Da Bangkok arrivano immagini familiari: migliaia di mani al cielo, giovani manifestanti con occhiali e cappelli protettivi, ombrelli aperti per ripararsi dai gas lacrimogeni.
Sembra Hong Kong un anno fa.
Intanto Thailandia, Hong Kong e Taiwan si uniscono in un’alleanza popolare di rivendicazione contro l’autoritarismo. Il loro simbolo, il tè col latte
Da Bangkok arrivano immagini familiari: migliaia di mani al cielo, giovani manifestanti con occhiali e cappelli protettivi, ombrelli aperti per ripararsi dai gas lacrimogeni. Sembra Hong Kong un anno fa. All’epoca, nelle strade dell’ex colonia britannica si chiedeva il ritiro della legge sull’estradizione. Evolutosi in una vera e propria lotta pro-democrazia contro le ingerenze di Pechino, il movimento è stato stroncato dalla pandemia e dalla legge sulla sicurezza nazionale, che criminalizza l’espressione di dissenso politico. Ma la lotta degli Hong Kongers sembra oggi produrre risultati ben oltre i propri confini.
Oggi è la Thailandia il teatro delle proteste. Nel mirino dei thailandesi, oltre al il Primo Ministro Prayut Chan-o-cha, sono le fondamenta stesse del sistema politico: migliaia di giovani si sono riversati davanti al palazzo reale di Bangkok per protestare contro lo strapotere della monarchia. Ad accomunare i movimenti di Hong Kong e Thailandia, però, è il sentimento anti-Pechino. Vuoi perché, nelle narrative politiche globali, lo statalismo cinese coincide con il nuovo “modello Asiatico”, vuoi per i complessi rapporti tra Pechino e Bangkok, il sentimento anticinese sarebbe un aspetto imprescindibile della lotta dei Thailandesi contro l’autoritarismo. «La presenza cinese è vista come un ostacolo alla democratizzazione del paese» ha spiegato Wasana Wongsurawat, esperta di Cina presso l’Università Chulanglongkorn di Bangkok.
La Milk Tea Alliance, che riunisce le rivendicazioni democratiche delle società civili di Taiwan, Hong Kong e Thailandia, è vista da molti come la nuova frontiera dell’antiautoritarismo in Asia Orientale.
Il nome stesso dell’alleanza allude a un conflitto culturale con Pechino. Indica infatti la preferenza, comune ai tre paesi, ma non alla Cina, di bere il tè con il latte: il tè freddo thailandese, che si prepara con zucchero e latte condensato, il milk tea di Hong Kong e il famoso bubble tea taiwanese, un mix di tè, latte e palline di tapioca.
Nata da un hashtag spopolato su Twitter nell’aprile 2020, l’alleanza è oggi una realtà anche nello spazio fisico delle proteste. Le piazze thailandesi hanno inneggiato in più di un’occasione all’indipendenza di Hong Kong. A loro volta, gli Hong Kongers manifestano da mesi la loro solidarietà con graffiti e presidi di fronte al consolato thailandese. Anche Joshua Wong, il volto del movimento pro-democratico di Hong Kong ha espresso la sua solidarietà: «le loro domande sono uguali alle nostre, vogliono libertà e democrazia» e aggiunge «la Thailandia non è solo meta delle nostre vacanze».
Lo scorso mese, gli attivisti in esilio Nathan Law e Sunny Cheung hanno lanciato una petizione online su Change.org per raccogliere il sostegno internazionale al movimento thailandese. In quattro giorni, più di 23.000 persone hanno aggiunto le loro firme. «Crediamo che il vento del cambiamento sia inevitabile. La democrazia prevarrà sui regimi autoritari. Chiediamo a ogni uomo libero di esprimersi contro la tirannia, per dovere e per fede politica», dice la petizione. «Fine della tirannia. Democrazia ora».
I manifestanti thailandesi hanno imparato dalle proteste di Hong Kong, usando gli ombrelli per proteggersi, formando catene umane per passare materiali protettivi durante gli scontri e adottando il motto “be water”, che si traduce nell’organizzazione di raduni spontanei in tutta Bangkok.
Ispirato a una citazione dell’eroe delle arti marziali Bruce Lee, la frase è stata riproposta dal movimento di Hong Kong per esprimere la necessità di un nuovo approccio all’espressione del dissenso politico. “Be water” usa l’amorfia, la fluidità e la velocità per eludere la repressione, ed è diventata la strategia chiave dei movimenti di tutto il mondo.
«Be water, my friend» – scrivono i netizens di Taiwan su Twitter a sostegno dei thailandesi. Da sempre in rapporto di conflittualità nei confronti di Pechino e fiera della propria identità democratica, l’isola ha espresso in molti modi il suo supporto ai movimenti pro-democrazia nella regione. Già ai tempi del movimento anti-estradizione, sia il governo che la società civile taiwanese si erano espressi in sostegno delle proteste a Hong Kong.
L’Alleanza di Taiwan per la democrazia thailandese, un gruppo formato in agosto da studenti thailandesi che studiano a Taiwan, è tra i più attivi nell’esportare il movimento a livello globale. Il gruppo ha organizzato proteste a Taiwan e condiviso sulla sua pagina Facebook, seguita da circa 9.000 utenti, aggiornamenti quotidiani sugli ultimi sviluppi in Thailandia. «La Milk Tea Alliance non appartiene a un paese, ma è il frutto della solidarietà pro-democratica tra Thailandia, Taiwan e Hong Kong. E ora unisce tutti coloro che combattono contro l’autoritarismo», hanno detto alcuni dei suoi rappresentanti.
Il gruppo ha anche rivendicato la natura indipendente della lotta, che rifiuta tanto l’imperialismo cinese quanto quello occidentale. «Come giovani generazioni asiatiche, speriamo di mostrare al mondo che i valori democratici in cui crediamo non sono “occidentali”, ma derivano da un sentimento universale comune alle persone di tutto il mondo che chiedono libertà e autodeterminazione».
Secondo quanto riportato a Reuters da alcuni attivisti, la Milk Tea Alliance potrebbe essere l’embrione di un «movimento pan-asiatico per la democrazia». Ma altri osservatori sono scettici: secondo Sitthiphon Kruarattikan, professore associato e direttore dell’Institute of East Asian Studies presso la Thammasat University di Bangkok, la Milk Tea Alliance non sarebbe altro che una forma di «sostegno morale online». Parole ancora più dure quelle del portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian, secondo il quale la Milk Tea Alliance non sarebbe altro che «una cospirazione che non avrà mai successo».
Ma a prescindere dal suo potenziale impatto politico, la Milk Tea Alliance è già espressione di una tendenza crescente in Asia Sud-Orientale. Secondo l’Armed Conflict Location and Event Data Project (ACLED), nel 2018 la regione da sola è stata teatro del 38% degli episodi di violenza politica legati al dissenso. Sintomo che, in un continente in continuo movimento sociale e politico, la società civile vuole finalmente essere protagonista.
(Globalist)