19 Luglio, 2024
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Covid: Italia terza al mondo per tasso di mortalità, pesano le malattie croniche

Sulla morsa del Covid che ancora affligge il nostro Paese, al di là del dato quotidiano (altri 753 morti oggi, dopo i 731 di ieri) a impressionare sono le statistiche: secondo l’ultimo report della Johns Hopkins University il nostro Paese è al terzo posto al mondo per tasso di letalità, con il 3,8%, dopo Messico (9,8%) e Iran (5,8%). Segue la Gran Bretagna (3,7%), mentre altri grandi Paesi hanno dati assai migliori: 2,8% la Spagna, 2,2% la Francia; persino gli Usa, se si va oltre i numeri assoluti, hanno un dato migliore (2,2%).

Il grafico sulla mortalità da Covid dell Johns Hokpins University

I motivi, spiega all’AGI Giovanni Maga, direttore dell’Istituto di genetica molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Igm), sono da ricercare soprattutto nella struttura anagrafica e sociale del Paese: “Abbiamo un’età media elevata – ricorda – tra le più alte d’Europa, ma non solo: i nostri anziani non sono molto sani, sono tante le patologie croniche che colpiscono la popolazione, normalmente gestite senza grandi problemi. Diabete, ipertensione, obesità, malattie cardiovascolari. Ma sappiamo che queste malattie, associate al Covid, possono aggravare il quadro clinico, fino purtroppo al decesso”. Dopo anni a sottolineare, con giusto orgoglio, che gli italiani vivono mediamente di più, è il coronavirus a ricordarci l’altra faccia della medaglia: si vive di più, ma male.

“E’ una popolazione anziana e fragile – conferma Maga – e questo sicuramente è la spiegazione più rilevante”. Tanto più che “durante la prima ondata si attribuiva l’altissimo tasso di letalità alle difficoltà nell’assistenza. Se poteva essere vero a marzo lo è meno adesso. Pur con tutte le difficoltà la situazione del sistema nel suo insieme è diversa”. Allora un’altra variabile da considerare, secondo il genetista del Cnr, “è la struttura sociale. Gli anziani da noi sono molto più coinvolti, stanno di più in famiglia, suppliscono alle carenze del welfare occupandosi dei nipoti. Questo chiaramente alza il livello di rischio. Senza contare poi le criticità emerse nelle Rsa, che erano palesemente impreparate, non tanto per mancanza di strumentazioni o personale ma proprio a livello culturale”.

C’è poi un’altra tesi che serpeggia già dalla prima ondata, “non infondata” come sottolinea Maga: ossia che “la classificazione dei decessi non sia omogenea nei vari Paesi. Come si stabilisce la causa prima di morte? Se una persona positiva muore di infarto come si decide se è morto di infarto o di Covid? Mi pare non ci sia perfetta omogeneità su questo”. In ogni caso, ribadisce l’esperto, “probabilmente è proprio la struttura demografica la causa prima: lo sappiamo perchè se scorporiamo i dati della letalità per fasce di età e li ‘normalizziamo’ per tutti i Paesi (come se tutti avessero la stessa percentuale di popolazione anziana), vedremmo tassi di letalità simili”.

Purtroppo per vedere calare i numeri atroci delle ultime settimane “ci vorrà tempo, sappiamo che prima calano i casi, poi i ricoveri, infine i decessi. Ma i dati degli ultimi giorni ci inducono a un cauto ottimismo: la curva che in ottobre accelerava in modo esponenziale sta vistosamente rallentando, e nella prossima settimana mi aspetto si inizino a vedere gli effetti combinati delle varie misure, da quelle di fine ottobre, piuttosto blande, alle chiusure imposte dal 4 novembre in poi. Potremmo sperare di iniziare a vedere un primo calo, e l’obiettivo deve essere quello di abbassare sempre più i nuovi ricoveri per ridurre la forbice con i dimessi, consentendo al sistema in affanno di tornare in equilibrio”.

(Agi)

 

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