Patrick George Zaki è esausto e sull’orlo della depressione. Lo studente egiziano dell’Università di Bologna,detenuto in Egitto dall’inizio di febbraio in condizioni disumane per l’accusa di propaganda sovversiva sui social network, fa sentire la sua voce attraverso quella dei suoi genitori. Attraverso la madre che lo ha visto in visita nel carcere di Tora sabato scorso. Soltanto due settimane fa la detenzione di Zaki è stata rinnovata per altri 45 giorni. A niente sono serviti la mobilitazione internazionale e gli appelli di associazioni e di volti noti come quello dell’attrice di Hollywood Scarlett Johansson.
Ancora prima che la Corte Penale si esprimesse, Zaki aveva fatto sapere di dormire per terra dal suo arresto, di soffrire di dolori alla schiena sempre più insistenti e di aver bisogno di antidolorifici. Pochi giorni prima erano stati scarcerati i tre dirigenti della Egyptian Initiative for Personal Rights (Iniziativa egiziana per i diritti personali) con cui collaborava Zaki, su ordine della procura del Cairo. Erano accusati di aver diffuso informazioni false e di aver complottato contro lo Stato.
Zaki invece è stato accusato di istigazione al terrorismo per alcuni post su Facebook. Il caso ha spinto Amnesty International a parlare di “accanimento giudiziario” e a chiedere “un’azione diplomatica” italiana “molto forte” sull’Egitto. I post incriminati sarebbero una decina. Tra i reati contestati anche la “diffusione di notizie false”, “incitamento alla protesta” e “istigazione alla violenza e ai crimini terroristici”. Per i capi dei quali Zaki è accusato, lo studente rischia 25 anni di carcere. I legali dello studente 29enne insistono su un aspetto: i post sarebbero stati pubblicati da un account quasi omonimo ma diverso dal suo.
La dichiarazione della famiglia, come riportata dalla rete di attivisti, sulla pagina Facebook Patrick Libero:
“Nostro figlio è esausto e stufo. Sabato 19 dicembre 2020, la madre di Patrick è andata a trovarlo nel luogo della sua detenzione (prigione di Tora) e quello che le ha detto ha portato la sua famiglia a rilasciare la seguente dichiarazione: Durante la visita, Patrick non era affatto se stesso, era diverso rispetto a qualsiasi altra visita e ci ha letteralmente spezzato il cuore! Le sue esatte parole sono state: ‘Sono fisicamente e mentalmente esausto, non ne posso più di stare qui e mi deprimo ad ogni tappa importante dell’anno accademico mentre sono qui invece che con i miei amici a Bologna’. Parole che ci hanno lasciato in lacrime, dato che siamo incapaci di aiutare nostro figlio in questa situazione straziante.
Inoltre, ci ha sconvolto sapere che è diventato talmente depresso da dire: ‘Raramente esco dalla mia cella durante il giorno, perché non riesco a capire perché sono qui e non voglio affrontare la realtà per cui posso andare a camminare su e giù nel raggio di pochi metri, per poi essere rinchiuso di nuovo in una cella ancora più piccola’. Nostro figlio è una persona innocente e un brillante ricercatore, dovrebbe essere valorizzato, non rinchiuso in una cella. Dieci mesi fa, Patrick stava lavorando al suo master e pensava di terminarlo per poi proseguire con il dottorato di ricerca. Ora come ora, il suo futuro è completamente incerto; non sappiamo quando sarà in grado di continuare gli studi, di lavorare e persino di tornare alla sua vita sociale, un tempo ricca. Chiediamo a ogni persona responsabile e a chi prende le decisioni di rilasciare immediatamente Patrick. Restituiteci nostro figlio e restituiteci tutte le nostre vite”.
(Il Riformista)