Il governatore di Bankitalia agli Stati generali delle pensioni: “Porsi obiettivo di riequilibrare i conti pubblici”. Ci vorrà un decennio per riportare il debito a livelli pre-pandemia. Tridico: “Paese ha esigenza salario minimo”
La crisi economica derivante dal coronavirus rischia di compromettere in maniera strutturale la produttività italiana. Occorre invece centrare gli obiettivi di crescita e rimettere così in sesto i conti pubblici, soprattutto il debito pubblico proiettato al 160% del Pil per il mix di interventi in deficit e rallentamento della ricchezza nazionale. Un percorso che potrebbe durare un decennio, prima di ritornare ai livelli antecedenti la pandemia.
Lo sottolinea il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, al webinar degli Stati generali delle pensioni di Deutsche Bank e Università Bocconi. “Assicurare nel prossimo decennio una rapida riduzione del debito, innalzato dagli effetti della pandemia e dalle indispensabili risposte di finanza pubblica – ha spiegato Visco – richiederà la massima attenzione alla qualità delle misure di sostegno dell’economia e un graduale aggiustamento dei saldi di bilancio quando le condizioni macroeconomiche saranno più favorevoli”. Ripercorrendo quanto già scritto nella relaziona annuale di via Nazionale, il governatore ha ricordato che “con una crescita media dell’attività economica attorno all’1,5 per cento, un’inflazione che si riporti progressivamente poco al di sotto del 2 per cento, un graduale ritorno dell’avanzo primario dalla metà del periodo considerato all’1,5 per cento del prodotto e un differenziale di rendimento decennale tra i titoli pubblici italiani e quelli tedeschi su valori attorno a 100 punti base, il peso del debito potrebbe riportarsi ai livelli pre-Covid nell’arco di un decennio. Si tratta di un sentiero di consolidamento dei conti non dissimile da quello tratteggiato dal governo nella recente Nota di aggiornamento del Def”.
La pandemia e le misure di contenimento “hanno esacerbato” i problemi europei di un debito pubblico “aumentato ovunque” e quelli di sostenibilità dei sistemi pensionistici su cui peserà l’aumento della disoccupazione.
Su questo scenario gravano ovviamente rischi al ribasso. Visco ha infatti spiegato che “il tasso di crescita della produttività potrebbe risentire permanentemente della pandemia”. “Su di esso – ha rimarcato – potrebbero ad esempio influire: la ridefinizione delle catene del valore; l’uscita dai mercati di imprese profittevoli ma illiquide; la scarsità di investimenti dovuta all’incremento dell’incertezza; la riduzione della partecipazione al lavoro dovuta a fenomeni di isteresi”.
Tra gli sforzi invocati da Visco, quello sui giovani. L’Italia è “al primo posto per la percentuale di giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non seguono percorsi di formazione”, a oltre due milioni: il 22 per cento della popolazione in questa fascia di età, il 33 per cento nel Mezzogiorno. Riferendosi ai ‘Neet’ (not in education, employment or training), Visco ha parlato “di un drammatico spreco di potenzialità a livello non solo economico, con conseguenze particolarmente gravi sul piano sociale: è urgente rispondere” e “da questo soprattutto dipende il futuro del Paese e, in ultima istanza, il rientro da un debito pubblico molto elevato e la sicurezza del mantenimento degli impegni sul fronte previdenziale”.
Tridico: porsi esigenza del salario minimo
“Oggi abbiamo un sistema contributivo sostenibile economicamente, grazie anche agli interventi del legislatore fatti negli anni precedenti. Tuttavia ciò che non riusciamo ad aumentare sono le pensioni basse, sotto i mille euro, che sono ancora oltre un terzo delle pensioni totali, il 34%”. ha affermato invece il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, agli Stati generali. “La maggior parte di queste pensioni ha poco a che fare con il sistema contributivo; sono sostanzialmente pensioni tutte liquidate con il sistema retributivo”, ha detto.
“Quello che dovrebbe essere implementato è il salario minimo, abbiamo una quota troppo importante di lavoratori sotto 7-8 o 9 euro l’ora, che non vengono adeguatamente coperti dalla contrattazione”. Un salario minimo è “una esigenza che il Paese si deve porre”. Fissando l’asticella intorno ai 9 euro l’ora, inclusa la tredicesima, “la quota dei lavoratori interessati sotto questa soglia è di 2 milioni, pari al 15% dei lavoratori, ha detto.
(La Repubblica)