Parla della disperazione sociale che incontra nella sua Napoli e in una Italia sempre più marchiata dalle disuguaglianze. E racconta di sé, di quelle 19 “ferite giudiziarie”, i processi, dai quali è uscito a testa alta ma comunque segnato. Questa intervista al Riformista di Antonio Bassolino, già sindaco di Napoli, ministro del Lavoro e della previdenza, presidente della Regione e parlamentare dal 1987 al 1993 è una “confessione” che unisce sentimenti e riflessioni politiche in un intreccio indissolubile.
Afferma Mario Tronti in una intervista a questo giornale, ragionando sul “Cantiere della sinistra”, riguardo al Pd: «Se non si scrolla di dosso questa immagine del più affidabile degli establishment, non andrà lontano. Deve trasformarsi in una forza di sinistra autenticamente popolare, perno di un fronte più vasto». Solo così, sostiene Tronti può battere sul campo una destra sempre più radicalizzata e sovranista.
Sono d’accordo con Tronti e penso soprattutto al Partito democratico. Il Pd deve tendere a diventare sempre di più una grande forza popolare. E questa era anche l’ispirazione originaria del Pd, quella di una grande forza popolare che superi il 30%. Resto convinto che questo sia l’obiettivo da perseguire, con tenacia e intelligenza politica. Teniamo conto che oggi il Pd, che pure con la segreteria Zingaretti è in ripresa rispetto alla grande botta del 2018, è tuttora attorno al 20%. Farlo crescere fino e oltre il 30% richiede un rapporto con la società, una iniziativa culturale e politica di gran lungo superiori a quelle che abbiamo avuto per tanti anni. Ma questo non significa, per il Pd, un eccesso di autoreferenzialità assolutista. La crescita del Partito democratico deve accompagnarsi a quella di altre forze di sinistra in un Paese come il nostro, in maniera da creare uno schieramento politico, una coalizione in grado di competere e di vincere. È così che si combatte il populismo e il sovranismo, con una grande forza popolare, europeista, con forti legami internazionali, non certo con una forza elitaria. Lasciami però dire una cosa che pur nel vivace e ricco dibattito che Il Riformista ha sviluppato, a me pare essere rimasta un po’ troppo ai margini…
Vale a dire?
Per me è fondamentale saper spostare orientamenti, collocazioni nell’enorme area dell’astensionismo. Che è il grande assente nelle riflessioni della politica italiana, e in essa della sinistra. Dentro la parte di Paese che vota, che si esprime elettoralmente, che è schierata, si sposta poco tra uno schieramento e l’altro, tra una forza e l’altra. Lo spostamento possibile è in questa enorme area dell’astensionismo, che in tanta parte del Paese è nettamente il primo partito. E per tanti aspetti quest’area è diversa dalla classica area dell’astensionismo. Non è la ripetizione di un mondo che conosciamo. Non è la riproposizione di un classico qualunquismo, di un distacco conosciuto dalle istituzioni, dalla politica, dalla partecipazione democratica. È anche in parte questo, ma è cresciuto sempre di più, l’astensionismo, come una singolare forma di intervento politico. Scelgo astenendomi. L’astensione è la mia scelta, ed è una scelta di sfiducia verso l’offerta politica attuale. Dicono in tanti: il mio voto è come fosse un singolare e grande “partito dell’astensionismo”, con al proprio interno mille differenze. Ma il collante di tutta una parte dell’astensionismo, che lo rende diverso, è questa scelta attiva. È questa scelta critica, è questa scelta contro.
Ma in che modo, dentro una fase drammatica segnata da una irrisolta crisi pandemica, la sinistra popolare che lei evoca può agire dentro questo “partito dell’astensione”?
Per risponderti, partirei da qualche esempio pratico. A Napoli, nelle ultime elezioni comunali del 2016, è andato a votare il 36,9 per cento degli elettori. E stiamo parlando del voto per l’istituzione più vicina ai cittadini, il Comune. E stiamo parlando, bada bene, della migliore legge elettorale, quella dell’elezione diretta, a doppio turno, dei sindaci. Parlo di Napoli, ma è così, con qualche punto di differenza, in tante altre città. Ecco il paradosso: con la migliore legge elettorale, in grandi città, il sindaco viene eletto da una minoranza di cittadini. Un campanello d’allarme, prim’ancora che dal voto di Napoli e di altre città, era venuto niente di meno che dall’Emilia Romagna. Che non a queste ultime, ma alle precedenti elezioni aveva visto una partecipazione di appena il 37% dei cittadini. Ora, il voto emiliano è stato per fortuna un voto in controtendenza rispetto a questo processo di fondo dell’astensionismo. Hanno votato molti emiliani in più e questo grazie all’impegno di Bonaccini, il presidente candidato rieletto, al ruolo del Pd e della coalizione, e anche all’impegno molto forte delle Sardine. Ero a Bologna da amici cari il giorno in cui si è votato per le regionali. Spinto dalla curiosità, ho fatto un lungo giro per la città, ai seggi elettorali, e si respirava nell’aria questa più forte partecipazione. Tanto che già prima dello scrutinio, avevo metaforicamente e politicamente scritto che a Bologna “è una bella giornate di sole”, una classica espressione napoletana, che rimandava al clima che si respirava a Bologna. Lo dico con un linguaggio che mi è proprio e che ben conoscono Mario Tronti e Biagio de Giovanni che ha scritto ancora in questi giorni su Il Riformista: si può recuperare parte di questo “nuovo” astensionismo, se sappiamo muoverci dal basso e dall’alto…
Dal basso…
Vale a dire in primo luogo nella società e nei suoi mutamenti. Nei mutamenti di oggi, in presenza del coronavirus, di un fatto enorme che oramai da mesi e mesi è di fronte a noi e che sta producendo nel corpo della società fatti impressionanti. Io giro molto per Napoli. Prendo gli autobus, la metro, giro soprattutto a piedi nel pieno rispetto del distanziamento fisico, non sociale. Di quello ne abbiamo fin troppo. E in giro è evidente un impoverimento della città e del Paese. Esistono, e si stanno sempre più ampliando, fasce di autentica disperazione sociale. Un fenomeno diverso, e ancor più grave, dalle classiche forme di povertà. Disperazione: è una mazzata possente del coronavirus sulla testa di una città e di un Paese che avevano al loro interno già tante fragilità e che venivano da una lunga crisi, in Italia e in tutto il mondo, durata più di dieci anni e dalla quale lentamente stavamo cercando di riprenderci. Assieme alla disperazione cresce l’esasperazione sociale, di forze di ceto medio soprattutto, che vedono scendere, a volte precipitare, il livello sociale, il tenore di vita al quale erano abituate. In queste fasce di esasperazione sociale, trovi gestori di bar, di ristoranti, protagonisti dell’economia informale, tassisti, persone che non reggono di fronte alla situazione. È dentro queste fasce di disperazione e di esasperazione, è dentro le tante altre fasce sociali diverse da queste e che mantengono un loro status, è dentro tante fasce intellettuali e tante forze che lavorano nella crisi in modo diverso dal passato, usando le nuove tecnologie, che la sinistra ricostruisce un suo ruolo. E lo fa con una mentalità giusta, dall’alto e dal basso. E cioè stando dentro la società e le sue contraddizioni, rappresentando forze sociali diverse e, aggiungo, con una mentalità positiva. E, cosa altrettanto importante per il Pd, e per altre forze di sinistra, è farlo anche dal governo del Paese e di tante città. Saper parlare a tante persone, spostandole dall’area dell’astensionismo, con un lavoro che si muova dal basso e, al tempo stesso dai luoghi di governo. È da quei luoghi di governo che è importante saper parlare, dare risposte positive con una mentalità riformatrice, con una giusta cultura che sappia stimolare la partecipazione, il protagonismo delle forze sociali, e non dall’alto come luogo separato dalla realtà. E quindi la sinistra, dal basso e dall’alto deve saper parlare al popolo. Anche al popolo di destra, come la destra ha saputo parlare, negli anni scorsi, anche al popolo di sinistra. Perché l’ascesa della Lega, che oggi per fortuna incontra difficoltà, che era arrivata a percentuali impressionanti, è stata dovuta anche alla capacità di tutta una parte della destra e della Lega di parlare a grandi fasce di popolo, e anche di popolo di sinistra, storicamente parlando. E questo, per il Partito democratico e per le altre forze di sinistra significa soprattutto saper parlare a una grande area critica che con l’astensionismo ha fatto e fa una scelta politica. E avere anche e finalmente, dopo tanto tempo, una necessaria riflessione sul tema del soggetto politico, del partito. È impressionante il divario che noi abbiamo da tanti anni, praticamente dalla fine del Pci, tra il rilievo che è stato dato al tema – al quale peraltro io sono più che sensibile per l’esperienza che ho maturato da sindaco e poi con gli altri ruoli di governo nazionale e locale che ho ricoperto negli anni – delle riforme istituzionali, al quale ha corrisposto l’assenza di ogni riflessione sul tema del partito politico, del suo rapporto con la società e con le istituzioni. E questo è per tanti aspetti davvero singolare, perché è stata ed è la sottovalutazione del fatto che la riforma del soggetto politico e del suo rapporto con la società, è essa stessa una riforma istituzionale, se diamo al tema delle riforme il suo senso più ricco e più giusto…
Cosa niente affatto scontata…
Purtroppo è così. Dalla fine del Pci ad oggi, è stata pressoché inesistente una necessaria riflessione sul tema del soggetto politico, della forza organizzata.
In questo ripensamento entra, e dall’ingresso principale, il tema di una giustizia giusta, del garantismo e del giustizialismo. E qui so di entrare in una dimensione umana, oltre che politica, che ti appartiene.
Nelle scorse settimane si è parlato, e Il Riformista lo ha fatto con un equilibrio encomiabile, delle mie 19 assoluzioni. Tutte assoluzioni nel merito, e l’ultima è dovuta al fatto che io avevo presentato ricorso contro un proscioglimento già avvenuto, per la prescrizione dei tempi rispetto ai reati ipotizzati. Ma io volevo l’assoluzione piena e per questo ho fatto ricorso. Mi ha colpito il fatto che mentre si è parlato abbastanza di questa mia diciannovesima assoluzione, sia pure senza confronto con il clamore che in Italia hanno le fasi accusatorie, è quasi passata sotto silenzio mediatico la diciottesima assoluzione, di qualche anno fa, che pure era la più importante di tutte, perché riguardava il processo più impegnativo tra quelli che io ho dovuto affrontare. Già quella era stata molto importante. Perché anche in quel caso, nel processo più impegnativo, i giudici, visto che erano passati tanti anni, avrebbero potuto scegliere la strada, in fin dei conti più semplice, vale a dire l’assoluzione per prescrizione dei tempi…
Invece…
I giudici fecero una scelta molto impegnativa. Per me che ho attraversato tutti questi anni nel silenzio più assoluto e nel rispetto pieno della giustizia e dei suoi vari gradi, fu di grande significato. Fecero l’assoluzione di merito nel processo più rilevante. Ma se ne è parlato meno della diciannovesima assoluzione. Nella mia mente scattano alcune cose. In una bellissima lettera al direttore de Il Mattino, una ex dirigente della Protezione civile, Marta di Gennaro, scrive di essere molto contenta di questa ennesima assoluzione di Bassolino e, aggiunge, la prendo anche per me «che non ho avuto la forza di fare ricorso contro il proscioglimento di avvenuta prescrizione, perché non ce la facevo più, dopo tanti anni». Non ce la faceva più. Ecco il tema dei tempi lunghi. Io ce l’ho fatta in questo caso. Ma soltanto io so quello che ho passato per tanti anni. E poteva succedere anche a me di pensare io non ce la faccio ad attendere ancora e non faccio ricorso e mi tengo l’avvenuta prescrizione, che poi non è un problema mio ma della giustizia italiana. Qualche anno fa, quando c’è stata l’assoluzione nel processo più importante, quello sui rifiuti, andai a Firenze, invitato a Palazzo Vecchio per una cerimonia in onore di un ingegnere fiorentino che era venuto a lavorare a Napoli e che era stato coinvolto, come me, nel processo sui rifiuti, e che purtroppo era morto prima della sentenza di assoluzione e non aveva potuto avere la soddisfazione del riconoscimento della sua prima innocenza. Infine, nei giorni scorsi è morto Francesco Nerli. È stato parlamentare della sinistra, presidente del porto di Civitavecchia, per 8 anni presidente del porto di Napoli, presidente dell’associazione che raggruppa tutti i porti italiani, coinvolto in una vicenda giudiziaria che si è conclusa pochi mesi fa, poco prima della sua scomparsa, con la piena assoluzione perché il fatto non sussiste. Francesco Nerli era malato ormai da tempo. Ed è questa malattia che lo ha portato alla fine. Ma è anche indubbio che questa malattia grave si era accompagnata negli ultimi anni ad una grave forma di depressione, di indebolimento di tutte le difese. Era una persona di grandissima competenza. Più volte nel corso degli anni ho pensato che sarebbe stato un ottimo ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, riconosciuto da tutti, anche in Parlamento quando ha fatto il parlamentare, una bella persona. Ecco perché questa, come tante altre vicende di persone appartenenti a diversi schieramenti politici, ci dicono che il tema della giustizia, in primo luogo quello dei suoi lunghissimi tempi, deve essere affrontato con serietà e con impegno dalle forze politiche. E questo tema riguarda i partiti, il mondo della giustizia, ma anche, e tanto, il sistema mediatico, con l’indubbia prevalenza, con il divario insopportabile tra il momento dell’accusa e persino il momento dell’assoluzione. In una visione riformatrice, quello della giustizia è un tema che attiene alla civiltà di un grande Paese come il nostro.
(Il Riformista)