La riforma del sistema postale statunitense è solo l’ultimo atto di decenni di politiche liberiste mirate a privatizzare i servizi pubblici e sta mettendo a rischio il voto per posta di milioni di americani. Lavoratori e postini boicottano le nuove misure, sostenuti da una mobilitazione in difesa di una delle istituzioni più democratiche del paese
Il 20 ottobre la Corte Suprema ha stabilito che in Pennsylvania potranno essere conteggiati i voti ricevuti per posta fino a tre giorni dalla data delle elezioni, anche se con timbri postali illeggibili. Si tratta di una sconfitta di Trump e dell’amministrazione repubblicana che, di fronte alla decisione dello stato del Pennsylvania di allungare i tempi utili per ricevere le schede, per far fronte ai ritardi del servizio postale causati dalla pandemia in corso, chiedeva invece che venissero conteggiate solo le schede ricevute entro il 3 novembre, giorno in cui si vota per le presidenziali.
Se nel 2016 circa un quarto degli elettori americani ha votato per posta,
quest’anno si stima che a causa della Covid-19 gli elettori che sceglieranno questo metodo potrebbero essere più del doppio, secondo il “New York Times” circa 80 milioni.
Il processo è stato semplificato negli stati a guida democratica, mentre si registrano più restrizioni negli stati conservatori. In California, per esempio, il 72% degli elettori ha votato per posta durante le primarie, mentre in altri stati la richiesta di ricevere una scheda a domicilio deve essere giustificata con un valido motivo. Le schede richieste da elettori democratici sono il 44,1% del totale, a fronte del 25,7% di quelle richieste da chi è registrato come repubblicano. È per questo motivo che Trump ha adottato una strategia precisa mirata a seminare il caos e screditare il sistema, parlando di brogli e accusando di inefficienza il servizio postale americano. È analizzando questo dato che si sono levate le prime voci che mettono in guardia contro l’eventualità che Trump rifiuti i risultati delle elezioni, aprendo a scenari inediti. A luglio il “Guardian” descriveva l’ipotetica situazione in cui due candidati rivendicano entrambi la vittoria, a causa delle dispute nate nei tre swing states, Michigan, Wisconsin and Pennsylvania, in cui i voti per corrispondenza possono essere contati solamente a partire dal giorno delle elezioni – a differenza di altri stati in cui lo spoglio può cominciare prima. Per contare i voti in questi tre stati ci vorranno giorni, se non settimane.
L’incognita reale, in questo scenario, rimane il numero di schede che saranno dichiarate nulle. Se in passato le schede invalidate – perché spedite in ritardo o prive di firma, o perché la firma non corrisponde a quella depositata presso il proprio distretto – erano circa l’1%, a novembre potrebbero essere molte di più. Ancora il “New York Times” stima che i voti espressi da gruppi schierati in maggioranza per Biden hanno molta più probabilità di essere rigettati: sono giovani, persone delle comunità nere e ispaniche e quanti votano per posta per la prima volta. Queste stime si basano sull’analisi delle primarie in Florida – dove le schede annullate sono state 18.500. Sono cifre che contano quando si tiene a mente che nel 2016 Trump vinse le elezioni grazie a una differenza di 80.000 voti nei tre stati del Michigan, Wisconsin e Pennsylvania.
Nonostante Trump stesso abbia votato per posta nelle primarie in Florida, una gran parte della sua campagna elettorale è stata focalizzata sulla presunta inaffidabilità di questo sistema.
A settembre, durante un comizio in North Carolina, il presidente esortò le persone a votare prima per posta e poi a presentarsi alle urne di persona – cosa per altro illegale. La nomina di Louis DeJoy a direttore dei servizi postali statunitensi (United States Post Service, USPS) a giugno è stata vista da molti come un attacco diretto teso a ostacolare il voto democratico. DeJoy è amico e finanziatore di Donald Trumpe prima della nomina si occupava di fundraising per il partito repubblicano. Si tratterebbe insomma di attaccare direttamente il servizio postale per realizzare le profezie di Trump: il sistema postale non reggerà.
LA CAMPAGNA IN DIFESA DELL’USPS
Nel mese di agosto gli effetti della nuova gestione delle poste sono diventati evidenti, con i primi gravi ritardi nel servizio di consegna. DeJoy è stato contestato dai sindacati e dalla portavoce della Camera Nancy Pelosi che ha richiamato i deputati dalla pausa estiva per votare una legge a difesa della USPS e costringere DeJoy a fare marcia indietro su una serie di riforme, tra cui la rimozione di macchinari per lo smistamento, il prepensionamento di migliaia di lavoratori, il blocco dei turni di consegna straordinaria. Le conseguenze di uno smantellamento delle poste pianificato dall’interno non riguardano solo il voto: una mobilitazione popolare si è schierata in difesa di una delle istituzioni più importanti del paese, responsabile anche della consegna di sussidi, di medicinali, del trasporto di animali, che in alcune occasioni sono arrivati a destinazione privi di vita. Mentre si organizzavano sit-in e cresceva l’ondata di proteste, la senatrice Warren ha chiesto che venisse aperta un’indagine da parte dell’ispettore generale delle poste. Ad agosto i democratici sono riusciti a far passare una legge di stimolo economico che conteneva 25 miliardi per il servizio postale – sebbene non sia poi stato possibile trovare un accordo al Senato. Trump ha annunciato che avrebbe bloccato questa legge, e senza fare mistero delle sue intenzioni reali, ha detto a Fox News che «se non ci sono i soldi, non c’è il voto per posta». Il report dell’ispettore generale delle poste, richiesto da Warren e da poco pubblicato, parla di un accumulo di posta presso gli impianti di smistamento e gli uffici postali che non è stato ancora smaltito. Nel frattempo, varie sentenze sono state emesse che annullano queste riforme in vista del voto, l’ultima il 27 ottobre, del tribunale distrettuale di DC, che accoglie le proposte avanzate da quanti hanno fatto causa al servizio postale, tra cui il gruppo Vote Forward e il NAACP (National Association for the Advancement of Colored People).
Un articolo del “Washington Post” ricostruisce il modo in cui sono stati gli stessi lavoratori delle poste, già messi a dura prova dalla pandemia, a boicottare le nuove misure introdotte. Parlando anonimamente – c’è un documento interno che vieta di rilasciare dichiarazioni alla stampa – i lavoratori intervistati hanno affermato che sono pronti a sfidare le direttive che limitano lo svolgimento delle loro mansioni. «I meccanici di New York hanno intralciato lo smantellamento e la rimozione delle macchine per lo smistamento della posta fino a quando il loro supervisore non ha rinunciato ad applicare le direttive. Nel Michigan, un gruppo di postini ha ignorato gli ordini del supervisore di lasciare indietro la posta elettorale, iniziando il turno in ritardo per classificare le buste. In Ohio, gli impiegati hanno raccolto le prescrizioni mediche e i sussidi dai bidoni della posta in attesa di essere divisa per assicurarsi che venissero consegnata in tempo, mentre alcuni corrieri hanno fatto le ultime consegne nel loro tempo libero. In Pennsylvania, alcuni impiegati postali hanno usato ogni sorta di scusa – avevano sbagliato strada, il traffico era intenso, li aveva aggrediti un cane – per guadagnare tempo e allungare il turno».
Tra i lavoratori c’è la sensazione che le direttive imposte dall’alto tradiscano lo spirito stesso del servizio che offrono.
Il loro motto è «Every piece, every day» (ogni busta, ogni giorno), ora gli si chiede di «rallentare volontariamente». Gli impiegati «si percepiscono come corrieri» da cui dipende la consegna di «medicinali, buste paga, bollette», il loro è un rapporto di «vicinato con tutte le persone che incontrano lungo la via». Per molti anziani l’unica visita su cui possono contare è quella del postino, che li conosce e controlla che stiano bene. «Durante la pandemia questo senso di responsabilità non ha fatto che aumentare».
Le poste statunitensi vantano di essere l’unico servizio che raggiunge ogni singola abitazione in tutto il territorio nazionale. Il servizio connette fisicamente il paese e quasi tutti sono concordi nel ritenere che lo smantellamento delle poste avrebbe un impatto molto serio nelle zone rurali – zone dove già la connessione internet scarseggia – dove si parla di aumentare i prezzi e ridurre i servizi. Quella che è a tutti gli effetti la privatizzazione di uno dei pochissimi servizi percepiti come pubblici negli Stati Uniti è stata duramente contestata in nome di un senso di comunità che il servizio postale da sempre rappresenta. In un paese in cui la parola community è spesso ambigua – dove le community sono spesso molto piccole – questo senso di connessione è profondamente radicato nel carattere democratico del servizio postale.
LE POSTE SONO UN’ISTITUZIONE DEMOCRATICA
Il servizio postale ha avuto un ruolo centrale nella campagna di Bernie Sanders, che ne avrebbe reimmaginato il ruolo e rafforzato una serie di funzioni. Sebbene sia uscito dalla corsa elettorale, il senatore socialista ha dato vita a una serie di Unity Task Forces insieme a Joe Biden. Una di queste chiede al partito democratico di sostenere la richiesta per la creazione di un sistema bancario governativo da istituirsi con la Federal Reserve e la USPS. Si tratta in sostanza di affidare al sistema postale la gestione di una serie di servizi finanziari pubblici e accessibili, servizi che al momento, a differenza di paesi come l’Italia, sono offerti solamente dalle banche e dal settore privato. Altre proposte per salvare il sistema e invertire la rotta sono incentrate sul ruolo che gli uffici postali potrebbero avere nella diffusione delle notizie, come centri di riferimento per un’informazione locale, affidabile e accessibile. In generale, la campagna per la difesa della USPS si basa sull’idea che un’agenzia governativa che offre servizi necessari alla comunità non può in alcun caso essere privatizzata.
Le prime spinte nella direzione di privatizzare il sistema postale statunitense risalgono al 1970, quando il Congresso varò una riforma che imponeva all’agenzia statale di operare sia come servizio pubblico che come attività economica.
Per questo l’USPS si definisce come una «self-supporting government enterprise», un’impresa che si autofinanzia. Nel 2006 la Postal Accountability and Enhancement Act ha poi imposto all’ente di pagare anticipatamente le prestazioni pensionistiche e sanitarie dei propri lavoratori, un obbligo che non spetta ad alcun altro ente governativo, per non parlare delle aziende private. Oggi questi costi rappresentano quasi tre quarti, ovvero 119,3 miliardi di dollari, del debito dell’USPS. La normativa ha creato il deficit oggi divenuto insostenibile. Secondo l’opinione diffusa si tratta di un classico esempio di fallimento pianificato che serve a spianare la strada alla privatizzazione. I tagli di DeJoy servirebbero in questo senso a rientrare di un disavanzo che rischia di portare a un collasso che si stima potrebbe avvenire a giugno. Un analista della Government Accountability Office ha dichiarato tuttavia che il debito è talmente grande che nessuna delle misure prese da DeJoy sarà in grado di sanarlo. Afferma che cambiamenti piccoli non servono, rimangono solo «scelte importanti da prendere. Oppure, in ultima analisi, il Congresso dovrà pagare per questo»
Quello che viene presentato come il fallimento di una delle istituzioni più importanti del paese è tuttavia il modo stesso in cui il sistema era in origine pensato.
La maggior parte degli analisti e dei media non menziona il fatto che il sistema postale è nato come servizio pubblico interamente finanziato dal Congresso.
Il Post Office Act del 1792 è stato definito come uno degli atti di legislazione più importanti dopo la Costituzione americana. Si intreccia con la storia dell’indipendenza degli Stati Uniti, in un processo che portò il paese a smantellare un sistema largamente monarchico fondato sui privilegi e a istituire un sistema democratico di ispirazione repubblicana. Il Post Office Act riflette infatti l’obbligo da parte del governo di «fornire ai cittadini l’accesso alle informazioni sugli affari pubblici». Se in Gran Bretagna il sistema vittoriano venne smantellato solo nel 1839 perlopiù in nome del libero commercio – con la comparsa del primo francobollo al costo ridotto di un penny – negli Stati Uniti il Post Office Act fu il risultato di accesi dibattiti all’interno del Congresso circa il ruolo che la stampa doveva svolgere nella costruzione di una nuova idea di cittadinanza. Fu deciso, dopo una serie di discussioni, che tutti i giornali avrebbero avuto diritto di circolazione allo stesso prezzo, molto basso. La storia delle poste si intreccia negli Stati Uniti con la storia del giornalismo – i nomi di molti quotidiani conservano memoria di questo, basti pensare a quanti nomi oggi contengono la parola Post. Prima dell’invenzione del telegrafo e prima dell’era delle ferrovie, la fitta rete di comunicazione che sorse tra stamperie – che erano autorizzate a scambiarsi gratuitamente le proprie pubblicazioni, incentivando così la circolazione delle notizie – di fatto unificò in paese.
Quando Tocqueville visitò il paese nel 1831 scrisse che non c’era provincia francese in cui gli abitanti si conoscevano così bene come i tredici milioni di uomini sparpagliati per tutto il territorio nazionale americano. È stato notato che «dopo il 1792, la sfera pubblica non era più patrimoniale nel senso di essere più o meno coincidente con il numero relativamente piccolo di persone che vivevano in stretta vicinanza fisica con le sedi del potere. Si era disincarnata, estendendosi ben oltre le specifiche località per arruolare le menti e i cuori di milioni di persone, poche delle quali si sarebbero mai incontrate di persona». Tutto ciò fu possibile perché la costruzione di un sistema di produzione e circolazione di informazione – la sfera dell’opinione pubblica – fu sovvenzionata e incoraggiata dal Congresso. Nel 1832 i giornali costituivano il 95% delle consegne contribuendo a un mero 15% degli introiti del sistema postale. «Nessun singolo atto legislativo ha fatto di più per ampliare gli orizzonti geografici della vita pubblica americana».
Non solo la storia di come è nata questa istituzione è stata interamente rimossa negli Stati Uniti di oggi
– pochi si soffermano su quanto sia significativo il fatto che Donald Trump intende ostacolare il voto con l’adozione di una strategia tesa a privatizzare del tutto quella è forse l’istituzione più democratica del paese –
ma pochi commentano, inoltre, il fatto che Trump può farlo perché la comunicazione politica oggi già conta su uno spazio apparentemente pubblico ma in realtà privato, in mano alle grandi corporazioni.
Nel 1996 la Telecommunications Act deregolamentava il web per «accelerare la rapida diffusione, da parte del settore privato, di tecnologie e servizi avanzati dell’informazione a tutti gli americani, aprendo alla concorrenza tutti i mercati delle telecomunicazioni». Con la retorica della libertà e della liberalizzazione, si è trattato sostanzialmente di privatizzare il web, l’infrastruttura portante della nuova economia, basata sull’informazione, nata grazie a ingenti finanziamenti pubblici. Il successivo emergere delle piattaforme digitali ha prodotto enormi monopoli con conseguenze sul tipo di informazione prodotta e venduta – oggi interamente asservita alle regole del profitto. In questo quadro la dismissione del sistema postale americano, ultima conseguenza della logica dell’aziendalizzazione dei servizi pubblici, potrebbe essere l’ultimo o il primo tassello di una presidenza che si tiene sulla dismissione dello spazio pubblico tout court, sulla definitiva privatizzazione dello spazio di discussione e di partecipazione che sta a fondamento di qualsiasi società voglia definirsi democratica.
(Dinamopress)