“Ora sta a Biden ricostruirla”
La Premio Nobel per la pace 1997: “Prima ha fomentato la piazza separatista. Ora ha dichiarato guerra alle istituzioni. Una cosa del genere non è mai avvenuta nella storia degli Stati Uniti.
Nella nostra ultima conversazione, a pochi giorni dal voto, aveva affermato, battagliera: “Ed ora disinneschiamo la bomba Trump”. Missione compiuta, visto che il voto degli americani sta portando Joe Biden verso la Casa Bianca. Ma nel bunker dello Studio Ovale c’è un uomo pericoloso, che non accetta il verdetto e minaccia azioni legali e non solo. Globalist ne parla, in questa intervista esclusiva, con una delle donne simbolo del pacifismo americano: Jody Williams, fondatrice della Campagna Internazionale per il Bando delle Mine Antiuomo (International Campaign to Ban Landmines), insignita del Premio Nobel per la pace nel 1997. “Prima ha fomentato la piazza separatista. Ora ha dichiarato guerra alle istituzioni. Donald Trump sta agendo come un eversore – dice la Nobel per la pace -. Una cosa del genere non è mai avvenuta nella storia degli Stati Uniti. Abbiamo avuto presidenti reazionari, presidenti guerrafondai, presidenti che hanno spiato i democratici, ma mai un presidente che fa spregio dei principi basilari di una democrazia e si comporta come fosse l’Erdogan o il Putin di America”.
“Non permetteremo ai corrotti di rubare le elezioni, il nostro obiettivo è di difendere l’integrità delle elezioni”. E poi il minaccioso messaggio, quasi un diktat, rivolto ai nove giudici della Corte Suprema: “La Corte Suprema cancelli i voti illegittimi”.
Così Donald Trump mentre, dopo il sorpasso in Georgia, e l’essere davanti nel conteggio dei voti anche in Pennsylvania, Joe Biden è ormai vicinissimo al traguardo. Il candidato democratico, in un discorso nella serata di ieri in America, innanzitutto ha parlato ai sostenitori di Trump: “State calmi – ha detto loro – io sarò presidente di tutti ma questa è la nostra democrazia e non accetteremo che venga sovvertita”. Poi ha rassicurato i suoi elettori: “Siamo già al lavoro, non ci lasceremo trascinare nelle polemiche e mi è chiaro che oltre a Covid ed economia, tra le nostre priorità c’è anche il cambiamento climatico”. Infine ha parlato ai funzionari e ai giudici che dovranno decidere sui ricorsi presentati dal presidente Trump: “Il popolo ha parlato, i 5 milioni di voti in più che ho ricevuto richiedono rispetto, la nostra proposta politica è quella scelta dagli americani”. Trump non ha intenzione di riconoscere la vittoria alle presidenziali Joe Biden, anche se dovesse perdere in Stati come la Georgia o la Pennsylvania. A riferirlo è la Cnn, facendo riferimento ad alcune conversazioni che il magnate avrebbe avuto con alcuni membri del suo staff, tra cui il capo dello staff Mark Meadows. Sorpresa di questo atteggiamento?
Sorpresa? Neanche un po’. Allarmata, questo sì.
Che Donald Trump fosse un provocatore e un incapace, questo è cosa risaputa. Se ci fosse stato ancora bisogna di una conferma, la sua sciagurata gestione della crisi pandemica, con l’America che ha il record di morti per Covid, lo sta a dimostrare. Ora con i suoi proclami in diretta televisiva, ha superato ogni limite. Non accetta il responso delle urne, blatera di un risultato falsato da quei “corrotti dei democratici”, sobilla la parte più reazionaria e violenta del suo elettorato, suprematisti bianchi, neonazisti, evangelici fondamentalisti, e arriva al punto di fregarsene della separazione dei poteri, fondamento di uno Stato di diritto, chiedendo ai giudici della Corte Suprema di assecondare i suoi propositi eversivi. Trump è un piromane, un pericoloso piromane.
C’è chi sostiene che alla fine si rivelerà una tigre di carta.
Lo spero ma in tutta franchezza non lo credo. Lui e i suoi più fedeli ed estremisti consiglieri si sono asserragliati nel “bunker” della Casa Bianca e non hanno intenzione di arrendersi. Per la prima volta gli americani hanno paura. Paura non di un nemico esterno, dei cinesi o dei pasdaran iraniani, o dei terroristi islamici. Hanno, abbiamo paura di una guerra civile, scatenata da un politico irresponsabile, disposto a tutto pur di mantenere il potere.
In questi giorni cruciali per il futuro dell’America, Biden ha mostrato sangue freddo evitando di farsi trascinare nello scontro, per ora solo verbale, scatenato da Trump.
Joe Biden non era il mio candidato ideale, ma in questo momento si sta comportando come un leader responsabile, che cerca di ragionare e di parlare come il presidente di tutti gli americani. Il presidente dell’unità contro un ormai ex presidente eversore.
Resta il fatto che nonostante le bugie, la corruzione, la pessima gestione della crisi pandemica, il 47% degli americani hanno votato per lui.
Ci sarà tempo per riflettere su questo e sui perché milioni di americani hanno deciso di seguire un presidente che nulla ha. A che fare con il conservatorismo tradizionale dei repubblicani. Trump non è il classico conservatore reazionario. E’ altro, e di molto peggio. Il suo America first è un inno suprematista, è fare leva sull’insicurezza e la paura che segano una parte della società americana, indicando i “Nemici” contro cui scatenare l’odio, quelli che rubano il lavoro, gli immigrati, le minoranze, tutti coloro che “inquinano” l’America bianca. Questa narrazione demonizzante ha fatto presa soprattutto nell’elettorato bianco meno scolarizzato, così come in una parte degli elettori ispanici che, in una logica da mors tua vita mea, hanno votato Trump perché impediva ad altri immigrati di entrare nel “fortino americano”, vedendo queste persone non come persone con la loro stessa storia, fatta di sofferenza, di ricerca di un futuro migliore per se e i propri figli, ma come potenziali concorrenti per un lavoro che non c’è. Trump è stato il presidente delle barriere doganali, del protezionismo più spinto, del “noi’ contro ‘loro”. Nel 2016, Trump ha intercettato un malessere sociale che i democratici e Hillary Clinton hanno sottovalutato, come ha dovuto ammettere, autocriticamente, lo stesso Obama. In quelle elezioni, ha conquistato il voto delle tute blu e dei colletti bianchi che hanno pagato pesantemente la finanziarizzazione dell’economia e la deindustrializzazione di intere aree del Paese. Trump ha dato risposte sbagliatissime, sciagurate, a un problema reale: in questi decenni è andata avanti la globalizzazione dei mercati e non la globalizzazione dei diritti sociali, umani, di cittadinanza. Se si vuole davvero contrastare i Trump del mondo, da qui, a mio avviso, occorre ripartire. Non sono una politologa, non è il mio mestiere, ma posso dire che quello che colpisce di più è la divisione del voto tra le città, le metropoli, in grande maggioranza pro Biden, e l’America rurale rimasta fedele a Trump. Da presidente, Joe Biden dovrà avere un’attenzione particolare al problema delle disuguaglianze sociali che la crisi pandemica ha aggravato. Oggi i ricchi sono ancora più ricchi e i poveri sempre più poveri. L’America che Biden deve rimettere in piedi, non deve essere solo più tollerante e inclusiva, ma anche più giusta sul piano sociale e per quel che concerne la tutela e il rafforzamento di diritti fondamentali, primo fra tutti quello alla salute. Uno dei primi, nefasti atti compiuti da Trump come presidente è stato aver smantellato l’Obamacare, quel sistema minimo di tutela pubblica alla salute per milioni di americani che non potevano permettersi assicurazioni private. Biden deve ripartire da lì andando oltre l’Obamacare, d’altro canto lo slogan della sua campagna elettorale è stato Build Back Better, ricostruire, in meglio. Ma tutto questo, lo ripeto, viene dopo l’uscita di scena di Trump. Perché questa è oggi la priorità assoluta. Lasciami aggiungere che “America first’” si è rivelata, nei quattro anni dell’Amministrazione Trum una minaccia che è andata oltre i confini degli Stati Uniti, non è stata solo uno sfregio ad alcuni dei più importanti principi fondativi della nostra Costituzione. Certo, è tutto questo, ma è stato anche un messaggio che è stato raccolto e tradotto in pratica dai peggiori populisti che si aggirano nel mondo, diversi dei quali sono capi di Stato e di governo. Archiviare la presidenza Trump farà bene al mondo e non solo all’America.
Con Trump, gli Stati Uniti sono usciti dall’Unesco, si sono chiamati fuori dall’Accordo di Parigi sul Clima, sfilati dal Global Compact sulle migrazioni..
Trump è stato un presidente piromane, nel senso che in un mondo sempre più instabile, lui aggiunge altra benzina sul fuoco di conflitti che stanno segnando intere aree del pianeta. Invece di aggredire le ragioni che sono alla base di un fenomeno, quello migratorio, che riguarda decine, centinaia di milioni di persone – le guerre, dicevo, ma anche il disastri ambientali, la povertà assoluta, uno sfruttamento disumano – Trump ha alimentato queste cause, contribuisce a creare nuove faglie tra l’Occidente e i Sud del mondo. Prima abbiamo parlato di cosa mi attendo, sul piano sociale, dalla presidenza Biden. Ma non meno importante saranno le scelte che lui prenderà su questioni cruciali come il clima, rientrando nell’Accordo di Parigi, e su temi a me particolarmente cari, come quelli del disarmo. Mi auguro, e mi batterò, perché con Biden gli Stati Uniti aderiscano al Trattato di proibizione delle armi nucleari (TPNW, ndr), che dopo aver raggiunto la cinquantesima adesione, entrerà in vigore a gennaio prossimo, pochi giorni dopo l’insediamento di Biden alla Casa Bianca. Così come spero che Biden e il futuro segretario di Stato archivino il cosiddetto “Piano del secolo” partorito dai più filoisraeliani dei consiglieri di Trump, lavorando per una pace giusta, duratura, tra israeliani e palestinesi, quella che contempli il riconoscimento del diritto dei palestinesi ad uno Stato indipendente, pienamente sovrano, a fianco d’Israele.
Per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, Vice presidente sarà una donna, e una donna di colore, Kamala Harris.
Un’America più giusta e solidale non può non essere un’America che assuma il punto di vista, e non solo le rivendicazioni, delle donne. Qualcosa d’importante è avvenuto in queste elezioni, anche se i grandi mezzi di comunicazione ne hanno parlato troppo poco, presi com’erano nel seguire le sparate di Trump. Non mi riferisco solo alla Harris ma al record di donne elette al Congresso: ben 106 alla Camera bassa, cui si aggiungono le sei elette o rielette al Senato (di queste, 83 sono state elette tra le fila del partito democratico e 23 tra i repubblicani, e 43 sono donne di colore – 42 democratiche e 1 repubblicana-. Particolarmente significativo l’exploit delle candidate del GOP, con 13 neo elette su 21 in totale, che potrebbero anche battere il record di 25 repubblicane elette alla Camera del 2006, ndr). Sono particolarmente felice per la rielezione della mia amica Alexandria Ocasio-Cortez, (la più giovane deputata mai eletta, ndr) , ma anche dell’affermazione di Rashida Tlaib e Ilhan Omar (,altri due membri della cosiddetta “Squad”, l’ala sinistra del partito democratico, che sono state le prima donne musulmane mai elette in un’assemblea legislativa Usa,) e di Deb Haaland e Sharice David (le prime native americane elette, ndr). La loro grinta, la loro determinazione a condurre battaglie per i diritti delle donne e delle minoranze, sono un investimento sul futuro, per un’America liberata dal fardello Trump.
(Globalist)