Il ritorno alla multilateralità e agli accordi globali sul clima e commercio internazionale sono molto probabilmente gli ambiti sui quali inciderà di più l’elezione del nuovo presidente americano Joe Biden
e la fine della stagione di Donald Trump e del “bilateralismo muscolare”.
Sebbene nel 2016 l’avvio della presidenza Trump fosse stata accompagnata dallo slogan « dig coal » (scavare per estrarre carbone) la transizione verso le rinnovabili non si è comunque arrestata nei suoi anni di leadership neppure negli Usa, sospinta dall’emergenza climatica e dal progresso tecnologico che ha reso sempre più convenienti le fonti rinnovabili. I mercati finanziari hanno infatti “votato” da tempo per la transizione ecologica. I prezzi dei titoli azionari, secondo l’approccio dei fondamentali, dovrebbero essere la somma degli utili futuri attesi dell’azienda, e le società che puntano su economia circolare e fonti non inquinanti sono quelle che si ritiene avranno futuro. Pertanto in questi ultimi anni abbiamo assistito a un loro aumento del valore di mercato a scapito delle realtà produttive rimaste legate a fonti fossili. Al di là delle dinamiche dei mercati, delle scelte delle imprese e dei cittadini il cambio alla Casa Bianca potrà però incidere in modo decisivo sulla capacità degli Stati nazionali di coordinarsi per accelerare la transizione.
Un ambito nel quale i cambiamenti dovrebbero essere decisivi è, poi, quello delle regole del commercio internazionale. Come abbiamo ricordato più volte su queste colonne, la scommessa dell’Unione Europea con Next Generation Eu è stata quella di recuperare le somme ingenti raccolte sui mercati finanziari non chiedendo indietro i soldi agli Stati nazionali (sarebbe un’enorme partita di giro di cui i sovranisti ci chiederebbero conto), ma attraverso una capacità d’imposizione esterna che prevede dal 2023 una Carbon Border Tax, ovvero una tassa per beni e servizi prodotti extra Ue e venduti sui mercati dei Paesi membri che sono sotto gli elevati standard di sostenibilità ambientale che imponiamo alle nostre imprese.
Non si tratta di dazi (perché prodotti di Paesi terzi sostenibili non pagherebbero nulla e le regole sulla sostenibilità le imponiamo anche al nostro interno), ma di una rivoluzione del commercio internazionale che supera l’idolatria del prezzo minimo come unico criterio di valore e dà finalmente importanza alla sostenibilità ambientale e, aggiungiamo, alla dignità del lavoro.
La presenza di Trump al potere e il timore delle sue rappresaglie e ritorsioni commerciali avrebbe ritardato e reso molto difficile adottare questa strategia.
C’è un aspetto delle politiche commerciali di Trump di cui è importante tener conto. In questi anni Trump si è fatto paladino, seppur in modo disordinato e confuso, della difesa del lavoro (solo di quello dei suoi elettori americani, però) con un sistema di protezioni e dazi difensivi rispetto ai prodotti di Paesi con costi del lavoro molto più bassi. La nuova presidenza americana non deve correre il rischio di tornare a un concetto di apertura commerciale che rimetta sul trono l’idolo del prezzo minimo “non– importa–come–ottenuto”, dove dietro i benefici per i consumatori si nascondono i mancanza di dignità del lavoro e minacce per la salute.
L’ultima enciclica di Francesco parla anche di questo quando afferma che «aprirsi al mondo» è un’espressione che oggi è stata fatta propria dall’economia e dalla finanza.
Si riferisce all’apertura agli interessi stranieri o alla libertà dei poteri economici di investire senza vincoli né complicazioni in tutti i Paesi. Ma non è questo il concetto di apertura di cui abbiamo bisogno per realizzare il bene comune.
Se il nuovo presidente degli Stati Uniti vuol dimostrare di aver appreso la lezione della protesta populista e di essere capace di entrare in sintonia con il proprio Paese non deve commettere l’errore di perseguire un mero ritorno al passato. La via del progresso sociale e civile passa per la costruzione di standard sociali e ambientali sfidanti, in grado di trasformare il commercio internazionale in vero veicolo di cooperazione e fratellanza e promozione del bene comune.
(Avvenire)