Da una parte, Trump che alimenta l'”onda rossa”, accompagnato da una folla entusiasta;
dall’altra, la campagna elettorale ‘erratica’ di Biden che rimane in testa nei sondaggi ma vede il vantaggio assottigliarsi
La folla. L’entusiasmo. “We love you”. Il tuono. L’onda rossa. “Four more years”. Se c’è un tratto, un segno, un paradosso nella campagna elettorale della mascherina e del distanziamento, è la massa. E non c’è solo quella straripante di Trump. Perché è vero che Joe Biden ha fatto una campagna in assoluta assenza, quasi in incognito, certamente per pochi intimi ma (forse) dalla sua parte avrà un fiume di persone che hanno votato in anticipo. Perché nella corsa della non presenza c’è un’immanenza (il record assoluto di “early voting”) e una trascendenza (il collegio elettorale). L’eterno conflitto della democrazia in America, il voto popolare e il numero magico, 270, il numero dei grandi elettori che apre la porta del sesamo di Pennsylvania Avenue, numero 1600, la Casa Bianca.
Biden ha scelto di fare una campagna da solo: esibisce la patente della responsabilità. Trump la fa radunando il suo esercito di “miserabili”. Se trionfa Joe siamo di fronte al primo candidato vincente-assente della storia della politica americana; se vince Trump siamo al di là del bene e del male, nel territorio della mistica politica e dell’azzardo. Se vince Biden, è un consumato pilota da Nascar ma, se perde, verrà ricordato come quello che non ha mai spinto l’acceleratore, ha finito la benzina, è in vantaggio di un paio di giri, riesce a passare sui chiodi seminati dall’avversario e buca le gomme. Perché Joe Biden, l’uomo di Scranton (Trump non è d’accordo neppure su questo), ha una doppia arma che è una doppia occasione: 1. il coronavirus e le sue conseguenze nefaste per chi governa; 2. oltre 71 milioni di americani che a oggi hanno votato in anticipo e alla vigilia del voto saranno oltre 85 milioni con un’affluenza che supererà i 150 milioni di elettori.
Chi ha avuto la meglio nel voto anticipato?
Sul voto anticipato ci sono due scuole di pensiero, le abbiamo entrambe sul taccuino, eccole: 1. quelle file ai seggi sono l’onda blu dei dem che travolgerà Trump; 2. no, sorpresa, si sta formando l’onda rossa, gli elettori repubblicani stanno andando anche loro ai seggi e alla fine consegneranno la “tuonante vittoria” al loro condottiero.
Come la mettiamo? Andiamo in Texas, lo Stato della stella solitaria, fortezza repubblicana. Bene, tra Houston e El Paso ci sono quasi 8 milioni di schede depositate in anticipo dagli elettori. Se fosse vera l’onda blu, Biden riuscirebbe nell’impensabile, ribaltare il Texas. Ma potrebbe anche esserci un’altra via, tutt’altro che remota: buona parte di quei voti sono repubblicani. Se così fosse, allora tutta la narrazione dell’onda blu, oplà, diventa un’onda rossa. Andiamo avanti: il vantaggio dei democratici nel voto anticipato potrebbe essere un miraggio, perché quello che si vede nella campagna – e quello che si vede per noi cronisti conta – è una forte mobilitazione della fan base di Trump. Nella sola giornata di ieri, The Donald ha inanellato tre comizi in tre Stati (Michigan, Wisconsin, Nebraska) e in questa tripletta ha fatto sempre il pieno. A Omaha, la Polizia ha dovuto avvisare la popolazione: “Il parcheggio assegnato alla manifestazione di Trump di oggi è pieno. Le navette non trasporteranno più le persone all’evento. Non si potrà accedere al raduno a piedi, Uber, taxi o qualsiasi altro mezzo di trasporto. Parcheggio non consentito nei quartieri circostanti”. Le indicazioni del traffico non sono una nostra passione, ma in questo caso sono la spia rossa sul cruscotto dell’auto: la pressione del motore repubblicano è al massimo. Trump nei suoi comizi continua a dire che c’è più entusiasmo rispetto a quattro anni fa. E attenzione: invita gli elettori a votare in anticipo, “get out and vote”, cosa che è inusuale per i repubblicani. Trump oggi si è svegliato in Nevada, va in Arizona dove un primo comizio alle 12 (ora locale), poi un altro evento sempre in Arizona alle 14.45 (ora locale), trasferimento per la notte in Florida. Prendere nota di questi due Stati: Arizona e Florida. Tutto nell’elezione ha un perché e un come. Gli analisti in queste ore stanno pesando tutto ciò che dice Trump perché nelle sue “sparate” s’annidano sempre cose vere che poi si materializzano. La media nazionale di Real Clear Politics vede Trump in svantaggio di 7,2 punti, ma negli Stati in bilico il distacco è di soli 3,8 punti, Biden non è nella comfort zone, tanto che egli stesso dice di non essere sicuro della vittoria. Trump in teoria è perdente in tutti gli Stati in bilico, ma se andate a chiedere agli strateghi repubblicani vi diranno: “Vince”. E se chiedete a quelli democratici, nessuno vi dirà: “Perde”. Non è solo il gioco scaramantico, è l’incertezza di un’elezione che ha un precedente indimenticabile (il terremoto del 2016) e uno scenario mai visto nella storia, il voto con la pandemia.
L’erratica campagna elettorale di Biden
La campagna presidenziale è a dir poco strana. Nella erratica non-presenza di Biden (lunedì non aveva appuntamenti, a 8 giorni dal voto) ieri è comparso un Biden in Georgia. Non solo, avremo un Biden in Arizona e perfino in Iowa. Perché mai un candidato democratico alla Casa Bianca, che ha di fronte un carro armato come Trump che sta facendo tre rally al giorno negli Stati in bilico, va a perdere tempo dove non vince un democratico dal 1992 (Bill Clinton). Probabilmente lo staff della campagna di Biden crede che i sondaggi siano attendibili e dunque la Georgia potrebbe ballare il swing, Real Clear Politics dà un testa a testa con Trump al 47,2% e il dem al 46,8%. Possibile? Tutto lo è, la pandemia ha stravolto l’America e le abitudini degli elettori. In questa dimensione, si muove quello che viene dipinto come l’incredibile Hulk, Trump.
Trump fa politica e ha un piano per farla con il massimo risultato possibile
Il Trump dipinto in Europa come un cavernicolo della politica, semplicemente non esiste, quello che si impagina è una caricatura, la sua figura è certamente sulfurea, il suo carattere impossibile, le sue idee controverse, le sue pulsioni irrefrenabili fanno orrore ai democratici di tutte le latitudini, ma dopo 4 anni al governo, quello che potrebbe perdere la presidenza (clamorosa sconfitta di un incumbent) o riconquistare la Casa Bianca (clamorosa vittoria di uno sfavorito totale) è una sagoma che fa politica e ha un piano per farla con il massimo risultato possibile.
Un esempio? Il suo atto più importante, la nomina di Amy Coney Barrett alla Corte Suprema, è giunto con il massimo della programmazione e coordinamento tra la Casa Bianca e il gruppo repubblicano al Senato guidato da Mitch McConnell. A partire dalla selezione della candidata – un’outsider, fuori dal giro delle università della Ivy League, è la prima volta; un’allieva del principe della scuola originalista, il giudice Antonin Scalia – Trump ha seguito una sua idea: fare una scelta di grande impatto sulla Corte Suprema e incastonarla nel calendario elettorale per significato e tempi di esecuzione. Così è arrivata la nomina di Barrett, conservatrice, cattolica, critica sull’aborto, madre di sette figli; così il voto del Senato è arrivato a velocità supersonica (il più rapido della storia) alla vigilia delle elezioni presidenziali; così la cerimonia di giuramento con il giudice Clarence Thomas è stata un momento solenne con Trump alla Casa Bianca. Un enorme fatto istituzionale, una scelta che avrà un impatto per decenni (Barrett ha 48 anni e il suo incarico di giudice è a vita) sulla vita quotidiana degli americani, un voto che è andato dritto al punto e i dem a vuoto, un altro elemento fondamentale dello storytelling trumpiano della campagna presidenziale: il presidente che decide, che non chiude bottega per pandemia, che non sta nel “basement”, il Commander in Chief che ha preso il virus e lo ha sconfitto. È il suo racconto. Cavernicolo?
Nel campo dell’immanenza, il voto popolare, Biden può pensare di vincere probabilmente con un margine superiore al 2,1% di Hillary Clinton nel 2016, ma nella trascendenza, il collegio elettorale, tutto è in gioco. Biden negli Stati in bilico è messo meglio di Clinton, non ci sono dubbi, ma il sudoku elettorale di Trump, il percorso verso la vittoria, è ancora tutto in piedi, ha guadagnato terreno in 9 Swing States su 12, Biden resta in vantaggio in 10 su 12. Bella sfida, sulla carta.
Biden sta perdendo terreno ma rimane in testa. I sondaggi Stato per Stato
Biden sta perdendo terreno, il distacco si sta assottigliando, ma resta in testa e dunque è ancora più che favorito per la Casa Bianca. Una interessante analisi pubblicata da USA Today, divide i Battleground States in quattro gruppi, vediamoli.
Primo gruppo: I tre grandi Stati della Rust Belt: Michigan, Pennsylvania e Wisconsin.
Se Biden vince qui, è fatta, e può provarci perché Trump nel 2016 vinse con meno dell’1% di distacco, in tutto 80 mila voti. Tre Stati e la presidenza è sua. E Trump? Qui sta battendo il chiodo, ne deve vincere almeno uno tra questi tre per tenere in piedi il suo sudoku elettorale. Nel gruppo dei tre grandi Stati, l’affluenza sarà la più alta mai registrata in 100 anni. L’analisi politologica continua a considerare questi tre Stati come il Muro Blu democratico, dunque la vittoria di Trump nel 2016 è solo un incidente della storia. Domanda sul taccuino dei cronisti: c’è ancora il blue wall? Ecco perché la Pennsylvania e il dibattito sull’energia, il petrolio, il fracking, sono diventati improvvisamente il tema centrale della campagna, se Trump rompe quel muro (ammesso che ci sia) mantiene in piedi la possibilità di centrare il suo percorso verso la vittoria. E attenzione, tutto si gioca al micro-livello, la contea. Esempio: a Luzerne, posto della working class americana, Obama vinse con 5 punti di distacco su McCain, ma Trump nel 2016 ha messo a segno un impressionante +19%. Quando vedete i nomi di località ai più sconosciute in Europa, dovete pensare ai voti, alle contee. Ecco dunque i vostri cronisti raccontare The Donald e i suoi Maga rally da Allentown, da Lititz, da Martinsburg. Trump non a caso si sta concentrando sulla pratica della Pennsylvania, dei tre Stati è quello dove va meglio nei sondaggi, e vale 20 grandi elettori. Se spezza i sogni di Biden qui, può sperare nella vittoria finale. “La Rust Belt è la prima linea di difesa di Biden, adesso sembra molto solida, ma tutto può cambiare”, avvisa Paleologos. “Il muro blu sarà ricostruito”, dice Biden. Lo sapremo, ma non subito. Il conteggio nei tre Stati sarà lento e c’è lo spoglio del voto per posta che è contemporaneo a quello espresso al seggio. Dinamica del voto: negli Stati della Rust Belt arriva prima lo spoglio dei voti in persona nell’Election Day, poi quello del voto per posta. Risultato: il primo conteggio vedrà Trump in vantaggio, ma poi potrebbe esserci il recupero di Biden con il voto per corrispondenza, si chiama “blue shift” e vedremo se resta una teoria o diventa un caso da mal di testa elettorale. La sfida è da rasoio, ma guardate questi numeri, medie di Real Clear Politics:
– Michigan 2016: Trump vinse con un margine di 0.23%;
– Michigan 2020: Biden è in testa di 8.1 punti;
– Wisconsin 2016: Trump vinse con lo 0.77% di distacco;
– Wisconsin 2020: Biden è in vantaggio di 5.1 punti;
– Pennsylvania 2016: Trump vinse con lo 0.72% di margine;
– Pennsylvania 2020: Biden è in vantaggio con il 5.3%.
Se Biden perde il voto nella Rust Belt, si realizzerà la profezia di Frank Luntz: il loro mestiere sarà finito. Per sempre.
Secondo gruppo. I tre grandi Stati della Sun Belt: Arizona, Florida, North Carolina.
Qui il voto per posto viene conteggiato in anticipo, dunque questi tre Stati ci daranno il vincitore in tempi brevi rispetto ai tre della Rust Belt. Anche qui, Biden è in vantaggio nei sondaggi, nonostante Trump vinse tutti e tre gli Stati nel 2016. Il piatto più importante è quello della Florida, 29 grandi elettori. Obama è andato a Miami, Biden ci sarà domani, Trump e il suo clan (ieri Ivanka era a Sarasota) sono una presenza fissa. Se Trump perde la Florida, deve vincere tutti e tre gli Stati nella Rust Belt. The Donald si trova nella condizione della missione Apollo 13: “Failure is not an option”, non può fallire. E anche se Trump vince in Florida e porta a casa Arizona e North Carolina, non è al sicuro, perché Biden può conquistare tutti gli Stati di Clinton nel 2016 e aggiungere i tre della Rust Belt e dunque andare a sedersi nello Studio Ovale al posto dell’odiato Trump. Rivediamo i numeri di ieri e quelli di oggi:
– Arizona 2016: Trump vinse con 3.5 punti di vantaggio;
– Arizona 2020: Biden ha un vantaggio di 2.4 punti;
– Florida 2016: Trump vinse di 1.2 punti;
– Florida 2020: Biden ha un vantaggio di 1.5 punti;
– North Carolina 2016: Trump vinse di 3.7 punti;
– North Carolina 2020: Biden è in vantaggio di 1.2 punti.
Ripetiamo la frase di Frank Luntz: se Trump vince le elezioni il mestiere dei sondaggisti è finito. Per sempre.
Terzo gruppo. Stati difficili da ribaltare per Biden: Iowa, Ohio, Georgia e Texas.
Sono tutti rossi, Trump li ha difesi facendo campagna, se Biden vince qui, è il segno di una “landslide victory”, una vittoria a valanga che sarebbe un balsamo per i democratici che temono i ricorsi di Trump sul voto dove, notare bene, a decidere poi dovrebbe essere la Corte Suprema che ha una schiacciante maggioranza conservatrice di 6 a 3. Trump deve vincere tutti questi Stati, una sola sconfitta può essere il segno del collasso, il Texas vale da solo 38 delegati. Stesso giochino passato-presente, anche qui abbiamo l’ombra della profezia di Frank Luntz sui sondaggisti, vediamo i numeri:
– Iowa 2016: Trump vinse con 3.5 punti;
– Iowa 2020: Biden è in vantaggio di 2.4 punti;
– Georgia 2016: Trump vinse di 0.4 punti;
– Georgia 2020: Biden è avanti di 1.5 punti;
– Ohio 2016: Trump vinse con 3.7 punti;
– Ohio 2020: Trump è in vantaggio di 0.6 punti;
– Texas 2016: Trump vinse con 9 punti;
– Texas 2020: Trump guida la corsa con 3 punti di vantaggio.
Ora vediamo il quarto gruppo, l’ultimo. Gli Stati che Trump spera di ribaltare: Minnesota, Nevada e New Hampshire.
Domanda sul taccuino: e se Trump ribalta qualcuno degli Stati che Clinton vinse nel 2016? Grande sorpresa e conteggi tutti da rifare. Trump ha fatto campagna in tutti e tre gli Stati, Biden ha dovuto difendersi. Il ragionamento della campagna di Trump è semplice: se perdo qualcosa nel Midwest, allora devo sostituirlo con uno di questi tre Stati. La cosa è tutt’altro che remota, il Minnesota, 10 delegati, è la preda di Trump. Se vince in uno Stato che non elegge un presidente repubblicano dal 1972, tutto è possibile. Numeri:
– Minnesota 2016: Clinton vinse di 1.5 punti;
– Minnesota 2020: Biden in vantaggio di 6 punti;
– Nevada 2016: Clinton vinse di 2.4 punti;
– Nevada 2020: Biden è avanti di 5.2 punti;
– New Hampshire 2016: Clinton vinse di 0.37 punti;
– New Hampshire 2020: Biden è avanti di 11 punti.
Se Trump ribalta uno di questi Stati, Frank Luntz cambia mestiere e i sondaggisti devono trovare riparo sulla Luna. Come chiudiamo? Con una doppia immagine, perché quello che si vede per i cronisti conta: ieri notavamo la collisione dei due mondi, le immagini di un evento di Biden quasi solitario, con i cerchi per il distanziamento disegnati sul prato e, su altro prato, l’arrivo in Cinemascope dell’elicottero Marine One di Trump tra la folla. È quello che si vede, ai lettori il giudizio, agli elettori il verdetto.
(Agi)