27 Dicembre, 2024
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Covid cura a domicilio. “Ecco il decalogo”

Piero Sestili, docente di Farmacologia, presenta il suo studio sulla terapia di chi non necessita i ricoveri

Pesaro, 22 novembre 2020 – Una indagine conoscitiva sulle cure a domicilio destinate a coloro che sviluppano la malattia, ma non hanno necessità di ricovero, ovvero la maggioranza delle persone infettate dal Covid-19.

Questa l’iniziativa promossa dal professor Piero Sestili a cui hanno collaborato docenti universitari e medici marchigiani, insieme ad altri colleghi che hanno dato vita al board “Pillole di ottimismo“. Il docente di Farmacologia all’università di Urbino ha censito e confrontato i protocolli domiciliari messi a punto nelle ultime settimane da enti e Regioni. Il tutto per arrivare alla definizione di una serie di prescrizioni, ora al vaglio dei medici di base marchigiani, da rendere disponibili ai professionisti che ne facciano richiesta.

Professor Sestili, come nasce questa iniziativa?

“Nel nostro gruppo di lavoro – ha spiegato il farmacologo –siamo convinti che sia possibile ridurre sensibilmente le ospedalizzazioni trovando un accordo sulle cure farmacologiche da utilizzare in ambito domiciliare sui pazienti Covidche presentano sintomi e condizioni molto diverse”.

Cosa impedisce che questo accada?

“Ora tutto è lasciato all’improvvisazione se non peggio, alle limitazioni e ai divieti posti ai medici di famiglia che invece devono essere messi nelle condizioni di tornare a curare liberandosi di tante incombenze burocratiche”.

Da dove siete partiti?

“Dalla classificazione dei sintomi, elemento fondamentale per conoscere l’evoluzione della malattia, e da quelle due-tre famiglie di farmaci che si sono rivelati utili nelle cure precoci”

Quali sono gli elementi da tenere d’occhio?

“Lo stato febbrile, e la sua durata, insieme agli altri sintomi tipici delle malattie da raffreddamento. E poi la compromissione polmonare che è il vero campanello di allarme da misurare non solo mediante il saturimetro, ma anche con facili prove da sforzo come i walking-test, e dove possibile con un esame ecografico a domicilio. Da qui poi si decide la terapia, è così? “A nostro avviso l’esordio della malattia non va trattato con la tachipirina, che ha unicamente proprietà antipiretiche e analgesiche, ma con antinfiammatori non stereoidei come l’acido acetilsalicilico o l’ibuprofene, più incisivi”

Questa è l’ossatura della terapia…

“Si, ma in presenza di condizioni di rischio, età superiore ai 60 anni o di mobilità ridotta, il curante può decidere di somministrare anche l’eparina”

La terza fase riguarda i problemi respiratori: come vanno trattati?

“Siccome la ‘fame d’aria’ porta facilmente al ricovero, anche in tempi rapidissimi, è necessario superare le riserve che circondano i cortisonici”.

Perché?

“Poiché i cortisonici, potenti antinfiammatori, verrebbero comunque somministrati al paziente una volta arrivato in ospedale, vale la pena anticiparli nel setting domiciliare per evitare se possibile, il ricovero.. E quando ci sono delle evidenze di sovrainfezioni polmonari bisogna intervenire con antibiotici battericidi come i fluorochinoloni o le cefalosporine. Diciamo no invece alla azitromicina dal giorno zero perché nonostante una certa capacità antinfiammatoria, che se si utilizzano i Fans non serve più, è sempre un antibiotico e come tale non va somministrato in assenza di sovrainfezioni batteriche”

Quanti giorni di cortisone è bene fare prima di predisporre il ricovero?

“Una categorizzazione non è possibile perché la casistica è molto varia. Una ragione di più per mettere al centro delle cure i medici di base, ai quali i soggetti a rischio potrebbero chiedere consiglio sull’assunzione di vitamine e pro-biotici per farsi trovare, in caso di contagio, in buone condizioni di resilienza”.

(Il Resto del Carlino)

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