Gialla, arancione o rossa? La Campania è osservata speciale: oggi arriva la decisione.
I dati epidemiologici aggiornati – che misurano ogni settimana, con un complesso algoritmo, la febbre provocata da Covid-19 nelle regioni – sono stati certificati e analizzati ieri dal Comitato tecnico scientifico che affianca il ministero della Salute. Il meccanismo automatico di valutazione richiede un supplemento d’indagine. Il prospetto dei 21 indicatori, tra cui il famigerato indice Rt che misura la proliferazione dei focolai, non è sufficiente a sciogliere la prognosi e che la regione resti in zona gialla è a questo punto l’ipotesi meno probabile. A contare ora sono soprattutto gli alti numeri raggiunti dal contagio macinati con andamento esponenziale, per tutto il mese di ottobre peraltro anticipando il profilo tumultuoso che l’epidemia ha assunto in tutto il Paese. Ora che gli iniziali focolai di fine estate hanno prodotto fiamme e cenere e lo stress raggiunto dalla rete ospedaliera ha raggiunto il limite lo scenario merita di essere trattato con la massima attenzione. Lo stesso discorso vale per altre quattro o cinque regioni finite sotto i riflettori del ministero destinatarie dello stesso supplemento di rivalutazione. Dopo la telefonata partita ieri da palazzo Santa Lucia, con cui De Luca ha contattato il ministro della Salute Roberto Speranza, reclamando un confronto immediato e pubblico sui dati della Campania e rivendicando la bassa mortalità a fronte di anti numeri di casi, i tecnici di Ministero e Regione hanno iniziato a lavorare a stretto contatto di gomito sin da ieri sera. Una task force che oggi continuerà a ricalcolare con maggior dettaglio i parametri fissati per verificare la portata del rischio.
Basti pensare alla necessità di tende della Croce rossa per alleggerire il lavoro al pronto soccorso del Cardarelli o di quelle sistemate al Frullone per i tamponi e necessarie a liberare personale dirottato a funzioni di cure a domicilio con le Usca. Un modo anche per toccare con mano le lunghe file di malati in triage nei pronto soccorso dove i tempi si allungando quando arrivano contemporaneamente decine di sospetti. Attendere i tempi del responso del tampone, fare la Tac, sistemare il malato in Osservazione lungo un percorso isolato, trasferirlo in un Covid center quando il luogo di accesso non ne ha disponibil, garantire cure e assistenza ad altri malati acuti in urgenza (traumi, ictus infarti), ha messo in ginocchio la rete ospedaliera. Il lavoro di approfondimento andrà avanti anche oggi, in stretta e collaborazione tra tecnici regionali e ministeriali, per dare poi luogo a una valutazione finale complessiva. Finito con la Campania si continuerà con altre regioni tenute in stretta osservazione per la la gravità e numerosità dei casi e il sovraccarico patito dal personale anche in termini di contagi che finiscono per indebolire le linee del fronte. «Un lavoro non per correggere qualcosa di scorretto – chiariscono fonti del ministero – ma per valutare più accuratamente i parametri i rischio». Questo avviene quando il sistema sanitario raggiunge il limite delle sue capacità. Gli scenari alternativi al giallo? Sono due: il passaggio in area arancione oppure al giallo associato al rosso ma limitato alle province di Napoli e Caserta da tempo inserite dallo stesso ministero tra quelle osservate speciali.
Non c’è dunque un caso Campania, ma un’emergenza Covid nelle regioni che, come la Campania, scontano una dinamica esponenziale, piega che il virus ha presto in tutta Europa. Uno degli elementi salienti, di cui si terrà conto, è la distinzione tra posti letto disponibili e attuabili che, anche per le terapie intensive, registrerebbe un peggioramento non tanto per il profilo di crescita dei numeri quanto per il meccanismo di progressiva, seppure lenta, saturazione. Si teme la goccia che può fare traboccare il vaso e questo non deve accadere. Del resto, sul fronte delle rianimazioni, che una quota dei posti letto pronti non sia immediatamente utilizzabile per mancanza di figure specialistiche, non vicariabili, come sono gli anestesisti, è un dato di fatto così come è acclarato che sia più agevole e tempestiva la conversione, nella rete Covid, di unità di degenza ordinaria a bassa o media assistenza, anche con il ricorso ai posti letto disponibili nell’area delle Case di cura accreditate e degli ospedali classificati religiosi. Azioni che la Regione ha già avviato. Uno degli elementi chiave di cui tenere debito conto è anche la progressiva impossibilità di risalire alle fonti del contagio e dunque di mettere in atto tempestive azioni di contact tracing.
A leggere in numeri dal 25 ottobre il trend epidemico segna una crescita dei nuovi positivi – perlopiù asintomatici – e l’incremento significativo dell’ospedalizzazione in area medica e in intensiva. Attualmente la Campania ha occupati 1.817 posti letto Covid a fronte di 3.160 disponibili per un tasso di occupazione del 57,5 per cento, ben oltre la soglia del 40. Così per le terapie intensive con 186 posti occupati a fronte di 590 disponibili (nell’intera rete assistenziale) e un tasso di occupazione del 31,5 supera la soglia del 30 per cento fisata dagli indicatori ministeriali. Anche per i tamponi i contagi che emergono da casi sospetti, più difficili da contenere e tracciare, sono il 97% contro il 3 per cento dei casi emersi da screening che vengono tempestivamente fermati nella diffusione e in alcune città dell’area di Napoli e Caserta la percentuale di positivi ai test ha raggiunto il 25 per cento (uno su quattro).
Che la Campania evidenzi forti criticità dei servizi territoriali e il raggiungimento attuale o imminente delle soglie critiche di occupazione dei servizi ospedalieri è anche frutto dei valori di incidenza epidemica che nei dati aggiornati al 3 novembre e relativi alla settimana dal 26 ottobre al 1 novembre (valutati per 14 giorni comprendenti anche la settimana precedente) la collocano nel gruppo delle peggiori dopo Liguria, Lombardia, Piemonte, Bolzano, Umbria e Valle D’Aosta. Con 633 casi per 100 mila abitanti è molto vicina all’Umbria, che però è poco densamente popolata, ma soprattutto al Piemonte e molto oltre la media nazionale di 523. Tutte premesse per una probabile riclassificazione del rischio e misure di contenimento più restrittive.
(Il Mattino)