22 Dicembre, 2024
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Coronavirus. Così l’albero di Bergamo diventa simbolo del riscatto

L’abete è stato donato dalla val Seriana, doloroso epicentro della prima ondata. La solidarietà dei commercianti e la canzone contro la paura di Mauro, l’infermiere

 

Natalino è nato e cresciuto in val Seriana, l’epicentro del Covid. È alto 15 metri e luccica nella sera di Bergamo. Illumina il Sentierone e accoglie i bambini che corrono a imbucare la lettera di Babbo Natale nella cassetta postale gigante piazzata sotto le sue fronde.

Natalino è l’albero simbolo di queste Feste diverse, sospese tra dolore e speranza: la gente delle valli lo ha regalato alla città, per sentirsi idealmente uniti in giorni che, di nuovo, saranno di forzata distanza. Emozioni e paure continuano a rincorrersi nella terra più martoriata dal virus, una terra che reagisce nell’unica maniera che conosce: rialzarsi in silenzio, aiutandosi l’uno con l’altro, senza piangersi addosso.

I commercianti del centro, nonostante siano messi a dura prova dalle ripetute chiusure, hanno trovato la forza di pensare anche a chi sta peggio. E hanno avviato una raccolta fondi per aiutare il Comune a farsi carico delle spese di chi non può pagare la mensa scolastica dei figli. Un anno fa le famiglie che non riuscivano a saldare la retta erano 105, adesso sono più di 170. La campagna “Accendi un sorriso” è nata per aiutarle. Il testimonial d’eccezione è Natalino, protagonista anche della video favola natalizia pubblicata su YouTube, insieme a un nonno e a un nipote.

La trama è semplice e toccante. A Natale, per precauzione, non si vedranno. Ma Natalino tiene vivo il loro legame. L’anziano ha visto crescere l’abete negli anni e ora lo vede partire per la città, dove abita il bambino. «Quest’anno ci è stato rubato il tempo. Ma la natura ci insegna ad aspettare » dice l’uomo. Poi apparecchia la sua tavola con due piatti, uno per lui e uno per il piccolo, che intanto sorride vedendo l’albero illuminarsi in piazza. «Quando tu tornerai – dice il vecchio – per me sarà sempre e ancora Natale».

Immagini, parole, ma soprattutto molto “non detto”. Il virus non viene nominato, ma continua a incombere sullo sfondo. È lo stesso “nemico invisibile” combattuto nella canzone Nessun secondo dall’infermiere-cantante Mauro Mazzanobile che a marzo, tornando da un turno massacrante in terapia intensiva, pensa di lanciare un messaggio di “resistenza”. Così chiama gli amici del liceo, Andrea Bonalumi e Enzo Mologni, per buttar giù testo e musica: nasce il collettivo Arbièn, che porta anche l’arte in prima linea nella guerra contro il Covid.

Perché se per sconfiggere il morbo servono i farmaci, per superare il trauma c’è bisogno di lasciar scorrere le emozioni. Niente versi tragici, perciò, niente riferimenti cupi. Solo tanta voglia di lottare, di reagire. «La canzone mi ha salvato dal buio di quei giorni – dice Mazzanobile – Mi sono rifugiato nella musica e ho cantato il mio disagio e le mie paure, ma soprattutto la speranza che ci salvassimo l’anima». Di qui l’idea di utilizzare la canzone (anche questo video è su YouTube) per provare a ricostruire, lasciandosi le macerie alle spalle. ‘Nessun secondo’, che è una libera e moderna reinterpretazione del giuramento di Ippocrate, invita a prendersi cura di se stessi ma anche della cultura, altro settore duramente colpito dal Covid.

Tramite una campagna di crowdfunding, gli autori promuovono una raccolta fondi a favore dell’associazione Albanoarte, che svilupperà Saltamuretto, progetto teatrale ‘di coesione sociale’ da mettere in scena nei prossimi mesi sul territorio bergamasco. L’obiettivo è ‘iniettare un vaccino culturale’ che aiuti a guarire dalle ferite lasciate dal Covid nella testa e nel cuore di molti, rielaborando il vissuto di questo terribile 2020 attraverso il palcoscenico. Un progetto per ricordare, ma soprattutto per ripartire. «Vogliamo sensibilizzare le persone al cambiamento e alla resilienza a favore di un mondo diverso e più equo» è l’auspicio di Enzo Mologni. Trovare una direzione nuova, tracciando nuovi sentieri.

Anche attraverso nuovi linguaggi, che aiutino a esprimere le enormi sofferenze patite. «Qui ora io lotto, qui ora combatto, qui ora ritrovo tutto il mio coraggio» dice la canzone. Un ritornello che Bergamo sta provando a imparare a memoria.

 

(Avvenire)

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