24 Dicembre, 2024
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L’orrore Doppia esecuzione, un filo rosso unisce Trump all’Iran: il boia

Nuova uccisione in due giorni negli Usa: un 56enne.

In contemporanea a Teheran è stato impiccato il giornalista-oppositore Zam: nel 2019 era rientrato dall’esilio in Francia e gestiva un sito di news

C’è un filo rosso che, paradossalmente, lega l’uscita di scena di Donald Trump e il regime nemico degli ayatolah iraniani: il boia. Il presidente americano, dopo aver cancellato il bando federale, ha avviato una sequenza di morte che si concluderà con l’esecuzione della prima donna in 70 anni qualche giorno prima dell’insediamento del suo successore, Joe Biden. E la scorsa notte l’America ha ucciso ancora: la vittima si chiamava Alfred Bourgeois e aveva 56 anni.

A Teheran, invece, come a testimoniare più la debolezza che la forza del regime, le esecuzioni delle condanne a morte sembrano accelerare, quasi una reazione ai colpi ricevuti dall’esterno con l’assassinio di esponenti della Repubblica islamica nel giro di pochi giorni e da parte di governi «ostili».

Così questa mattina l’Iran ha messo a morte l’ex leader dell’opposizione Ruhollah Zam, 47 anni, che aveva vissuto in esilio in Francia e partecipato a manifestazioni contro il regime iraniano. Lo ha annunciato la televisione di Stato. «Il controrivoluzionario Zam è stato impiccato in mattinata» dopo che la sua condanna è stata confermata dalla Corte Suprema a causa della« gravità dei crimini commessi contro la Repubblica islamica dell’Iran», ha detto la televisione.

Zam, che gestiva il sito di informazione d’opposizione Amadnews, era stato accusato di spionaggio a beneficio dei servizi di intelligence di «Usa, Francia, Israele e un Paese della regione» allo scopo di far cadere la Repubblica Islamica. Era inoltre stato condannato per aver agito in modo da minare la sicurezza dell’Iran all’interno del Paese e all’estero, disseminando menzogne e danneggiando il sistema economico della nazione. Zam era stato attivo durante le proteste in Iran fra il 2017 e al 2018. Viveva in Francia, ma era stato arrestato dalle forze di sicurezza iraniane durante una visita in Iraq ed era tornato nel Paese nell’ottobre del 2019.

Proteste davanti a un carcere federale dell’Indiana negli Stati Uniti – Ansa

Sull’altro fronte, quello americano, è andata tristemente in scena la decima esecuzione federale da quando l’Amministrazione Trump ha interrotto la moratoria che durava da 17 anni. Alfred Bourgeois, 56enne condannato a morte per aver ammazzato la figlia di due anni, è stato ucciso con un’iniezione letale nel Federal Correctional Complex di Terre Haute, in Indiana. La sua esecuzione è avvenuta all’indomani di quella di Brandon Bernard, un altro afroamericano di 40 anni che a 18 faceva parte di quattro persone condannate per un duplice omicidio. Molti esponenti politici, tra i quali il reverendo Jesse Jackson, e del mondo dello spettacolo, avevano chiesto la grazia per Bernard. E, di fronte a nuovi elementi del caso emersi solo recentemente, anche cinque membri della giuria che l’aveva condannato hanno affermato di aver cambiato idea.

È la prima volta in 130 anni che non vengono fermate le esecuzioni federali durante il periodo di transizione tra due presidenti. Anzi in queste ultime settimane di presidenza Trump, il dipartimento di Giustizia sembra aver accelerato il ritmo: oltre a queste due esecuzioni, da qui al 20 gennaio è previsto che vengano mandati a morte altri quattro condannati, tra i quali Lisa Montgomery. La sua esecuzione, fissata per il 12 gennaio, sarà la prima esecuzione federale di una donna dal 1953.

Se tutte le altre esecuzioni avranno luogo, prima dell’insediamento di Joe Biden che si è impegnato ad abolire la pena capitale federale e dare incentivi agli Stati che non vi faranno ricorso, Trump concluderà il suo mandato con il triste record del maggior numero di esecuzioni federali in una presidenza in oltre un secolo.

“Brandon Bernard dovrebbe essere vivo oggi, dobbiamo mettere fine a tutte le esecuzioni federali ed abolire la pena di morte: in un mondo di incredibile violenza, lo Stato non dovrebbe essere coinvolto in un omicidio premeditato”, ha dichiarato su Twitter il senatore, ed ex candidato democratico alla Casa Bianca, Bernie Sanderscommentando l’esecuzione di Bernard.

Quando sono riprese le esecuzioni federali, i primi condannati ad essere mandati a morte sono stati bianchi, ma ora dopo Bourgeois e Bernard – e Christopher Vailva, condannato per lo stesso duplice omicidio di Bernard ed ucciso a settembre – vi saranno le esecuzioni di altri tre condannati afroamericani. Questo ha riacceso l’argomento di chi afferma che le sentenze capitali vengono inflitte in modo sproporzionato ad imputati di colore. Secondo il Death Penalty Information Center al momento vi sono 53 persone nel braccio della morte federale: 23 afroamericani, 21 bianchi, sette ispanici, un asiatico e una donna bianca.

Da quando è stata reinserita nel 1977 la pena di morte negli Stati Uniti, quasi 300 condannati afroamericani sono stati mandati a morte per l’omicidio di un bianco mentre solo 21 bianchi per l’omicidio di un afroamericano, si legge ancora nel rapporto che esamina come nella storia americana la pena capitale sia stata usata come strumento di potere nei confronti degli afroamericani.

(Avvenire)

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