L’appello della Federazione nazionale degli Ordini dei medici: “La sicurezza degli operatori sanitari dentro e fuori gli ospedali deve essere una priorità”
Duecentodue morti. Duecento e due medici che non ce l’hanno fatta.
Vite spezzate proprio da quel virus che stavano provando a combattere in corsia, nei loro studi medici, in atti di eroismo verso gli altri, con il ritorno in ospedale durante l’emergenza, nonostante avessero appeso da tempo al chiodo il camice bianco. Di questi, ventitré sono vittime della seconda ondata, caduti tra il primo ottobre e oggi, poco più di un mese e mezzo.
Gli ultimi due nomi sul memoriale pubblicato sul sito della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo), listato a lutto dall’11 marzo, giorno della prima vittima nelle file dei medici, sono quelli di due colleghi iscritti all’Ordine di Foggia, deceduti a poche ore di distanza l’uno dall’altro: Mauro Cotillo, 58 anni, medico odontoiatra del capoluogo pugliese, e Giovanni Bissanti, 62 anni, medico di continuità assistenziale di Serracapriola.
A loro vanno aggiunti anche i nome di Antonio Antonelli, 64 anni, conosciutissimo diabetologo di Isernia, che da un anno si era congedato dall’attività ospedaliera, e di Alessandro Fiori, medico di medicina generale di Sassari.
“Duecento colleghi deceduti per Covid-19 non ce li saremmo mai aspettati quando tutto questo è cominiciato” si sfoga il presidente della Filippo Anelli, che metta al centro il tema della sicurezza degli operatori sanitari: “Una priorità di sanità pubblica”. “Gli ospedali – commenta – si sono attrezzati per far fronte alla pandemia, creando percorsi sporchi e puliti e dotando il personale dei dispositivi individuali di protezione adeguati al grado di rischio. Lo stesso si deve fare sul terrtorio, potenziando le Usca, le Unità speciali dedicate alla cura del Covid-19, che devono affiancare e supportare i medici di famiglia, i pediatri di libera scelta, i medici di continuità assistenziale, del 118, delle Rsa, gli specialisti ambulatoriali in un percorso di cura in piena sicurezza, per gli operatori e per gli assistiti”.
Napoli, che lavorava per la Asl 1. Era stato dimesso dopo molti mesi di malattia e di ricovero, ma è morto per le complicanze insorte a causa del virus. Come lui, di Napoli erano anche Ernesto Celentano e Mirko Ragazzon, entrambi di 60 anni, dottori di medicina generale. O il loro collega Domenico Pacilio, stessa specializzazione, cinque anni più giovane. Ancora: Giuseppe Sessa, anestesista 70enne. E Antonio Casilio, chirurgo estetico che dalla primavera, davanti alla carenza di medici, si era messo a disposizione dei pazienti e dell’ospedale in prima linea. Era campano, ma di Caserta, anche Paolo Melenchi, oculista di 57 anni.
Era invece un otorino del San Camillo di Roma Giovanni Bruglia, scomparso a 52 anni. Vittorio Collesano e Alberto Gazzera lavoravano invece a Pavia: il primo (72 anni) come odontoiatra e professione universitario, il secondo (70 anni) medico in pensione, tornato al lavoro davanti all’emergenza sanitaria. Come lui il 70enne Giorgio Drago, medico di medicina generale, ancora attivo come libero professionista nel suo studio ad Alessandria. E l’83enne Pierantonio Meroni, ex aiuto ginecologo in pensione, tornato a lavorare nel suo vecchio ospedale a Como, per dare una mano ai colleghi in difficoltà.
Nella lista pure due pediatri: Luigi Picardi, 64 anni di Genova, e Marco Pugliese, 65 anni, di Pisa. Massimo Ugolini, di 62 anni, faceva invece il fisiatra a Como. Tanti i medici di medicina generale: Annibale Battaglia (68 anni, di Catanzaro), Augusto Vincelli (68 anni, di Campobasso), Lucio Bellan (65 anni, di Vercelli). L’unica donna, che ha perso la vita in questa seconda ondata, è Maria Addolorata Mangione, geriatra e bioeticista di Latina: aveva sessant’anni.
Ieri, già prima delle ultime due vittime, i medici di famiglia avevano dichiarato lo stato di agitazione: “Sono più di 20mila gli operatori sanitari (tra ospedalieri, Mmg e infermieri) infettati da settembre a oggi, tra cui i medici di medicina generale, lasciati spesso senza protezioni con gli ambulatori scoperti per i quali a volte non si riesce a trovare sostituti e chi rimane deve svolgere il lavoro anche per altri”.
(La Repubblica)