18 Luglio, 2024
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Scoprire il senso civico in pandemia, di Grazia Mosca

Di solito in questo periodo si fa un bilancio dell’anno che sta per chiudersi.

Solo che questo non è stato un anno come tanti: lo abbiamo capito, a nostre spese. Tutti, in questo anno straordinario e singolare, hanno perso qualcosa o, peggio, qualcuno. La pandemia ci ha colto di sorpresa, lasciandoci un senso di inadeguatezza e confusione. Un virus sconosciuto ha stravolto le nostre esistenze, ha cambiato le nostre abitudini, ha sconvolto i nostri piani, costringendoci a rivedere le priorità. Ci è apparso subito chiaro che Il nostro mondo sarebbe cambiato in modo radicale, le cose scontate, le certezze non sarebbero più state tali.

Le difficoltà, però, dopo il primo traumatico impatto, ci hanno spronato a reagire, ad affrontare la realtà e ad aiutarci l’un l’altro. Ci siamo detti: “Uniti saremo più forti e ne usciremo migliori.” Così è stato: pur distanziati, ci sentivamo più comunità, nonostante tutto, per assurdo più vicini. Abbiamo accettato le restrizioni, le rinunce, forti dello slogan “andrà tutto bene”. Abbiamo osservato la distanza, portato mascherine, disinfettato le mani, abbiamo evitato abbracci e strette di mano, sicuri che avrebbe funzionato.

Ben presto, però, quando il ritorno alla vita normale appariva ancora lontano, ha cominciato a insinuarsi l’idea che ci stavano rubando la libertà, la crescente insofferenza verso il protrarsi delle restrizioni ha prevalso sui sentimenti di solidarietà e di empatia che avevamo provato verso gli operatori sanitari, instancabili, e il numero di vittime non faceva più lo stesso effetto.

Ci siamo in qualche modo abituati a convivere con il virus, è diminuita la percezione del pericolo, considerando superficialmente un rischio accettabile il fatto che si ammalino soprattutto anziani con patologie pregresse.

Un mezzo utile ad arginare il numero dei contagi può essere quello del tracciamento degli spostamenti e dell’esposizione a rischio tramite la app Immuni. Condizione necessaria, per avere una significativa attendibilità di questi dati su larga scala, è che sia installata sui cellulari del maggior numero possibile di persone. Malgrado l’assicurazione in fase di progettazione sul mantenimento dell’anonimato, sulla riservatezza dei dati sensibili e della posizione degli utenti, molti non si sono fidati. Attualmente Immuni è stata scaricata dal 12% dei possessori di smartphone tra i 14 e i 75 anni, circa 4,3 milioni di italiani. Una percentuale della popolazione anche di poco inferiore al 60% avrebbe garantito un elevato livello di efficacia, anche se con questi utenti l’app è comunque utile e contribuisce a diminuire il numero di contagi e decessi, seppur in misura minore rispetto a quanto potrebbe fare con più utenti.

Eppure sui social media la cura della privacy non appare un problema: le piattaforme digitali come Google, Facebook, Instagram hanno un accesso illimitato alla sfera privata.

Di fronte alla sorveglianza digitale che già avviene dappertutto, il tracciamento anonimo attraverso l’applicazione anti Coronavirus sarebbe davvero innocuo.

Ecco l’importanza del senso civico, dell’azione comune in una crisi pandemica. Paradossalmente, non servono restrizioni, sacrifici imposti, se le persone rispettano volontariamente le regole sanitarie, senza contare inoltre il risparmio sui controlli che impiegano molto personale e costano parecchio tempo.

Liberalismo e senso civico non devono necessariamente contrapporsi. Cedere all’individualismo e all’egoismo significa fare esattamente il gioco del virus, rendergli la vita facile.

La nostra società, ora più che mai, ha bisogno di un forte concetto dell’agire comune e di responsabilità nei confronti del prossimo.

In questo contesto di crisi, cresce l’esigenza di fornire in varie forme il proprio contributo ad aiutare le persone in difficoltà: accelerano le raccolte fondi in ambito sanitario-ospedaliero o in aiuto alla propria comunità, così come al potenziamento dei servizi di assistenza domiciliare per le persone più fragili del proprio territorio. Si è stimato che con l’emergenza coronavirus si è avuto un incremento di circa il 30% delle donazioni rispetto alla somma totale degli italiani che donano ogni anno ai fini di ricerca scientifica, sanitaria e alle organizzazioni umanitarie e assistenziali.

In particolare, lodevoli sono le iniziative di alcuni importanti imprenditori italiani che hanno devoluto grosse somme per sostenere i propri dipendenti in difficoltà, in seguito alla stasi della produzione nei vari settori. Come anche encomiabile l’iniziativa di alcuni vip e personaggi dello spettacolo, che, forti della popolarità, hanno usato la propria immagine per lanciare sul web raccolte fondi per creare nuovi posti di terapia intensiva negli ospedali. Una mobilitazione di risorse umane e tecnologiche che ha garantito trasparenza e rintracciabilità alla gara di solidarietà.

Secondo recenti dati della Caritas, con sorpresa si osserva che il timore del contagio non ha fermato la solidarietà, tanto da far registrare un aumento del numero di persone che hanno deciso di impegnarsi al servizio delle persone più fragili. Più del 40% dei volontari sono giovani, che hanno scoperto nella situazione di emergenza un forte stimolo a rendersi utili, e a fornire un impegno più continuativo, per compensare la parte di volontari di maggiore età potenzialmente più a rischio.

Ora tutti noi siamo chiamati a valorizzare le nuove forze del volontariato, a sentirci coinvolti in un grande progetto comune, a sentirci partecipi di un percorso condiviso e a costruire risposte concrete. Come disse il ministro tedesco Helmut Schmidt nel 1962: “La forza d’animo si vede in tempo di crisi”.

Prof.ssa Grazia Mosca

 

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