Vi spiego perché io, uomo di sinistra-sinistra, mi dichiaro un centralista convinto.
È il filo conduttore delle riflessioni del professor Luciano Canfora, filologo, storico, saggista, una “coscienza critica” della sinistra. Professore emerito dell’Università di Bari, membro del Consiglio scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana e direttore della rivista Quaderni di Storia (Dedalo Edizioni), Tra i suoi libri, ricordiamo: Fermare l’odio (Laterza); Il sovversivo. Concetto Marchesi e il comunismo italiano (Laterza); Il presente come storia e il recente Europa gigante incatenato (Dedalo).
Il balletto dei commissari. Ora pure l’arresto del presidente del Consiglio regionale per presunti legami con l’ndrangheta. Professor Canfora, Calabria infelix o cos’altro?
Io torno su un punto di cui avevamo già parlato in una nostra precedente conversazione: il rischio spaventoso dell’ordinamento regionale. La follia costituzionale di cui siamo vittime e lo saremo per chissà quanti anni ancora. Già era un azzardo averle inventate, le regioni, e con la riforma del titolo V le abbiamo pure potenziate. Mesi addietro scrissi un libricino che si intitola Europa gigante incatenato. Lì dentro c’è un capitolo che parte da un episodio: quando Der Spiegel, settimanale molto importante, prese posizione contro il Governo tedesco, stiamo parlando dell’aprile scorso, che si opponeva agli eurobond, che infatti non sono mai passati come tali, il Recovery fund è altra cosa. Contro lo Spiegel reagì Die Zeit, anch’esso ragguardevole organo di stampa, che disse che era una follia dare questi aiuti a paesi come l’Italia dove il potere mafioso è molto presente e rilevante. Allora mi permisi di scrivere viva lo Spiegel che ha detto una cosa nobilissima, ma Zeit non ha tutti i torti.
Perché?
Perché quando tu suddividi il potere decisionale in 20 regioni quante sono nel nostro paese, hai creato 20 opportunità alla malavita di interloquire con poteri che contano, stavolta più vicini, più raggiungibili, più permeabili, meno difesi da codici etici che s’impongono a chi fa parte di un Governo nazionale, per ovvie ragioni, perché il controllo dell’opposizione è molto più forte, la risonanza nazionale di quello che fai è molto più forte. Il potere locale vive per lo più sott’acqua, sul filo dell’acqua. Ha i suoi legami locali e localmente può succedere di tutto. E questo vale sia per i camici di Fontana e dei suoi parenti, sia per la regione Calabria e per tante altre cose di cui non sappiamo o sapremo pian piano quando si degneranno i giornali di parlarne. Mi permisi di dire che l’osservazione un pochino aspra della Zeit aveva un fondamento. E ce l’ha esattamente in questo rischio dei poteri locali che sono una iattura, al di là del baratro economico che costituiscono con tutti gli apparati, i lauti stipendi che si danno ai deputatini, ai consulenti, agli uscieri… A parte questo, che è scandaloso, c’è poi il fatto che per chi male opera, la cosiddetta malavita, è molto più facile arpionare in loco. Quando poi si scende dalla regione al comune, i comuni chiusi per mafia non dico che sono equamente divisi tra le varie forze politiche, ma quasi. A significare, appunto, che il problema è quello lì, di avere reso più facilmente accessibile la porta che introduce nelle stanze decisionali. Morale della favola: sono seriamente centralista, perché è l’unica via per rendere tutti uguali, sempre che il concetto di uguaglianza ci piaccia.
Ma la fondazione delle regioni come istituzioni politico-amministrative non è stato il vanto della sinistra?
Su questo mi permetto di dire che la cosa è più complessa. E rimando a quel libricino di cui sopra. Perché lì ho rievocato il fatto che alla Costituente chi si espresse criticamente sulla istituzione delle regioni, non fu soltanto Benedetto Croce, che fece un bellissimo intervento in cui disse che il nostro paese è un paese unitario da pochi decenni e noi stiamo per incrinare questa faticosamente conseguita unità. Erano contrari, per dirle di forze politiche diversissime, un uomo che rispondeva al nome di Palmiro Togliatti e uno non meno significativo che si chiamava Francesco Saverio Nitti. Dopo di che, la pressione filo-federalista fino allo spasmo, ad esempio del Partito d’azione, introdusse questo sciagurato istituto nel nostro ordinamento. Dimenticandosi tutti che le regioni così come sono disegnate sulla carta geografica, sono in realtà le regioni augustee, quelle che Augusto, quando riordinò l’impero, l’Italia etc., tracciò sulla carta geografica. Creando anche delle stramberie. Per esempio, l’Abruzzo e il Molise, Foggia e Lecce, per venire alla mia regione, non hanno in comune quasi nulla, men che meno il dialetto, men che meno la storia. Quindi sono delle suddivisioni astratte, che abbiamo ereditato, eternato e potenziato con quell’ordinamento. Ma ben prima di Benedetto Croce, io mi permetto di ricordare un autore meno famoso ma in realtà molto più efficace, che si chiamava Carlo Collodi, con il suo bravissimo Pinocchio. Carlo Collodi era anche un giornalista politico molto vivace, lo era talmente che a un certo punto gli fu vietato di collaborare ai giornali, stiamo parlando degli anni ’70 dell’800. In un suo intervento molto bello sul giornale Il Lampione, il 13 maggio 1860, scrisse guardatevi bene dal suddividere il nostro paese in regioni, perché quello significa rimettere in vita gli stati pre unitari, compreso il Granducato di Toscana che lui conosceva benissimo essendo nato da quelle parti. Cito testualmente: «Federalismo è un pretesto per rimettere le cose allo statu quo». E poi c’è questa solenne stupidata…
Quale?
Ci siamo inventati che siamo come gli Stati Uniti d’America, che hanno tutta un’altra storia. Ma da noi il fanatismo mimetico nei confronti degli Stati Uniti è talmente delirante e sciocco che i presidenti delle regioni pomposamente si fanno chiamare governatori. Il che fa ridere i polli, le galline, anche i passeri, perché i governatori sono quelli degli Usa. Come non bastasse, si compiacciono anche del sindaco-sceriffo. È la grande vittoria di Alberto Sordi. Il fare l’americano. Ma lì era una caricatura, qua purtroppo è la triste realtà. Dinanzi a questo scellerato quadro, i rimedi sono pochi. Dopo di che, nella lunga notte centrista della nostra storia italiana post fascismo, bisogna applicare la Costituzione era la parola d’ordine della sinistra. Applicarla però in ogni sua parte, in ogni suo articolo, in ogni sua ispirazione, anche le regioni. Quindi era un motivo polemico per la sinistra quel: vogliamo che sia attuato l’istituto regionale, per la ragione che tutti dimenticano, che la Democrazia cristiana e soprattutto l’Ambasciata americana a Roma, erano contrarissime a che ciò che accadesse, perché si riteneva che l’Emilia-Romagna, la Toscana, l’Umbria e forse le Marche, diventando regioni governate dai terribili e temibili comunisti, avrebbero aperto le porte al nemico in caso di guerra. E la guerra veniva considerata un’ipotesi di dopodomani. Quindi niente regioni, perché l’Italia sarebbe divisa in due dai comunisti al centro del paese. Questa era la ragione per la quale la Dc frenava. Chi è che spinse affinché finalmente si istituissero le regioni, ma in realtà nacquero nel 1970, quindi molto dopo, fu la lunga presidenza Gronchi, perché Gronchi fece un discorso molto apprezzato dai comunisti e dai socialisti quando diventò presidente, in cui disse: bisogna applicare la Costituzione. All’epoca – era il 1955 quando lui fu eletto presidente della Repubblica – dire una cosa del genere era una frase eversiva, da comunista. Questa è la realtà. Poi una volta istituite, il marcio, come diceva Amleto nel regno di Danimarca, alla fine è venuto fuori.
Ragionando sulla politica ai tempi del Covid, un vecchio combattente come Emanuele Macaluso, in una intervista a questo giornale ha affermato che la politica è morta. Come confronto di idee, come scontro di visioni, come dibattito. È una sentenza impietosa?
Macaluso quasi sempre vede giusto, è un uomo acuto, è testimone di una storia lunghissima, quindi tanto di cappello. Dice la verità, nel senso che se la discussione, per restare nella mia Puglia, è: Antonella Laricchia ce l’ha con Emiliano? E la piattaforma Rousseau cosa dirà mai? Siamo ridotti alle pezze. Neanche alla farsa, perché la farsa ha una sua dignità. Questa è la brutale realtà che abbiamo davanti, in cui lo svuotamento ideale delle forze politiche, soprattutto della ex sinistra, ha determinato questo linguaggio sostanzialmente simile di tutti, diversificato soltanto dal tipo di insulti. Salvini ha un certo tipo di insulti, gli piace la parola inciucio e altre volgarità. Dall’altra parte non c’è questo linguaggio ma alla fine si dice che dovremmo avere degli obiettivi comuni. Il che è buffo, perché se sono comuni allora le differenze di visione, come si usa dire, non esistono più. Con l’attenuante che può spiegare ma non giustifica per niente il fenomeno…
Vale a dire?
Il fatto che ci troviamo dal punto di vista materiale, concreto, sanitario ed economico, in una bufera tale per cui una tantum attenuare le contrapposte visioni del mondo dovrebbe avere un senso, con la sola finalità di provvedere hinc et nunc alle urgenze. È la stessa ragione per cui in guerra si fa il Gabinetto di guerra: laburisti e conservatori stanno insieme. Ora, il fenomeno additato giustamente da Macaluso è incominciato da molto prima del fatidico gennaio 2020. Lui ha perfettamente ragione ma in questo momento è facile obiettargli che ci sono obiettivi urgentissimi, improrogabili, per i quali è necessario che tutti cerchino di andare d’accordo. Cosa che poi non accade, a parte Berlusconi che si defila dalla brutalità del centrodestra. Sostanzialmente l’appello di Mattarella alla concordia, rimane più o meno lettera morta.
In questo “cimitero di idee”, in cui ad esempio salute e libertà sembrano essere diventate inconciliabili, esiste ancora uno spazio per un pensiero critico e per una visione di sinistra?
Certamente sì, ma andando alla sostanza delle cose. Faccio un esempio che mi pare più pertinente al tempo che stiamo vivendo. I vaccini. È già scattata la gara strettamente economico-capitalistica: gli americani hanno fatto sapere che il loro vaccino, che veniva dato per buono al 92 per cento adesso è al 99, perché quello inglese era al 95. Qual è il problema? Che saranno messi sul mercato profumatamente pagando le ditte produttrici. Ma questo non lo dice nessuno. Se è vero che sono efficaci, un Governo che sia veramente tale, non parlo di quello italiano soltanto ma di tutta l’Europa che è alle prese con questa devastante pandemia, dovrebbe semplicemente imporre un prezzo politico simbolico a queste ridicole ditte farmaceutiche produttrici e la distribuzione di milioni e milioni di dosi sempre con un prezzo politico. Questa sarebbe una risposta di sinistra alla canagliata che si accinge ad andare in scena, cioè fare i soldi sulla vendita del vaccino. Li voglio vedere i liberisti come si comporteranno. Perché per i liberisti il profitto è sacro, e quindi quella ditta che in grande fretta è riuscita a realizzare la cosa, strapagando degli scienziati, adesso deve fare i soldi. Ma su chi li fa? Su noialtri. Sulla gente che rischia di morire. Quindi il capitalismo è assassino, come sempre.
(Il Riformista)