Lettera al Direttore Marco Tarquinio e risposta
Gentile direttore,
scusi il disturbo, ma voglio esprimere il mio disgusto nell’ascoltare o leggere «coprifuoco ». Il mio ricordo torna agli anni 1942/45 quando tutte le finestre erano oscurate con la carta blu scuro usata per avvolgere lo zucchero (che non c’era) e se qualcuno usciva di sera poteva essere abbattuto da una sventagliata di mitra. Ho visto mio padre messo al muro da un ufficiale tedesco per investirlo della responsabilità del comportamento di tutte le persone che abitavano nella casa (i cui nomi erano segnati su un cartoncino inchiodato sul portone carraio). Desidererei tanto che il termine fosse sostituito da «Invito a non uscire da casa se non per i casi consentiti». A proposito della Santa Messa ‘di mezzanotte’: si celebrava alle 17.30! Grazie per il vostro lavoro.
Paolo Cerrino Bra (Cn)
Marco Tarquinio
L’inno della mia città di origine, Assisi, è ‘Il Coprifoco’. E la francescana Assisi è città della pace. Può immaginare, caro amico, quanto poco mi disgusti l’antica parola coprifoco o coprifuoco. E quanto la preferisca, in questo tempo pandemico, a certi termini inglesi che sono ormai entrati nel nostro parlar comune (penso a lockdown) in forza della loro sintetica efficacia. Capisco, però, tutte le sue obiezioni e le rispetto. E dico che possiamo e dobbiamo usar bene quella parola, ‘ripulendola’ dalle ombre nere che l’hanno resa brutta alle orecchie sue e di tanti, restituendole il bel senso civico di prudente e solidale partecipazione alla resistenza a un male incombente. Le parole sono anche l’uso che ne facciamo, quasi tutte. E come la speranza non bisogna farcele rubare.
(Avvenire)