mondo senz’armi di offesa e, infine, anche senza bisogno di armi di difesa, e – per la mia piccola parte – provo a dare una mano alla sua costruzione, felice che la mia Chiesa questa metà indichi e con la forza della Parola, questo domani prepari. Lungo la strada, però, mi riempie di gioia anche vedere strumenti militari usati per civiltà e bellezza, per rincuorare e non per atterrire e uccidere.
(Avvenire)