Bologna, 11 novembre 2020 – La sfida principale per gli ospedali, ora, è tenere aperto. Ovvero, pur raggiungendo – questo è l’obiettivo – un totale di 700 posti letto Covid, riuscire ugualmente a mantenere aperti gli altri reparti e garantire visite, interventi, rispettare le prenotazioni. E l’Emilia-Romagna, da zona gialla, rischia di diventare arancione, mentre il governatore Bonaccini valuta ordinanze ad hoc per nuove restrizioni anti-assembramenti, soprattutto nel weekend. Un quadro non semplice, quello che analizza il professor Pierluigi Viale, primario di Malattie infettive al Policlinico Sant’Orsola.
Professor Viale, i contagi aumentano a vista d’occhio, ogni giorno. Gli ospedali possono gestirli?
“Per adesso sì, grazie ai posti letto che abbiamo, che comunque non sono pochi, e speriamo che il privato accreditato ci venga incontro, almeno per i pazienti non in Terapia intensiva. Rispetto a marzo-aprile abbiamo meno posti letto occupati e siamo più preparati, certo, ma resta aperta l’attività ordinaria extra Covid e, in più, dal punto di vista psicologico lo stress è aumentato. C’è meno spinta dettata dal clima di ’eroismo’, e più stanchezza. Da parte dei sanitari, ma anche dei cittadini”.
Cosa pensa di eventuali restrizioni a livello regionale?
“Che è meglio arrivi prima un lockdown per i cittadini, piuttosto che per gli ospedali. Il decreto di metà ottobre, con le prime restrizioni sui locali pubblici, aveva senso: ma è stato quasi inutile, perché le persone non ne hanno compreso il senso. Forse si sono stufate di rispettare le regole, dopo la breve estate delle illusioni, e allora riprendere anche solo un lockdown ’soft’ è diventato difficilissimo. Le faccio un esempio: il weekend scorso, il centro di Bologna era affollatissimo. C’erano molte più persone del solito, quasi non si camminava. E allora mi chiedo: per fare ragionare queste persone forse la carota non basta più, serve il bastone?”
Secondo lei la sanità pubblica quanto può reggere ancora?
“Settecento posti letto Covid può gestirli, mille penso di no. Quindi, gli interventi servono subito, prima che la situazione sfugga di mano. Durante il primo lockdown l’Italia ha dato lezioni di civiltà a tutto il mondo, ora invece ha risposto in modo ben diverso alle misure via via più restrittive. Quindi forse un intervento più deciso è l’unica soluzione. Lo dico pensandolo a livello nazionale: se persino l’Emilia-Romagna, che può vantare il sistema sanitario più organizzato d’Italia, è in difficoltà, immagino come possano resistere altre regioni, con un ritmo di trentamila nuovi casi al giorno e una media di 300 ricoveri in Rianimazione”.
Alcuni suoi colleghi aspirano addirittura a una ’zona rossa’, un lockdown totale per l’Emilia-Romagna. La Regione invece valuta interventi più restrittivi a livello locale. Secondo lei questo aiuterebbe?
“Certo, la riflessione del governatore Stefano Bonaccini di stringere un po’ le maglie ha senso, anzi sembra quasi inevitabile. I livelli di lavoro nelle Terapie intensive bolognesi, per ora, non sono drammatici. Gli ingressi nei reparti Covid sono numerosi, è vero, ma pian piano le persone iniziano anche a guarire ed essere dimesse. Il problema resta sempre quello di gestire, nel frattempo, tutta l’altra attività non-Covid”.
Parlava prima di clima ’eroico’: ora l’adrenalina dei primi mesi non c’è più?
“Siamo tutti più stanchi. Sia il personale sanitario, dopo mesi di sacrifici, sia i cittadini, che dopo tanti mesi in casa appena hanno visto la ’gabbia’ aprirsi, la scorsa estate, ora faticano a tornarci dentro. Ma è necessario contenere i contagi”.
E il vaccino?
“Le sperimentazioni sono in corso e questa è un’ottima notizia. Per il momento è tutto quello che posso dire a riguardo”.
(Il Resto del Carlino)