La capitale austriaca e tutto il Paese non sono mai stati un obiettivo del fondamentalismo islamista. Ne abbiamo parlato con Carlo Biffani, esperto di sicurezza
L’attacco di lunedì sera a Vienna viene pochi giorni dopo quello ala cattedrale di Nizza e fa sanguinare ancora di più la ferita inflitta dal fondamentalismo islamico all’Europa. Ne abbiamo parlato con Carlo Biffani, esperto di sicurezza.
Perché proprio l’Austria e Vienna nel mirino dei terroristi?
Vienna e l’Austria non sono mai stati obiettivi sinora privilegiati del terrorismo di matrice jihadista. Vista l’abitudine di questo tipo di terroristi di pianificare e agire nelle aree ed in prossimità di città dalle quali provengono o vivono, parrebbe logico chiedersi quanto sottovalutato possa essere stato il tema della minaccia interna da parte della intelligence e delle forze di sicurezza austriache. L’Austria è un paese nostro confinante e sono certo del fatto che in queste ore siano stati intensificati i controlli lungo la linea di confine con quel paese. Bisognerà poi capire, se possibile, se i componenti del team di attacco abbiano avuto contatti con il nostro paese. Non si può escludere che anche questo, come già capitato in circostanze analoghe negli anni precedenti, possa essere un episodio destinato ad avere una coda forse anche sanguinosa. La ricerca e la cattura di terroristi in fuga può essere pericolosa tanto quanto l’azione in sé.
Tanto più che le autorità parlano di un attacco meticolosamente organizzato
Se confermato, questo sarebbe il primo attacco a grappolo, o misto, dopo quello terrificante della notte del Bataclan a Parigi cinque anni fa. Un attacco di questo genere, richiede preparazione, pianificazione, organizzazione e un numero di partecipanti sia in termini operativi che di supporto logistico, notevole. Forse l’attenzione delle agenzie di intelligence verso questo tipo di minaccia era andato pericolosamente riducendosi, negli ultimi anni, altrimenti non si spiegherebbe come sia possibile che non siano stati colti segnali di una siffatta minaccia.
L’attentatore ucciso era un ‘simpatizzante’ dell’Isis. Cosa significa questo?
Non bisogna commettere l’errore di immaginare che la sconfitta militare subita da Isis-Daesh nel nord dell’Iraq ed in Siria, abbia ridotto la sua capacità di compiere azioni simili in città europee ed occidentali. Personalmente ho sempre cercato di mettere in guardia dalla possibilità che al di là dei pur sanguinosi ed odiosi attacchi portati in questi anni con armi di circostanza come coltelli od automobili usate come ariete, questi terroristi abbiano la volontà, l’impellente necessità, oltre che la aspirazione di attaccarci con modalità come quelle alle quali stiamo assistendo in queste ore.
Come mai questi attacchi ‘a grappolo’?
Un attacco di questo tipo ha la capacità di mandare in overloading i sistemi di risposta e la reazione dei team di controterrorismo. L’obiettivo è proprio quello di sfruttare la sorpresa e di indurre i first response team delle forze di sicurezza ad agire in affanno, dovendo rispondere a più richieste di intervento contemporanee od in breve lasso di tempo, in punti diversi della città od addirittura in città diverse. Uno degli scenari ai quali pure qui in Italia si lavora da tempo anche con sessioni di addestramento combinato fra reparti, è proprio quello di una attivazione multipla contemporanea, con la necessità di dover prevedere risposte fornite da più aliquote con tutte le difficoltà di coordinamento del caso.
(Agi)