L’ex premier: non c’è alternativa a questo governo
Se Massimo D’Alema dovesse disegnare una nuova carta del mondo, metterebbe l’Artico al centro. Con lo scioglimento dei ghiacci — dice — diventerà il nuovo Mediterraneo, la grande via dei traffici; e anche il luogo privilegiato per la ricerca sui virus e i batteri che emergono dalla lunga glaciazione. «E sa quanti rompighiaccio ha la Russia in zona?». Come al solito mi coglie impreparato. È un gioco di ruolo che facciamo da trent’anni, lui nella parte del docente. Comunque la risposta esatta è 42 navi russe, mentre l’America ne ha una sola; più 60 laboratori cinesi in Groenlandia. Morale della favola: «Il mondo non si è affatto tutto occidentalizzato, come pensavamo. Anzi, l’Ovest non è sempre sulla frontiera avanzata dell’innovazione. La democrazia liberale perde fascino perché i nostri sistemi non riescono più né a mitigare le disuguaglianze né a far funzionare l’ascensore sociale. Ciò nonostante l’Occidente sembra in conflitto con tutti, con la Cina sul commercio, con la Russia sulle sanzioni, con l’Iran sul nucleare, con la Turchia sul Medio Oriente. Credo che oggi ci si dovrebbe occupare di come costruire una strategia di convivenza in un mondo irriducibilmente plurale, diciamo».
L’ex premier italiano presiede oggi l’Advisory Board di Ernst Young,
società di consulenza globale, pezzo da 90 del capitalismo anglosassone, ma è anche consulente dei think tank organizzati intorno alla «Silk Road Initiative» del governo cinese, e molto assiduo a Pechino. Il suo mestiere è dare consigli a chi glieli richiede. Il tratto umano, di solito spigoloso, sembra addolcito e appagato dal nuovo lavoro. Osserva la politica italiana con distacco ecumenico. Il prossimo numero della sua rivista Italianieuropei sarà dedicato alla destra, e ospiterà articoli di Meloni e Giorgetti; ma si occuperà anche del Pci a cent’anni dalla nascita. Non per caso D’Alema tiene ancora nel suo ufficio, seppur pudicamente poggiato per terra, un ritratto del «piccolo padre», Iosif Stalin.
Di recente ha detto che «a sinistra c’è vita».
Gli chiedo dove l’abbia vista, ora che sono chiusi i bar per gli apericena. Risponde che c’è poco da scherzare, alle regionali la sinistra ha retto grazie alla tenuta del Pd, e sta affrontando bene la prova del governo in condizioni terribili. Ma il problema è: come si va avanti? Secondo D’Alema bisogna fare «un partito nuovo». Il ragionamento è questo: «Il Pd era nato con la vocazione maggioritaria; ma non solo non ha raggiunto il 50%, è anche lontano da quel 30% di italiani che si riconoscono nella sinistra. Le formazioni che se ne sono staccate, compresa quella che per ragioni morali ho contribuito a fondare, hanno anch’esse fallito il loro obiettivo politico. Serve una forza nuova, una vera e propria associazione politica. Che abbia degli iscritti, non dico i milioni di un tempo, ma cento, duecentomila persone che possano volersi iscrivere a un partito, abbiano il potere di decidere e non deleghino ai meccanismi casuali delle primarie la selezione della classe dirigente. In più dovrebbe avere una ideologia».
Una ideologia? Nel 2020?
«Certo. Una visione del mondo, un insieme di valori e un’idea del futuro. La destra mondiale è rinata su basi ideologiche: la terra, i confini, la nazione, la religione, l’identità. Come può vivere la sinistra senza idee-guida? Non bastano i programmi per appassionare le persone. E senza partiti non c’è classe dirigente. In Francia la produce lo Stato; ma l’Italia, dopo la morte dei partiti, la famigerata casta, si è afflosciata come un corpo senza più ossatura. Oggi gli strati alti della società si tengono lontani dalla politica, e quelli popolari ne sono esclusi e respinti. Rischiamo di regalarne il monopolio a una classe di déraciné».
D’altra parte il Pd propone oggi un sistema elettorale alla tedesca.
«È giusto, è l’opposto dell’idea di bipartitismo per cui era nato. Se però indichi una soglia di ingresso del 5% ai tuoi potenziali alleati, da Speranza a Renzi, da Calenda a Bonino ai Verdi, che sono tutti intorno o sotto il 3%, senza dar loro nel contempo una prospettiva politica comune su cui convergere, rischi anche di destabilizzare il governo. Il quale è invece senza alternative».
D’Alema non vede in giro niente di meglio del Conte II.
Per lui l’alleanza Pd-M5S andava fatta anche prima, subito dopo le elezioni. Non sarà che considera pure i Cinquestelle una «costola della sinistra»? «Beh, quando prendono tre/quattro milioni di voti alla sinistra e vincono al Sud sulla base di un programma di redistribuzione del reddito, di destra non sembrano».
Difficile però accettare che questo governo sia il migliore possibile,
con una base parlamentare così ristretta e tanta rissosità interna. «Io non ho detto che è il migliore, ho detto che è senza alternative. Certo, se la destra fosse più matura, se riconoscesse che il Covid è una tragedia ben peggiore di quanto aveva predetto, e che l’Europa è oggi per noi la soluzione e non il problema, e si proponesse per un governo di più ampie intese, si potrebbero seguire altre strade. Ma la destra italiana non ha oggi questa maturità».
Dunque — è la previsione dell’«osservatore» D’Alema
— Conte andrà avanti. Con Renzi si troverà un compromesso. E quando poi la minaccia delle elezioni anticipate sarà spuntata dal semestre bianco, si vedrà: «Temo solo la sirena dell’avventura, che prende purtroppo molti politici dei giorni nostri. Al loro confronto perfino Berlusconi appare uno statista».
Metterebbe qualcosa del Pci in questo nuovo partito?
«La serietà, il metodo, la responsabilità dei dirigenti, la qualità della loro formazione. Fu questo a trasformare un partito che era nato per fare la rivoluzione in un pilastro del sistema democratico, come ha notato in un suo libro Andrea Romano, uno dei tanti che ha lavorato in queste stanze».
Chiedo a D’Alema se ha mai pensato a restituire la Legion d’Onore per il caso Regeni.
Dice di aver apprezzato il gesto di chi l’ha fatto. Ma aggiunge che quel simbolo rappresenta il legame con la Francia, la sua storia e la sua cultura, non con Macron. «Piuttosto — aggiunge — mi domando come mai l’Unione Europea abbia deciso le sanzioni alla Russia per l’attentato alla vita di Navalny, e non abbia ancora fatto niente nei confronti dell’Egitto, dove è stato compiuto un delitto sulle cui responsabilità ci sono davvero pochi dubbi: questione giustamente posta anche da Di Maio». Un italiano dovrebbe essere trattato da europeo. Forse dovremmo pretenderlo.
(Corriere della Sera, AntonioPolito)