Una controffensiva dopo che il Fronte di liberazione popolare del Tigray (Tplf), il partito al potere nella travagliata regione dell’Etiopia, “ha attaccato una base militare federale”
Venti sempre più forti di guerra civile in Etiopia. Il governo federale di Addis Abeba ha ordinato stamane un attacco nella regione settentrionale del Tigray. Sono state tagliate le comunicazioni telefoniche e i collegamenti internet, anche la compagnia aerea nazionale Ethiopian airlimes ha sospeso i voli interni per il capoluogo tigrino Makallè, la città santa di Axum, per Gondar e Shirè. Ma i comandanti dell’esercito federale nello Stato settentrionale dell’Etiopia, secondo diverse agenzie si sarebbero rifiutati di obbedire agli ordini di guerra.
L’offensiva è la risposta del premier etiope Abiy Ahmed – nonostante sia premio Nobel per la pace – a un attacco a una base militare condotto, secondo le accuse del premier etiope, dal partito al governo della regione, il Fronte di liberazione popolare del Tigray (Tplf) per prendere armi e materiale bellico.
Nella dichiarazione, pubblicata sui social Abiy ha detto che le forze di difesa etiopi “hanno ricevuto l’ordine di portare a termine la loro missione per salvare il Paese”. E ha aggiunto: “La linea rossa è stata superata. La forza viene utilizzata come ultima misura per salvare le persone e il Paese”. Il Tigray confina con l’Eritrea, con cui Abiy ha siglato la pace nell’estate 2018 dopo 18 anni di guerra – non guerra, e buona parte dell’arsenale etiope si trova nello Stato di frontiera.
Il Tplf per un quarto di secolo ha guidato l’Etiopia dopo averla liberata nel 1991, insieme al fronte di liberazione eritreo, dalla dittatura comunista di Menghistu, il “negus rosso”. Il partito che raccoglie i voti della minoranza tigrina, che si considera erede della tradizione semitica dell’ondata di nazionalismo etnico che sta lacerando il Paese, era considerato l’unica soluzione praticabile per mantenere l’unità della seconda nazione più popolosa dell’Africa, divisa dal conflitto tra gli Amhara, da cui proveniva la classe dirigente imperiale fino al 1975, e gli Oromo, discendenti degli schiavi somali. Ma con l’arrivo al potere del premier Abiy, un Oromo, il Tplf è stato gradualmente estromesso dalle stanze del potere.
Le tensioni tra il governo di Abiy e il Tplf sono cresciute in maniera esponenziale negli ultimi mesi e sono culminate con le elezioni tenutisi in Tigray lo scorso settembre senza l’autorizzazione di Addis Abeba che le ha dichiarate illegali e le ha rinviate nel resto del Paese causa Covid. Makallè ha accusato il governo centrale di aver bloccato la spedizione di droni per sterminare le locuste che stanno divorando i raccolti e di non aver inviato dispositivi di protezione anti Coronavirus ai bambini delle scuole. E nel frattempo ha impedito il dispiegamento di nuove truppe e nuovi ufficiali del comando Nord dell’esercito federale. I vecchi comandanti avrebbero disobbedito in questa ore ad Abiy.
Il presidente dello Stato del Tigray Debrestion Gebremichael ha dichiarato che “il governo centrale ci attacca per punire la regione per aver organizzato le elezioni a settembre”. Ha aggiunto che il popolo tigrino non vuole la guerra, ma è pronto a combattere.
Sia l’Ue, attraverso l’alto rappresentante per gli affari esteri Joseph Borrell, che il governo degli Stati Uniti attraverso l’ambasciata ad Addis Abeba, hanno chiesto alle parti di fermare l’escalation che sta portando dritto al primo conflitto nell’era della pandemia. Oltre alla pace nel Corno d’Africa, ora è in pericolo il destino stesso dell’Etiopia.
(Avvenire)