27 Dicembre, 2024
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Elezioni Usa: gli 8 “Swing States” dove si deciderà la partita della Casa Bianca

“Swing States”, “Battlegreground States”, “Stati-chiave”. Cambiano le definizioni ma non la sostanza: si tratta dei territori molto ambiti da entrambi i contendenti alla Casa Bianca.

 

“Swing States”, “Battlegreground States”, “Stati-chiave”. Cambiano le definizioni ma non la sostanza: si tratta dei territori molto ambiti da entrambi i contendenti alla Casa Bianca. Una vittoria qui, dice a Thomas Seymat di euronews, Frédéric Robert,  professore di Civiltà americana all’Università Jean Moulin Lyon3 e specialista di Storia politica degli Stati Uniti, potrebbe essere decisiva.

Vademecum elettorale

Va ricordato che per diventare presidente, il candidato – che non è eletto direttamente dal popolo – deve conquistare la maggioranza assoluta dei voti di un’assemblea chiamata Collegio elettorale. Il Collegio elettorale è a sua volta composto dai grandi elettori, In totale sono 538, quindi per vincere bisogna conquistarne la metà più uno: il numero magico è 270.

Il numero degli elettori in ogni Stato è uguale a quello dei membri del Congresso che rappresentano ciascuno Stato. La Florida, ad esempio, ne assegna 29 e fu decisiva nelle elezioni del 2000 in cui si confrontarono George W.Bush e Al Gore. Nel 2016 l’allora candidata democratica Hillary Clinton perse per un soffio tre  Stati-chiave di cui aveva bisogno per vincere: Michigan, Pennsylvania e Wisconsin. “Biden deve riconquistarli, mentre Trump deve fare di tutto per non perderli e conservare il suo vantaggio negli altri”, rimarca il professor Robert.

 

Gli Stati-chiave

 

Arizona

Nel 2016, gli 11 grandi elettori di questo stato desertico nel sud-ovest degli Stati Uniti sono stati conquistati da Donald Trump con un vantaggio del 3,5% su Hillary Clinton. Stato di confine con il Messico, quasi un terzo della popolazione qui è composto da membri della comunità ispanica, mentre il 5% dei votanti sono nativi americani. Uno dei fattori chiave da tenere a mente è la vasta platea di pensionati che vive in Arizona e che si sente minacciata dalla pandemia di Covid-19.

Da queste parti, inoltre, è forte l’eredità politica di John McCain. McCain, ex candidato repubblicano alle elezioni presidenziali del 2008 e senatore proprio dell’Arizona per più di 31 anni. E’ stato uno dei più feroci critici di Donald Trump: si pensi che per espresso desiderio di McCain, morto il 25 agosto 2018, il presidente USA non è stato invitato al funerale.

Secondo le proiezioni del sito FiveThirtyEight, che usiamo come riferimento in questa pagina, Joe Biden è quasi 3 punti avanti rispetto a Donald Trump.

 

North Carolina

Una delle tredici colonie fondative degli Stati Uniti ed ex stato confederato del Sud, la Carolina del Nord ha visto Donald Trump vincere nel 2016 con un margine del 3,6% su Hillary Clinton.

I grandi elettori in palio qui sono 15.

Dalle elezioni presidenziali del 2000, Barack Obama è stato l’unico democratico a conquistare questa bandierina nel 2008, e solo una volta.

Il voto della comunità afroamericana avrà un ruolo importante, dato che rappresenta una fetta consistente dell’elettorato (oltre il 22%). Lo stesso però vale per gli evangelici, tradizionalmente conservatori: trattasi del 35% della popolazione.

Attenzione, però: alcuni di loro sono afroamericani e questo crea una sovrapposizione tra i due elettorati difficile da Al momento, in North Carolina Joe Biden è in vantaggio di 2,5% punti su Donald Trump.

 

Florida

Si tratta probabilmente del più famoso tra gli Stati chiave. Nel 2000 fu George W. Bush a spuntarla, così come nel 2004, mentre fu Barack Obama ad aggiudicarsi la Florida nel 2008 e nel 2012.

Nel 2016, Donald Trump – che proprio in Florida ha votato – ha conquistato i 29 grandi elettori con un vantaggio dell’1,2% su Hillary Clinton.

Oggi, un abitante su cinque ha più di 65 anni. La pandemia di Covid-19 e la sua gestione da parte del governo Trump peseranno certamente sull’esito del voto.

Un altro fattore chiave è la grande varietà razziale e linguistica: in Florida vive difatti una grande comunità ispanofona (il 26% della popolazione), soprattutto di origine cubana. Non mancano in aggiunta gli afroamericani (17%).

Il 20% dei residenti in Florida è di origine straniera e più del 30% delle famiglie parla, a casa propria, una lingua diversa dall’inglese.

Per ora, Joe Biden è in vantaggio in Florida di 2,4 punti, ma il divario si è ridotto dall’inizio di ottobre. Secondo FiveThirtyEight, se il democratico dovesse farcela, avrà il 99% di possibilità di portare a casa la vittoria finale.

 

Georgia

Questo Stato del Sud, con i suoi 16 elettori, potrebbe essere determinante anche nel 2020.

Qui Donald Trump ha vinto con un vantaggio del 5% su Hillary Clinton nel 2016, ma oggi il margine si è fatto molto più risicato soprattutto a causa dell’evoluzione demografica dello stato (+9,6% di abitanti tra il 2010 e il 2019), della crescita dei sobborghi di Atlanta e della composizione molto diversificata della sua popolazione (32,6% di afroamericani, quasi il 10% di ispanici).

In Georgia non vince un candidato democratico dai tempi di Bill Clinton, uno dei candidati “di sinistra” più moderati, nel 1992. Cambierà qualcosa nel 2020? “Possibile, ma sarebbe comunque sorprendente. Alcuni sondaggi danno Biden in testa (51-47), altri prevedono una lotta serrata”, spiega il professor Frédéric Robert. “Nel 2016, Trump conquistò questo Stato con circa 2,1 milioni di voti contro 1,9 per Hillary Clinton. Ma anche quest’anno prevedo che la Georgia si colorerà di rosso”, il colore del partito repubblicano.

Secondo FiveThirtyEight, Joe Biden è in vantaggio dell’1,2% su Donald Trump.

 

Michigan

Questo stato del Midwest è stata una delle sorprese del 2016: i suoi 16 elettori sono andati a Donald Trump, che ha battuto Hillary Clinton per 10.740 preferenze, ovvero lo 0,2% dei voti espressi.

È stata la battaglia più serrata di quelle presidenziali, una delle tre falle del muro blu democratico che è costata la presidenza alla Clinton.

Il professor Robert sottolinea che, storicamente, il Michigan ha oscillato tra un campo e l’altro sin dai primi anni Trenta: “Lo Stato ha votato democratico nel 1932 e 1936, poi repubblicano nel 1940, poi ancora democratico nel 1944, poi repubblicano tre volte (1948, 1952 e 1956), poi ancora democratico nel 1960, 1964 e 1968, per poi cambiare di nuovo in cinque elezioni successive (1972, 1976, 1980, 1984 e 1988) e tornare democratico senza interruzioni dal 1992, cioè nelle ultime sei elezioni presidenziali”.

La retorica anti-sistema di Donald Trump ha sedotto gran parte dell’elettorato bianco della Rust Belt, la “cintura della ruggine” fatta di regioni operaie e classe media, depressa per il crollo dei redditi e la disoccupazione fin dagli anni ’90.

In Michigan Joe Biden è avanti di 8,3 punti avanti rispetto a Donald Trump.

 

Minnesota

Nonostante lo Stato dei Grandi Laghi abbia votato democratico in tutte le elezioni presidenziali dal 1976 – si tratta dell’unico Stato vinto nel 1984 da Walter Mondale contro Ronald Reagan, rieletto trionfalmente – Hillary Clinton ha vinto qui con un margine di appena l’1.5% rispetto a Trump.

Il Minnesota è fonte di possibile preoccupazione per i democratici, vista l’emorragia dei voti “blu”, in costante diminuzione dal 2008 in poi.

A livello demografico, la popolazione è più bianca rispetto al resto del Paese: quasi l’84% rispetto al 76,3% degli USA. I bianchi sono proprio il principale blocco elettorale di Donald Trump, e su di loro conterà anche questa volta il tycoon per portare a casa i 10 elettori in palio.

Nelle proiezioni, Joe Biden è dato 8 punti avanti a Trump.

 

Pennsylvania

Questo Stato della costa orientale è un obiettivo primario di entrambi i candidati grazie al suo bagaglio di 20 grandi elettori.

Nel 2016, Donald Trump ha sconfitto Hillary Clinton con 44.292 voti su 6,15 milioni, con un margine dello 0,72%.

Frédéric Robert ricorda che, dal 1912, la Pennsylvania “ha votato repubblicano 12 volte e democratico 13 volte. Un’alternanza accelerata e sistematizzata dal 1936 in avanti. Dal 1992 ha regolarmente votato Democratico, in modo abbastanza netto: 54,7% vs 44,3% nel 2008 e 52% vs 46,6% nel 2012”.

Qui si produce molta energia e Donald Trump batte su questo tasto, accusando per esempio Joe Biden di voler vietare il fracking – anche se la realtà è molto più sfumata di così. La fine delle estrazioni di gas naturale e petrolio condannerebbe un’industria locale in piena espansione.

Secondo FiveThirtyEight, Joe Biden è attualmente in vantaggio del 5,3% su Donald Trump.

 

Wisconsin

Qui nel 2016 Donald Trump ha sconfitto Hillary Clinton per 22.748 voti su quasi 3 milioni, con un margine di vittoria dello 0,7%. Si è trattato del terzo grande Stato che è costato l’elezione a Hillary Clinton, assieme a Pennsyvlania e Michigan. Qui sono 10 i grandi elettori in palio.

Prima di allora, dal 1988 in poi, l’elettorato del Wisconsin si era sempre orientato verso la parte democratica.

Anche quest’anno il Wisconsin terrà in apprensione il team di Joe Biden: come e più del Minnesota, ha una popolazione molto omogena (87% di bianchi vs il 76,3% a livello nazionale).

Secondo FiveThirtyEight, Joe Biden è 7,1 punti

Ancora un giorno e, forse, sapremo chi sarà il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America. Forse, perché potrebbe prospettarsi una battaglia campale fatta di ricorsi a tribunali e Corte Suprema, saldamente in mano a Trump che ha dalla sua 6 giudici conservatori su 9, se il tycoon dovesse soccombere.  E in questo caso in gioco non ci sarebbe “soltanto” la Casa Bianca ma la democrazia stessa “made in USA”.

(Globalist)

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