23 Dicembre, 2024
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Giornata della disabilità, il dramma degli handicap gravi, “Covid: ancora più ai margini”

Ileana Argentin: “Non è possibile che i disabili gravi debbano fare il test per strada e non a casa e con tempi così lunghi. È una vergogna che non sia prevista la domiciliarietà dei tamponi per i soggetti gravemente malati”

Districarsi nella giungla dei tamponi e dei vaccini per mettersi al riparo dal Covid non è semplice. Per i disabili gravi poi è quasi impossibile. Con la pandemia, che ha mandato il sistema sanitario in tilt e ha accentuato le discriminazioni, a rimetterci sono sempre le persone più fragili, che vedono scalfita la propria dignità.

Perfino oggi che si celebra la giornata internazionale delle persone con disabilità: c’è ancora molto da fare. Lo sa bene Eura Marconi, 74 anni e mamma di Marco Piersanti che di anni ne ha 43, disabile grave spastico e cerebroleso fin dalla nascita.

Lui rientra tra le categorie a rischio. “Eppure – racconta mamma Eura – sono mesi che Marco attende di fare l’antinfluenzale. È riuscito a sottoporsi al test rapido, quello con una puntura sul dito, in un centro di riabilitazione che frequenta da anni. Nessuno viene a casa a fargli il tampone, nessuno tutela la sua salute”.

Le difficoltà in questo periodo sono decuplicate. “Sono sola – dice Eura – mio marito è morto anni fa e mio figlio è molto grave: non cammina, vive su una sedia a rotelle e non riesce a tenere a lungo la mascherina. Ha le sue fragilità. Pesa oltre 80 chili e trasportarlo nelle sue condizioni non è facile. Io ho anche la mia età”. C’è scoramento e sofferenza nelle parole della madre: “Se si ammala, non posso pensare di vivere lontano da lui”. Eura cerca protezione. Aiuto.

“Dal medico di famiglia le dosi non sono ancora arrivate. Così ho deciso, autonomamente e senza che nessuno mi consigliasse cosa fare, di andare alla Asl: il 19 dicembre, finalmente, Marco farà il vaccino. Dopo due mesi sono riuscita ad avere l’appuntamento. Un’altra battaglia vinta. Da sola”.

Tanto sola Eura non è. A lottare con lei e per Marco c’è Ileana Argentin, affetta da amiotrofia spinale e presidente dell’associazione ALM e AIDA onlus: “Sono indignata – dice Argentin – Non è possibile che i disabili gravi come Marco debbano fare il test per strada e non a casa e con tempi così lunghi. È una vergogna che non sia prevista la domiciliarietà dei tamponi per i soggetti gravemente malati”.

Da sempre al fianco dei più fragili, Argentin non si arrende neppure stavolta. E lancia un accorato appello al premier Giuseppe Conte e al ministro della salute Roberto Speranza: “Pensate a tutti tranne che agli ‘sfigati’ – continua – avete presente cosa vuol dire aver un figlio autistico, alto un metro e 80 e di 90 chili, con crisi nevrotiche e doverlo portare in fila al drive-in? Secondo me no”.

Le fa eco Giuliano Frittelli, presidente dell’Unione italiana ciechi e ipovedenti di Roma, il quale chiede che venga istituito “un protocollo per i malati gravi con handicap”. Anche perché “come può una persona cieca o ipovedente, che non guida e vive da sola o lontano dai familiari e che è stata a contatto con un infetto, andare al drive-in per fare il tampone?”. Un’altra domanda senza risposta. “Il diritto di Marco, come di altri, è stato leso”, conclude Argentin, la quale ricorda che “i disabili non sono cittadini di serie B”. Dal canto suo, spera che “il prossimo 3 dicembre non è più la giornata internazionale delle persone con disabilità, ma un giorno in cui vengono rispettati i diritti di tutti”.

(La Repubblica)

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