Finalmente, e quasi di soppiatto, entra nell’ordine del giorno del Parlamento, sebbene proposta da un’esigua minoranza parlamentare, per quanto rispettabile, un tema che dovrebbe essere tra le priorità della politica economica nazionale,
e dunque, l’oggetto di una discussione pubblica impegnata e durevole, fino al conseguimento di una qualche riforma. È stata avanzata la proposta dell’introduzione di una modesta patrimoniale, dello 0,2% sopra le 500mila, compresi i patrimoni immobili valutati secondo la stima catastale assai inferiore al loro valore reale, e dello 0,5% oltre il milione. Ed è stata subito guerra. Il fuoco di sbarramento non viene, va da sé, solo da destra, dalle forze conservatrici, ma è venuto anche dalle principali forze di governo. Mala tempora currunt.
Oggi, poi, l’alzata di scudi avviene proprio quando non dovrebbe essere tollerata, quando più grande si è fatto il divario tra ricchi e poveri, quando sono esplose per questa via le diseguaglianze che «gridano vendetta al cospetto di Dio», come dice il Papa, e diseguaglianze che vengono indicate come un male da curare pressoché da tutta la ricerca economica e persino da incontri mondiali di grandi imprenditori. Non è sempre stato così. Fino ai “trent’anni gloriosi”, così come li chiamarono gli economisti, e per la prima volta nella storia, le aliquote applicate ai redditi più alti e alle più grandi successioni raggiunsero livelli consistenti, livelli dell’ordine di decine di punti percentuali, realizzando entrate superiori al 30% del reddito nazionale, al fine di finanziare le spese sociali dalla sanità all’istruzione.
Ancora nel 1980, l’Italia aveva un sistema fiscale progressivo che è stato poi demolito, fino a farvi raggiungere l’attuale condizione socialmente offensiva, per la somma di evasione tollerata e per il privilegio accordato alle grandi ricchezze. Se qualcuno avanzasse la proposta di tornare alla tassazione dei primi anni Ottanta, allora la proposta della patrimoniale apparirebbe rispetto ad essa un timido e pallido fattore di equilibrio. Del resto, se si guarda con qualche attenzione alle reazioni suscitate dalla proposta della patrimoniale, si vedrà una ben maggiore cautela nel campo economico e sociale, rispetto a quello politico e istituzionale. Purtroppo non c’è da sorprendersi.
La grande politica è morta. Le forze di governo sono concentrate sulla sua sopravvivenza e temono qualsiasi ingresso di temi che potrebbero turbarlo. Le forze di destra italiane, di certo, non sono eredi di Luigi Einaudi e risultano piuttosto inclini al “poujadismo”. Eppure, la questione è elementare, c’è una distribuzione della ricchezza intollerabile, il Covid accentua ancora di più le diseguaglianze, ricchezze offensive si confrontano con l’allargamento delle povertà e dell’incertezza nella vita delle persone. La spesa pubblica è chiamata in campo, tanto che se ne deve accorgere persino l’Europa reale, indotta a varare un programma anti crisi. Se vuoi che nessuno precipiti in una povertà disperante, se vuoi riformare scuola e sanità, come necessario, devi mobilitare la spesa pubblica.
Ci vuole l’intervento diretto dell’Europa, ma ci vuole anche la leva finanziaria alimentata dal tuo fisco nazionale. È stato detto, da parte imprenditoriale, anche per limitare la portata di un’eventuale patrimoniale, che la redistribuzione della ricchezza si fa con la spesa, e non con le entrate, in realtà per farlo ci vogliono entrambe. Il fisco, quando è virtuoso o anche soltanto equo, ha questo compito, un compito che la crisi esalta, piuttosto che comprimerla. La scelta della progressività del fisco in costituzione ne è la prova. Si è fatto ricorso all’autorità di Keynes – ma quando mai – per ricordare che non si fa politica fiscale attiva durante una recessione. Già, ma non si devono avviare proprio adesso e da subito i fattori per uscirne? E non si deve fin d’ora valorizzare, investire sulle realtà dinamiche, innovative del Paese, e in tutto il campo della riforma sociale per non tornare a come eravamo?
C’è chi, nemico di ogni riforma, attribuisce ora a una modesta proposta patrimoniale il carattere di chissà quale guerra ai ricchi. In questo armamentario entra, per la via mistificatrice di una ricchezza considerata indistinta, ricchezze che invece sono tra loro diverse, tra enormi, grandissime o medio-piccole. Per questa via, si vorrebbe far transitare la difesa del ceto medio. Quel che così non si vede è proprio la scomposizione che sta subendo il ceto medio e che lo rende irriconoscibile rispetto a com’era nella seconda metà del secolo scorso. Oggi la crisi del covid ne accentua ancora la trasformazione, per molti dolorosa e per pochi molto arricchente. Possibile che non si veda che oggi la caratteristica principale della ricchezza è di essere concentrata, nel mondo come in Italia, anzi iperconcentrata? Possibile che non dicano nulla le statistiche che parlano dell’aumento esponenziale della ricchezza di pochi durante questi mesi dannati del coronavirus? Dicono, dicono invece!
Uno degli uomini più ricchi del mondo, Warren Buffett, quello che «non è vero che la lotta di classe non c’è più, c’è, ma è che la vinciamo noi, i ricchi». Quello, proprio quello, ha lamentato di essere tassato troppo poco, quasi quanto la sua segretaria, e ha chiesto al governo di tassarlo di più. Ma restiamo in Italia e restiamo sulla patrimoniale. Essa è oggettivamente così matura che importanti imprenditori e dirigenti d’azienda si sono pronunciati in suo favore, anche tra i più autorevoli.
Uno degli uomini di punta del Made in Italy, Brunello Cucinelli, affrontando una più vasta tematica, quella del riequilibrio tra dono e profitto, si è detto favorevole alla patrimoniale e ha aggiunto: «Chi ha di più, può dare qualcosa? Sicuramente». Sicuramente la patrimoniale non dovrebbe far paura a nessuno. Essa è solo una misura di igiene economica e sociale. Eppure credo che non si farà, perché questa nostra politica ha persino paura del poco.
(Il Riformista)