“Hanno voltato le spalle per interessi personali”, il ragionamento. Il capo politico potrebbe dare il via libera a sanzioni disciplinari, anche perché nel codice etico si condanna chi “si macchia di comportamenti lesivi per il Movimento
Per far capire la lunghezza e la difficoltà della trattativa interna Ettore Licheri, capogruppo M5s al Senato, ricorre ad un paragone calcistico: “Tutti sono bravi a giocare sotto il sole, ma quando piove e l’erba non è fresca lì si capisce chi ci mette la faccia e chi ha coraggo. Io premio quest’ultimi, non chi si nasconde”. Alla fine rispetto ai 56 parlamentari pentastellati che avevano firmato una lettera per fermare la riforma del Mes il dissenso si è asciugato.
A dire no alla Camera sono stati Fabio Berardini, Pino Cabras, Andrea Colletti, Emanuela Corda, Jessica Costanzo, Carlo Ugo De Girolamo, Francesco Forciniti, Paolo GIuliodori, Mara Lapia, Alvise Maniero, Francesco Sapia, Arianna Spessotto, Andrea Vallascas, altri 10 non hanno votato la risoluzione della maggioranza.
Due i no a palazzo Madama, cinque astenuti e quattro gli assenti per malattia (Primo Di Nicola, Barbara Guidolin, Orietta Vanin e Elio Lannutti), con gli ultimi due che erano comunque annoverati tra i fortemente critici all’accordo trovato ieri. La mediazione durata più di quattro giorni di collegamento via zoom ha evitato che i rosso-gialli andassero sotto alla Camera e a palazzo Madama.
Ma ora nel Movimento 5 stelle si apre un’altra fase. E se Licheri parla di “svolta” perché “c’è stata la certificazione della morte del Mes” e si è ottenuta “la logica a pacchetto” comprendente anche il superamento del Patto di stabilità, la ‘fronda’ parla di sconfitta. “è stata una Caporetto, Crimi si dimetta”, l’accusa del pentastellato Raduzzi. “Col sì portate in Italia una bomba a orologeria”, rilancia Lapia.
Sulla stessa lunghezza d’onda i malpancisti a palazzo Madama che smontano l’accusa di voler inviare un messaggio a Conte: “Difendiamo i principi del Movimento”, taglia corto un esponente del fronte del no.
A palazzo Madama sono venuti a mancare 11 voti del Movimento 5 stelle. Due i contrari, Crucioli e Granato. Quattro gli assenti, tra cui Lannutti e Vanin che erano critici alla riforma mentre coloro che non hanno partecipato al voto sono Corrado, Angrisani, Morra e Trentacoste.
Ora al via il regolamento dei conti. Perché chi ha votato contro rischia davvero. Portando avanti un comportamento, a detta dei vertici M5s, “politicamente inqualificabile”. “Hanno voltato le spalle al Movimento per interessi personali”, il ragionamento. Il capo politico potrebbe dare il via libera a sanzioni disciplinari, anche perché nel codice etico si condanna chi – spiegano fonti pentastellate – si macchia di comportamenti lesivi per il Movimento.
Questione differente per chi si è astenuto. Ma in ogni caso finirà sotto i riflettori. Fino all’ultimo sono andate avanti le trattative per convincere i riottosi. I ‘big’ hanno chiamato ad uno ad uno i ‘frondisti’, molto attivo soprattutto il ministro per i Rapporti con il Parlamento D’Incà. Ma la spaccatura interna anche se non ha messo a rischio il governo è destinata a cristallizzarsi.
Perché i 56 della lettera porteranno avanti – viene riferito – battaglie comuni, faranno sentire la propria voce, in attesa che ci siano passi in avanti sulla ‘governancè. Da qui il rischio per i vertici di ulteriori divisioni nei prossimi giorni, anche se Crucioli al Senato ha fatto sapere di non voler andare via. Intanto, alla Camera 3 deputati del M5s hanno votato contro le modifiche ai decreti sicurezza.
Si tratta di Fabio Berardini, Francesco Berti e Andrea Colletti, astenuti invece Emanuela Corda, Carlo Ugo De Girolamo e Mara Lapia. Diciassette i grillini a non aver partecipato al voto. Ora nel Movimento si giocherà la partita sulla leadership con l’ala ‘ortodossa’ pronta a dar battaglia ma dopo il voto di oggi potrebbe trovare le porte chiuse della segreteria ristretta.
(Agi)