Parla lo scienziato, autore del libro «Il codice della creatività: Il mistero del pensiero umano al tempo dell’intelligenza artificiale» (Rizzoli), che sarà oggi ospite al National Geographic Festival delle Scienze, sulla piattaforma digitale dell’Auditorium di Roma
Il matematico e divulgatore inglese Marcus Du Sautoy è uno degli ospiti principali al National Geographic Festival delle Scienze, dove interverrà oggi attraverso la piattaforma digitale dell’Auditorium di Roma. Du Sautoy ha pubblicato Il codice della creatività: Il mistero del pensiero umano al tempo dell’intelligenza artificiale per Rizzoli (traduzione di Daniele Didero, pp. 400, euro 20). È un affascinante viaggio nelle imprese realizzate dall’intelligenza artificiale in campo artistico, musicale, letterario e matematico. Computer e robot potrebbero sostituire l’essere umano non solo nelle attività ripetitive, ma anche laddove servono intuizione e fantasia. Viene il dubbio che anche mestiere del matematico sia destinato a sparire. «Sopravviverà ma dovrà adattarsi – spiega Du Sautoy – ma vale per molti altri lavori perché l’intelligenza artificiale avrà un enorme impatto in molti settori. Per me la sigla ’IA’ non significa tanto ’intelligenza artificiale’ ma ’intelligenza aumentata’ o ’alternativa’. L’intelligenza umana combinata con quella artificiale è molto più potente della somma delle due prese singolarmente. Il mio libro si rivolge anche ai matematici, affinché si confrontino con questo potenzialmente entusiasmante strumento per fare matematica».
A leggere il suo libro, sembra che l’intelligenza artificiale riesca meglio in campo artistico che in quello matematico. Non è paradossale?
Come nel racconto di Borges La biblioteca di Babele, i matematici non stanno creando una collezione di tutte le proposizioni valide in matematica o geometria, perché sarebbe altrettanto noioso di una collezione di ogni combinazione possibile di lettere. Fanno scelte legate alla reazione emotiva generata da una dimostrazione, e questo è difficile da capire fuori da quel mondo. I computer se la cavano con la musica e l’arte, ma sono pessimi narratori. L’elemento temporale nelle storie richiede uno sviluppo logico prolungato nel tempo, come in una dimostrazione matematica.
Lei sostiene che l’intelligenza artificiale sia difficilmente governabile, come invece tentano di fare con leggi come il Regolamento europeo per la protezione dei dati (Gdpr).
Creiamo codici così complessi che risalire alla singola istruzione responsabile delle decisioni che prendono è impossibile. Succede anche con il nostro cervello. In una commissione della Royal Society a cui partecipo è emerso spesso il quesito: un’intelligenza artificiale deve spiegare il suo processo decisionale, quando viene utilizzata in un processo penale o per concedere un mutuo? Il Gdpr prova a affermare questo principio secondo me impossibile. Ma si potrebbe creare un meta-linguaggio che permetta ai computer di esporre il loro processo di apprendimento. Per questo trovo molto interessante il progetto Deep Dream di Google (un sistema che permette di vedere come una rete neurale artificiale interpreta un’immagine, ndr): quelle immagini ci permettono di capire cosa sta vedendo il codice e ci rivelano i suoi pregiudizi. Credo che la creatività umana sia emersa insieme alla coscienza, per esplorare il mondo interiore dell’altro. Perciò, credo che l’arte creata dall’intelligenza artificiale sia uno strumento per capire come i computer prendono le decisioni.
Perché ritiene che il lavoro di un matematico sia così simile a quello di un narratore?
Anche uno scienziato racconta storie, che però devono essere coerenti con ciò che osserviamo nella realtà. Un matematico invece crea mondi logicamente coerenti anche se non corrispondono necessariamente a quel che osserviamo, e li popola di personaggi. Non può rendere vero ciò che è falso, ma anche un narratore non può far riapparire un personaggio morto nel capitolo precedente. Talvolta, rompe le regole in modo deliberato, e così fa pure il matematico quando, ad esempio, scopre i numeri immaginari.
Ribaltando un luogo comune, scrive che la bellezza della matematica sta nella sua somiglianza con la musica…
Quando si cerca la matematica nella musica molte persone storcono il naso, convinti che applicare la logica alla musica ne rimuova l’emozione. Penso persino che la matematica debba generare una reazione emotiva in me e nelle persone a cui la racconto. Perciò il paragone funziona meglio al contrario: è la matematica che assomiglia alla musica. Insieme alla compositrice Emily Howard, ho creato un Centro di pratica e ricerca in scienza e musica (Prism) al Royal Northern College of Music di Manchester. Abbiamo scritto insieme un quartetto d’archi: ho esaminato quattro tipi di dimostrazioni matematica e lei ne ha interpretato musicalmente le strutture logiche. In una dimostrazione come in una melodia, oggetti matematici diversi si uniscono tra loro, come due temi musicali che si fondono. Lei ha preso l’idea, e l’ha applicata a un pezzo di Beethoven e lo ha trasformato gradualmente in uno di Schubert.
(Il Manifesto)