20 Luglio, 2024
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“Positivo e con la sclerosi multipla, 72 ore abbandonato al Fatebenefratelli”

Il caso denunciato dalla moglie: “Gli infermieri ci dicevano che avrebbero chiamato i carabinieri se non l’avessimo portato via”. Ma l’uomo era intrasportabile

Settantadue ore in balia dei sanitari del Fatebenefratelli. Con un’altalena di intimazioni alla famiglia: venitelo a riprendere, occupa un posto che va liberato. E’ quando accaduto a Walter G., 57 anni, da 25 affetto da sclerosi multipla che lo costringe a muoversi su una sedia a rotelle.

Sono le 19 di sabato scorso quando Walter presenta i primi sintomi del Covid. Sta parecchio male, ha febbre e difficoltà respiratorie. “Stentava pure a riconoscere le persone – ricorda Loretta, la moglie – serrava i pugni e aveva la bocca storta”. Il 118 prende in consegna Walter alle 20 e lo trasporta al Fatebenefratelli, all’Isola Tiberina, che non è un ospedale Covid. “Negli ospedali piu vicini, il Sandro Pertini a pochi passi da casa e al Policlinico Umberto I dicono che c’è troppa attesa”.  La scelta del Fatebenefratelli, a detta dei sanitari del 118, è dettata proprio dalle condizioni del paziente. “Non può aspettare tutta la notte in coda”, ribadiscono.
A casa restano la moglie e il figlio, anche loro con altri problemi di salute. Il figlio, oltrettutto, che non è autonomo, è già risultato positivo. Anche Loretta avrebbe voluto sottoporsi al tampone, ma al drive-in a cui ha portato il figlio l’hanno respinta perché la prenotazione era per un giorno successivo. Ma è da quando l’ambulanza con Walter a bordo va via che per la famiglia comincia la vera odissea. “Alle 23 mi chiama una dottoressa del Fatebenefratelli, dice che mio marito non ha niente, non ha febbre , anche se al tampone è risultato positivo, e che devo andare a riprenderlo subito”.

Alle 3 il telefono squilla ancora. “E’ la stessa dottoressa, più infuriata di prima mi informa che mio marito non ha febbre e la tac non ha evidenzato polmonite. Mi ordina di andarlo a prendere, ‘immediatamente’ “. Invano Loretta prova a spiegare che non è così semplice. “Ho la febbre, mio figlio è certamente positivo e trasportare mio marito richiede alcune accortezze che non so se posso garantire nel cuore della notte”. Si arriva alle 8 del primo novembre. Ancora una telefonata: “Mi dicono che Walter non ha febbre e che sta bloccando il pronto soccorso in una stanza sterile e che devo andarmelo a riprendere o chiameranno i carabinieri”.
Loretta prova a organizzare il trasporto, ma di fronte a un positivo nessuno ha voglia di correre rischi. Sola e disperata decide di rivolgersi all’Aism, l’associazione italiana sclerosi multipla. I volontari provano a occuparsi della questione ma la direzione sanitaria del Fatebenefratelli di domenica è chiusa e contattare l’ospedale si rivela difficoltoso almeno fino all’ora di pranzo quando il primario ha già dato ordine di spostare Walter nel reparto di medicina d’urgenza “per liberare il pronto soccorso”. Dalle notizie che arrivano dall’ospedale, Loretta scopre che ora il marito ha la febbre e che lo trasferiranno alla casa di cura Ini – Città bianca, a Veroli, una struttura Covid. “Alla fine per mio marito hanno trovato una soluzione che dovevano trovare loro e non io. Quanto a me resto in balia di un sistema sanitario che non si occupa della mia condizione. Ad oggi non so se sono positiva e in passato ho anche avuto la polmonite. So di essere un possibile untore ma sono inerme. Eppure basterebbe farmi un tampone a domicilio”.

(La Repubblica)

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