Ci sono alcune differenze fra il lockdown di primavera e quello – anzi, quelli – di adesso.
Le prime differenze stanno nella forma, cioè negli stessi Dpcm. Il primo fu un lockdown unico ed uguale per tutto il territorio nazionale; quello attuale, appunto, varia da regione a regione. In marzo e aprile diverse regioni meno colpite dal virus si lamentarono per essere state sottoposte a misure identiche a quelle delle aree più colpite. Oggi, alcune di quelle stesse regioni invocano misure uniformi in tutta Italia. Mah. Altra differenza. Il lockdown di marzo e aprile fu davvero totale: nel senso che furono chiuse anche le attività produttive, eccezion fatta per quelle essenziali. Il lockdown attuale nelle zone rosse ricorda piuttosto la “coda“ di quello primaverile, cioè il periodo 4-18 maggio, quando le attività produttive vennero tutte riaperte (solo dopo il 18, appunto, riaprirono bar, ristoranti eccetera). Ma anche qui, c’è una differenza, e non da poco: in quella prima metà di maggio, le scuole restarono chiuse. Ora, in buona parte, sono aperte.
Queste appunto le diversità per quanto riguarda le disposizioni governative. Ma c’è un’altra differenza, che non sta scritta da alcuna parte, né tantomeno bollinata e pubblicata in Gazzetta Ufficiale. Ed è il comportamento di noi italiani.
Allora, obbedimmo tutti. Il premier ci chiese di restare in casa, e in casa restammo. E quelle rare volte in cui si poteva uscire, ad esempio per fare la spesa, ci muovevamo come astronauti nello spazio: a rilento, e tutti bardati. Nei negozi si entrava uno alla volta e si evitava accuratamente di avvicinarsi a chicchessia. Che sia stata disciplina o paura, poco importa. Ma quello fu il comportamento degli italiani.
Oggi, chi giri a Milano o a Torino – per citare due città in zona rossa – nelle ore in cui si può girare con autocertificazione (cioè tutte, esclusa la notte), non ha un’impressione molto diversa da quella che si ricavava al tempo pre-virus. Il traffico è grosso modo lo stesso. E se osserviamo i bar delle regioni in cui possono i bar stare aperti (almeno fino alle 18) non vediamo tante mascherine. Si sta ai tavolini come si è sempre stati, e di assembramenti ce ne sono talmente tanti che ieri il Viminale ha preparato un inasprimento dei controlli e probabilmente un’ulteriore stretta, per stretta intendendo la chiusura di alcune strade e piazze.
Perché siamo cambiati? In parte perché abbiamo meno paura, e questa è una buona notizia. Ma in parte anche perché non tutti hanno contezza del rischio che corrono ma soprattutto del rischio che fanno correre, poi, ai più anziani che incontrano. Ora che si parla tanto di unità nazionale, ecco: l’unità nazionale dovrebbe partire da certe piccole cose.
(Quotidiano.net)