Attenti alla disinformazione. La cannabis smette d’incanto di essere pericolosa? Proprio no.
Ma a leggere le notizie rilanciate da certi media e dai circuiti della comunicazione digitale si ha quest’impressione. La verità è che l’Onu il 2 dicembre, con 27 voti contro 25, ha accolto il suggerimento dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per riconoscere che certi derivati della cannabis hanno un’utilità terapeutica togliendola per questo motivo dalla categoria delle droghe pericolose appartenenti al gruppo IV della classificazione dei narcotici. Ma questo già lo sapevamo, anche se sappiamo anche che le capacità terapeutiche sono ancora scarse e che altri farmaci sono più attivi ed efficaci. Ma in cosa consisterebbe l’asserito ‘cambiamento epocale’? Semplicemente, visto che la cannabis è ‘droga da ricreazione’ ma anche farmaco, non poteva restare nella stessa categoria dell’eroina o della cocaina. In questo modo la ricerca non trova ostacoli nell’usare una sostanza proibita.
Ma la cannabis resta segnalata dalla letteratura scientifica tra le sostanze che non fanno bene alla salute.
Tanto che i singoli Stati possono ancora classificare la cannabis come vogliono, in autonomia. L’ultima revisione della letteratura, uscita in questi giorni sulla rivista ‘The Journal of Bone and Joint Surgery’ lo spiega così: «Al momento, la crescita del sostegno pubblico e politico per l’uso della marijuana come trattamento medico sta superando la crescita delle prove scientifiche. Nonostante le prove limitate, i composti a base di marijuana (incluso il cannabidiolo) sono promossi come alternative agli antidolorifici oppioidi nel trattamento del dolore corporeo in corso per il quale le persone cercano cure».
La marijuana continua a essere un pericolo per la salute, spiega sul ‘New York Times’ il rappresentante britannico all’Onu che, pur votando a favore del cambio di classificazione, afferma che l’Inghilterra ancora fortemente sostiene i controlli internazionali per la cannabis, aggiungendo che la marijuana presenta «gravi rischi per la salute pubblica».
Ovvio che se un derivato della pianta della cannabis si dimostrasse sicuro ed efficace come farmaco saremmo i primi a gioirne. Ma è altrettanto ovvio è che da queste notizie qualcuno cerca di trarre l’equazione che siccome si può usare in determinati casi come farmaco, allora non fa mai male. Ma per avere dubbi in proposito basta leggere il numero di novembre della rivista ‘Early Interventions in Psychiatry’ che così esordisce: «L’uso della cannabis è un fattore di rischio per gravi malattie mentali, sebbene non colpisca tutti nello stesso modo».
Aver fatto passare di categoria la cannabis serve dunque a permettere agli scienziati uno studio più agevole dei suoi effetti potenziali, e questo trova tutti d’accordo. E tuttavia bisogna stare attenti a non confondersi, né demonizzando la ricerca pensando che la cannabis con tutti i suoi derivati sia sempre da evitare (magari domani si scopriranno effetti benefici certi per la salute), ma nemmeno dando retta ad annunci di terapie miracolose che ancora non ci sono. La letteratura scientifica parla di ‘potenzialità’ dando conto di singoli casi, ma non offre indicazioni forti in favore della cannabis medica al posto di altri farmaci di provata efficacia, come ci si aspetterebbe in caso di una novità medica sostanziale. Sostenere e addirittura strillare altro significa spacciare attese o pregiudizi, positivi ma senza ancora solida base.
(Avvenire)