Il numero dei tamponi è dimezzato rispetto a un mese fa e i ricongiungimenti familiari sono alle porte: così la discesa della curva dei nuovi casi continuerà a rallentare
L’epidemia rallenta. A dirlo sono i numeri dei contagi giornalieri, sia in termini assoluti che relativi: ieri sono stati registrati 18.727 nuovi casi, e 24 positivi ogni 100 casi testati, un dato ormai stabile da diversi giorni. E lo dice anche il numero di attualmente positivi, che è diminuito di oltre 60mila unità nell’ultima settimana, con un netto aumento del numero di guariti.
Il peso sul sistema sanitario si sta riducendo, con sempre meno pazienti in terapia intensiva, più dimessi che nuove ammissioni nelle ultime due settimane, mentre il tasso di occupazione dei posti letto nei reparti di medicina generale diminuisce con alcune regioni già rientrate sotto la soglia critica del 40%. Anche gli indicatori di monitoraggio pubblicati il 2 dicembre scorso, e riferiti al periodo 23-29 novembre, hanno fotografato una situazione in continuo, seppur leggero, miglioramento. Insomma: i sacrifici fatti fino ad ora e le misure restrittive adottate, dall’uso obbligatorio della mascherina all’aperto in poi, stanno mostrando i loro effetti.
Eppure la seconda ondata è ben lontana dall’esaurirsi. Abbiamo superato il picco di incidenza dei nuovi casi e abbiamo esultato (con forse troppo ottimismo) nel vedere che, a differenza della prima ondata, la discesa nella curva di incidenza è stata molto veloce, simile alla salita. Questo è avvenuto fino a metà della scorsa settimana. Ma la discesa della curva dei nuovi casi, insieme all’ottimismo, ha subito una brusca frenata proprio negli ultimi giorni.
Il tasso di positività fatica a scendere sotto quota 20%, che solo qualche giorno fa sembrava obiettivo facilmente raggiungibile, anzi è tornato sui valori di due settimane fa.
Per poter fare un tracciamento efficace, il tasso di positività dovrebbe essere sotto il 6%, cifra che al momento è pura utopia. A questo si aggiunga che stiamo rallentando la “caccia al virus”: ogni settimana che passa vengono testate sempre meno persone e, di conseguenza, si trovano in termini assoluti sempre meno positivi. Non è un bel segnale. Non lo è perché sappiamo bene che i numeri forniti ogni giorno riassumono la situazione dei contagi solamente in modo parziale. C’è una quota sostanziosa di casi non identificati, e diversi lavori scientifici ci forniscono stime di questo (si veda qui, qui e qui ).
Il problema è che se ci sono più persone positive che non sanno di esserlo, il virus può circolare più facilmente. Infine i decessi, che ci ricordano il prezzo elevatissimo che stiamo pagando in termini di vite umane: ieri sono stati 761, e difficilmente caleranno in modo stabile sotto quota 500 prima del giorno di Natale. Un’enormità.
L’occupazione dei posti letto ospedalieri sta rientrando sotto la soglia critica, ma è difficile che il numero dei decessi scenda sotto quota 500 entro Natale
Quindi, non va tutto bene. Tutto dipende solo da noi, dai nostri comportamenti. Pensare che il peggio sia alle spalle non è sbagliato, ma lo è illudersi che sia tutto finito. È necessario uno screening molto più massiccio di quello messo in campo negli ultimi giorni (i casi testati ieri sono stati 78.154, a fronte di un massimo giornaliero vicino ai 145.000 esattamente un mese fa), soprattutto ora che molti si sposteranno lungo lo Stivale.
Natale è alle porte. In questo periodo aumenta lo shopping, ma soprattutto il ricongiungimento con gli affetti più cari. Il non rispetto delle minime regole di sicurezza e di buon senso, oltre che una scarsa attenzione al bene comune, avrà come unico effetto un nuovo intervento del legislatore:
laddove i nostri comportamenti fossero nuovamente causa di un’impennata dei casi sarà inevitabile inasprire di nuovo le misure restrittive. In Israele, uno dei Paesi maggiormente colpiti dal virus, ad esempio, la festività ebraica del Purim ha avuto un effetto devastante sulla diffusione del virus).
I casi di importazione, cioè casi positivi provenienti da fuori regione, saranno più frequenti durante le prossime festività, con il rischio di veder ripartire velocemente l’epidemia in regioni in cui ora è sotto controllo dal punto di vista epidemiologico, ma dove gli indicatori di gestione dell’epidemia continuano a segnalare forti criticità. Per essere più chiari: il tempo tra la data di inizio di sintomi e la data della diagnosi in Calabria è superiore a 6 giorni per il 50% dei casi, in Piemonte è superiore a 7 e in Puglia è 8 o più.
Una diagnosi non tempestiva dei casi di importazione potrebbe far ripartire la curva verso un nuovo picco, ancora prima che la seconda ondata sia finita.
Allentare le misure restrittive durante le feste natalizie resta un rischio. Come i dati degli ultimi giorni mostrano, rendere tutto il Paese zona gialla può avere un impatto immediato negativo sulla curva dei contagi, e senza comportamenti più che responsabili il pericolo è favorire la diffusione del virus in zone in cui l’epidemia è ancora al di sopra del livello di guardia.
Dove c’è aggregazione, c’è ovviamente un rischio più alto di contagio.
A gennaio riapriranno le scuole superiori. Sarà importante attrezzarsi per un adeguato monitoraggio all’interno degli istituti. Per studiare in dettaglio l’andamento dell’epidemia in contesti specifici, di cui la scuola è solo l’esempio, occorrono infatti informazioni il più possibile dettagliate, che permettano di valutare ex-post, in modo quantitativo e rigoroso, gli effetti delle decisioni. Soprattutto se si considera che le principali variabili dell’epidemia restano affette da molti problemi di misurazione e da un’elevata variabilità.
(Avvenire)