Dopo dieci anni si continua a discutere di dove costruire lo stadio della A.S. Roma, senza che si sia trovata la soluzione.
Mentre il mondo dello sport e la città intera sono devastati da una crisi sanitaria e sociale senza precedenti sembra che tutto debba continuare come sempre. È davvero lo stadio il problema di questa città?
Sono passati dieci anni da quando il Sindaco Alemanno prometteva: «Entro un anno ci sarà l’accordo per lo stadio della Roma». Nel marzo 2014 venne presentato in Campidoglio alla presenza del Sindaco Marino il plastico del futuro stadio giallorosso. «Vogliamo riproporre la gloria e potenza del Colosseo», dichiaravano i proponenti. Pochi giorni fa la Sindaca Raggi aveva dichiarato entusiasta «sullo stadio siamo pronti» e aggiunto che «entro Natale saremo in grado di fare un bel regalo ai tifosi».
Invece siamo di nuovo qui a chiederci: «Dove lo facciamo lo stadio della Roma?». Già, perché sembra che a Tor di Valle non si possa proprio fare! Lo avevamo detto fin dall’inizio che quei terreni, destinati dal piano regolatore a verde privato e attrezzature sportive, non erano adatti a ospitare i 900mila metri cubi previsti per realizzare, oltre lo stadio, un quartiere per uffici. Ora scopriamo che il motivo che rende difficile e costoso utilizzarli è un altro, i terreni sui quali il club giallorosso vorrebbe realizzare la sua nuova casa sono pignorati, per ripianare i debiti di Eurnova spa di Luca Parnasi. Su quei terreni grava un’ipoteca di 42milioni di euro per una procedura giudiziaria che risale al gennaio 2019 e della quale, sembra, erano tutti all’oscuro.
I nuovi proprietari della società sportiva stanno valutando di abbandonare l’ipotesi fin qui portata avanti e trovare una nuova localizzazione per lo stadio, che vogliono fare, ma non intendono caricarsi di altri debiti oltre a quelli ingenti che hanno ereditato da Pallotta.
Le ipotesi alternative delle quali si parla per realizzare il tanto promesso stadio sono tre. La prima prevede di recuperare il vecchio stadio Flaminio, di proprietà del Comune di Roma, realizzato in occasione delle olimpiadi del 1960 su progetto di Antonio e Pierluigi Nervi nell’area occupata dal vecchio Stadio Nazionale progettato da Marcello Piacentini. Dal 2011 l’impianto, che poteva ospitare 42mila spettatori, è inutilizzato, dopo aver ospitato dagli anni ‘70 incontri di rugby.
Sullo stadio dal 2008 grava un vincolo come bene di interesse artistico e storico e la proprietà intellettuale dell’opera appartiene agli eredi Nervi, contrari a qualsiasi ristrutturazione che ne alteri le caratteristiche. Il Decreto Semplificazioni del luglio 2020 ha però previsto una deroga ai vincoli architettonici che consentirebbe di intervenire sul manufatto. Questa ipotesi ricalca le procedure usate a Torino per lo stadio della Juventus, realizzato sul sedime del vecchio stadio Delle Alpi, dopo aver avuto la concessione del diritto di superficie dell’area per 99 anni da parte del Comune.
Le gigantesche cubature previste a Tor di Valle per realizzare uffici che accompagnavano l’impianto sportivo e ne garantivano la “sostenibilità economica” appaiono oggi, di fronte alle trasformazioni imposte dalla pandemia, del tutto inutili e insostenibili. Piuttosto per realizzare gli spazi accessori necessari alla funzionalità dell’impianto si potrebbe trovare un accordo con Cassa Depositi e Prestiti che gestisce la riqualificazione di quel quadrante e il recupero delle caserme di via Guido Reni. Per il progetto si parla della firma prestigiosa di Renzo Piano, che ci auguriamo rispetti il valore del manufatto di Nervi.La seconda ipotesi che si sta valutando è quella di spostarlo a Tor Vergata.
Leggiamo su alcuni quotidiani che Caltagirone potrebbe realizzarlo in tempi strettissimi sui terreni dell’Università, visto che sono nella piena disponibilità della Vianini Lavori a seguito di una convenzione sottoscritta nel 1987 dall’Università e un consorzio di dieci ditte appaltatrici, la cui mandataria è proprio la Vianini Lavori.
Le cose non stanno proprio così. I 600 ettari erano stati espropriati 40 anni fa per costruire il campus universitario e sono di proprietà del Ministero dell’Istruzione. La Vianini Lavori di Caltagirone è concessionaria per la realizzazione delle opere che, una volta terminate, restano a disposizione dell’Università, non per decidere cosa realizzare. Le infrastrutture necessarie alla realizzazione del Campus sono quelle previste dal Piano Particolareggiato approvato dal Comune di Roma che non prevede la realizzazione di uno stadio. Per poterlo fare sarebbe necessario che il Ministero rinunciasse a parte del terreno cedendolo al Comune, il quale attraverso una variante urbanistica potrebbe destinarlo all’impianto.
I tempi prevedibili non sembrano strettissimi come più volte annunciato. Si sarebbe dovuto fin dall’inizio pensare al quadrante est della città per la localizzazione dell’impianto sportivo, dove esiste la centralità Romanina prevista dal Piano Regolatore, adiacente a Tor Vergata, con un’estensione di 200 ettari servita da infrastrutture viarie e trasporti pubblici. Se a decidere fosse stata la pianificazione pubblica la scelta giusta sarebbe stata questa.
Invece a determinare la scelta di Tor di Valle sono stati i debiti di Parnasi e i crediti in sofferenza di Unicredit, ai quali si sono inchinate tutte le amministrazioni.
Esiste anche una terza ipotesi, che riguarda un altro Caltagirone. Si tratta di Leonardo, proprietario dei terreni lungo l’autostrada Roma-Fiumicino che sembra i Friedkin hanno già incontrato. Sono aree edificabili, adiacenti al parco commerciale e alla Fiera di Roma, già dotate di collegamenti sia viari che ferroviari. Il Sindaco Montino del Comune di Fiumicino, dove ricade il sedime, ha dichiarato «Possibile il via ai lavori in 18 mesi». Gli annunci continuano, mentre gli stadi che già esistono sono svuotati dalla crisi sanitaria e la città è colpita da una crisi sociale senza precedenti. È davvero lo stadio il problema di questa città?
(Dinamopress)