Un articolo apparso su Science raccoglie i dati dei primi 10 mesi delle app di contact tracing. E ne racconta la temporanea sconfitta, analizzando responsabilità e individuando soluzioni possibili
Un fallimento globale. Scarse percentuali di adozione, ancora più scarso il numero di utenti attivi, diffidenze e timori diffusi tra i cittadini mai del tutto fugati da parte dei governi che le hanno lanciate.
Un articolo apparso su Science raccoglie i dati dei primi 10 mesi delle app di contact tracing. E ne racconta la temporanea sconfitta. Lanciate un po’ ovunque come uno dei pilastri per combattere la pandemia da Covid-19, le app stanno avendo difficoltà a ogni latitudine, con motivi spesso piuttosto simili paese dopo paese. In un articolo scritto a quattro mani, Alessandro Blasimme e Effy Vayena, due bioetici del Politecnico di Zurigo, in Svizzera, provano ad analizzare le cause di questo fallimento, ma lasciano una speranza per i prossimi mesi: perché, sostengono, se i governi dovessero cambiare strategia utilizzo, e di comunicazione, la rotta potrebbe ancora essere invertita.
Erano gli inizi della pandemia quando ovunque nel mondo si è cominciato a parlare di contact tracing digitale. Da lì i governi hanno cominciato la corsa alle app anti contagio.
Tutto sembrava andare per il verso giusto. Un insolito accordo tra Google e Apple ha visto i due giganti unire per la prima volta gli le forze e fornire un protocollo che ha consentito il ‘dialogo’ tra smartphone Android e iOS via bluetooth. Eppure, dopo 10 mesi, i tassi di download restano ovunque bassi. Ancora più bassi quelli di utilizzo. E a questo si devono aggiungere le difficoltà delle aziende sanitarie, della logistica, dei tamponi: un po’ ovunque, non solo in Italia. Il bilancio del tracciamento digitale dei contagi è al momento negativo. E sono i dati a raccontarlo.
CONTACT TRACING, NAZIONE PER NAZIONE
Lo studio pubblicato da Science fa una panoramica delle percentuali di adozione nei principali paesi che hanno lanciato un’app di contact tracing. Nonostante i primi sondaggi della scorsa primavera, che negli Usa, in Svizzera e in Italia raccontavano di una popolazione adulta pronta a scaricare le app con percentuali tra il 55 e il 70 percento, i dati una manciata di mesi dopo raccontano una realtà assai diversa: i download sono stati ovunque inferiori alle aspettative.
Al netto degli Usa, che al momento non si sono dotati di un’app di tracciamento dei contagi, in Australia la CovidSafe è stata scaricata da 6,5 milioni di persone (26% della popolazione); in Italia Immuni da 8 milioni (13,4% – riportiamo i dati dello studio che però non sono aggiornati: ad oggi Immuni è stata scaricata da 9,8 milioni di persone); in Francia Stop Covid da 1,5 milioni (2,3%); in Irlanda CovidTracker da 1,3 milioni (24%); in Svizzera SwissCovidApp da 1,8 milioni (21,5%); in Germania CoronaWarn da 16 milioni (19,3%).
Gli stati asiatici raccontano una storia diversa, con buone percentuali di successo, ma non vengono considerati nello studio. I modelli adottati in paesi come la Corea del Sud o Singapore però sono difficilmente adottabili nei paesi occidentali, dove vigono norme della privacy e tutela della sfera privata più ferree e difficili da aggirare, o violare.
CAUSE, SOLUZIONI
Nel loro saggio, gli autori Alessandro Blasimme e Effy Vayena, due bioetici del Politecnico di Zurigo, in Svizzera, giustificano questo ‘flop’ soprattutto con una una mancanza generale di “gestione flessibile da parte dei governi” (adaptive governance, nel testo). Cioè l’incapacità mostrata dagli esecutivi responsabili di agire in modo aperto e collaborativo, mettendo da parte la classica strategia “dall’altro verso il basso” a discapito dei governi locali e regionali. Un lavoro di squadra e trasparente che sembra essere mancato un po’ ovunque.
Questo avrebbe aumentato il clima di scetticismo intorno alle app. In successive indagini è emerso come molte persone abbiano manifestato un crescente timore sull’uso dei dati da parte dei governi centrali e delle società tecnologiche che hanno messo a disposizione il protocollo di contact tracing. Timori che, spiega lo studio, i governi farebbero bene a fugare, e in fretta. Perché l’esperimento non è ancora da destinare alla soffitta, sostengono i bioetici. C’è tempo per cambiare direzione, dare un nuovo impulso alle app che potrebbero svolgere un ruolo ancora determinante per combattere la seconda ondata dei contagi. Mentre già si comincia a parlare della terza.
(Agi)