Per la prima volta nella sua storia, non sarà un titolo d’opera a inaugurare la stagione. La prevista «Lucia di Lammermoor» di Donizetti cede il posto a uno spettacolo unico da vedere in tv e sul web
Per la prima volta nella sua storia il Teatro alla Scala inaugura la stagione non con un titolo d’opera, la prevista Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti, ma con un concerto. E per di più a porte chiuse, senza pubblico in sala. Il Covid stravolge anche la tradizione del 7 dicembre. A Sant’Ambrogio nessuno in platea e nei palchi della sala del Piermarini, ma la Prima andrà su Rai1. Non solo, oltre all’ammiraglia della Rai – che da cinque anni manda in diretta l’opera inaugurale – la serata andrà su Radio3, in streaming su RaiPlay, su Arte «e stiamo lavorando perché lo streaming sia fruibile in tutto il mondo» annuncia il sovrintendente Dominique Meyer spiegando che quello che andrà in onda a partire dalle 17 «non sarà un semplice concerto con un susseguirsi di arie, ma sarà uno spettacolo unico, speciale, che forse non si è mai visto e che non si vedrà più. Lo abbiamo intitolato A riveder le stelle». Tre ore di musica spalmate su quattro ore di programma (il Tg1 delle 20 slitta alle 21), incorniciate dalla presentazione di Milly Carlucci e Bruno Vespa e interrotte a più riprese dalla pubblicità – in conferenza stampa Meyer ha ringraziato i numerosi sponsor che «nonostante la crisi colpisca tutti, non solo il mondo della cultura, hanno voluto essere vicini anche quest’anno alla Scala», ma anche il pubblico che «si è fatto vicino al teatro rinunciando ai rimborsi dei biglietti degli spettacoli cancellati».
Il 7 dicembre concerto/spettacolo parole e musica si intrecceranno in un racconto tra storia e attualità perché «vogliamo parlare della situazione dell’opera e della funzione della lirica nella società» annuncia Meyer che ha chiamato il regista Davide Livermore, reduce dalle ultime due inaugurazioni con Attila di Giuseppe Verdi nel 2018 e Tosca di Giacomo Puccini lo scorso anno. «A Livermore, che ha risposto sì in meno di un secondo, abbiamo chiesto di pensare a una narrazione, a un filo conduttore per la serata» che vedrà sul podio Riccardo Chailly. «Sarà un viaggio in un secolo di musica che inizierà con le note del preludio del Rigoletto di Verdi con il tema della maledizione e si chiuderà su quelle del finale del rossiniano Guglielmo Tell che celebra la gioia per una libertà riconquistata» spiega il direttore musicale del Teatro alla Scala che ha scelto pagine di Verdi e Puccini, di Rossini e Donizetti, di Umberto Giordano, ma anche di Georges Bizet, Jules Massenet e Richard Wagner.
«I grandi artisti sono gli ambasciatori della bellezza, noi abbiamo lanciato un appello a tutti i grandi cantanti del mondo per essere con noi» spiega il sovrintendente Meyer.
Hanno risposto in ventiquattro: Ildar Abdrazakov, Roberto Alagna, Carlos Álvarez, Piotr Beczala, Benjamin Bernheim, Eleonora Buratto, Marianne Crebassa, Plácido Domingo, Rosa Feola, Juan Diego Flórez, Elīna Garanča, Vittorio Grigolo, Jonas Kaufmann, Aleksandra Kurzak, Francesco Meli, Camilla Nylund, Kristine Opolais, Lisette Oropesa, George Petean, Marina Rebeka, Luca Salsi, Andreas Schager, Ludovic Tézier, Sonya Yoncheva. Non solo. «Ci saranno poi tre momenti di balletto: Roberto Bolle danzerà un pezzo contemporaneo di Massimiliano Volpini mentre i primi ballerini del teatro proporranno un momento dello Schiaccianoci con la coreografia di Nureyev e un nuovo lavoro su musiche di Verdi con la coreografia di Manuel Legris, che da dicembre sarà il nuovo direttore del corpo di ballo» anticipa Meyer che ha voluto coinvolgere «tutte le famiglie del Teatro alla Scala, l’orchestra, il coro, il corpo di ballo supportati da tutto il personale tecnico e amministrativo». A guidarli Chailly che ha rivelato di provare «nostalgia di ciò che si è perso e una punta di dolore perché avevamo lavorato bene con il regista Yannis Kokkos al progetto di Lucia di Lammermoor che avremmo proposto nella prima versione. Ma abbiamo dovuto per forza cambiare rotta» spiega il direttore musicale scaligero spiegando poi che «non mi era mai capitato, in quarant’anni di carriera, di dirigere senza pubblico. Sarà difficile, ma è una sfida da raccogliere in questi tempi difficili in attesa di tornare a fare musica con il pubblico in sala».
Orchestra al centro della platea, artisti sul palco, ma anche nei palchetti e in diverse zone del teatro, per uno spettacolo per il quale Livermore userà anche la realtà aumentata,
«una tecnica possibile grazie alla tecnologica che si può realizzare non in teatro, ma su un set di cinema o tv: allestiremo uno spazio scenico in 3D con elementi che si vedranno solo in tv» rivela il regista che sta lavorando alla drammaturgia dello spettacolo. «Racconteremo temi chi ci hanno appassionato e formato attraverso l’opera come la critica al potere, il dar voce ai deboli, il ruolo delle donne. Una narrazione che sarà affidata ad artisti giovani e meno giovani del teatro di prosa italiano che leggeranno testi di Verdi e di Victor Hugo, ma anche brani scritti appositamente per la serata o testi di canzoni pop come quello di Fragile di Sting per dire che i temi trattati dall’opera sono trasversali e universali. Vogliamo trasformare il dolore in medicina attraverso l’arte e la bellezza».
Scene di Giò Forma, video di D-Wok, costumi affidati a Gianluca Falaschi e ad alcuni stilisti italiani per uno spettacolo che sarà un mix tra diretta, differita e contributi registrati. «Vedremo Milano dall’alto e ci avvicineremo dall’esterno alla Scala, un teatro dove da sempre la società ha imparato ad essere civile. Siamo in tv, ma non abbassiamo il livello per essere comprensibili, non diamo contenuti premasticati» spiega Livermore, al quale fa eco l’amministratore delegato della Rai Fabrizio Salini. «Ruolo del servizio pubblico è anche quello di mantenere vivo il legame tra teatri e pubblico. L’impegno produttivo della Rai è di dare alla lirica un palco grande come l’Italia intera».
Rai che, tramite RaiCultura, proprio in questi giorni trasmette le opere che, a porte chiuse, stanno realizzando il Donizetti opera di Bergamo, il maggio musicale fiorentino e l’Opera di Roma.
Senza contare chi ha scelto la via dello streaming, da Verona a Pesaro a Palermo. Alla Scala, dove si studiano soluzione per trasmettere in streaming nei prossimi mesi, invece si è preferito non fare l’opera. «Non l’abbiamo fatta perché era impossibile farla con queste regole. Non vogliamo prendere rischi per la salute delle persone che lavorano in teatro, abbiamo sempre rispettato tutte le regole, ma nonostante questo c’è stato un focolaio nel coro: forse le norme non erano abbastanza stringenti» dice secco il sovrintendente Meyer per il quale, poi, «la società è in lockdown e noi ci adeguiamo. Non possiamo fare l’opera solo perché come bambini che vogliono un regalo di Natale insistiamo e facciamo i capricci. Ci sono momenti, e uno è questo, in cui si devono valutare le cose per quello che sono e non per quello che vorremmo».
(Avvenire)