19 Novembre, 2024
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Nella distrazione delle feste l’Italia riarma l’Egitto. E non richiama l’ambasciatore

Se ne sono infischiati degli appelli del mondo solidale, delle provocazioni che arrivano dall’Egitto e del dramma di Patrick Zaki, rinchiuso nell’i nferno di Tora, in condizioni psicofisiche degradate.

In sordina. Approfittando delle festività, dei giorni rossi, della nuova querelle nazionale su vaccini sì, vaccini no, vaccini a chi…Se ne sono altamente infischiati degli appelli del mondo solidale, delle provocazioni a getto continuo che arrivano dall’Egitto. Se ne sono fregati del dramma che sta vivendo Patrick Zaki, rinchiuso nella prigione-inferno di Tora, in condizioni psicofisiche sempre più degradate.

Lo scorso 23 dicembre con una cerimonia in sordina e non pubblicizzata (come di solito avviene) è stata consegnata da Fincantieri agli ufficiali della Marina Militare dell’Egitto, presso i cantieri del Muggiano a La Spezia, la fregata multiruolo Fremm Spartaco Schergat, ora ribattezzata “al-Galala”. A denunciarlo, in un comunicato, è la Rete Italiana Pace e Disarmo.  “Il tentativo di temere nascosta la consegna e la successiva partenza alla volta dell’Egitto durante il periodo Natalizio manifesta chiaramente l’imbarazzo da parte del Governo italiano per tutta questa operazione: non solo nessun rappresentante dell’Esecutivo ha partecipato alla cerimonia, ma non ci risulta alcun comunicato ufficiale da parte dei vari Ministeri in qualche modo coinvolti (Ministero della Difesa, degli Affari Esteri e dello Sviluppo Economico). Riteniamo sia inaccettabile non solo questa insolita modalità di consegna (che stride con la sopravvalutazione dell’impatto economico dell’accordo, che invece sarà in perdita) ma tutta l’operazione legata alla vendita di due fregate Fremm all’Egitto. Si tratta infatti, è opportuno ricordarlo, di due navi militari (la Spartaco Schergat e la Emilio Bianchi) originariamente destinate (tanto da essere ormai prossime alla consegna) alla Marina Militare italiana che sono state poi invece vedute all’Egitto senza alcuna comunicazione ufficiale al Parlamento, che negli anni scorsi aveva approvato lo stanziamento dei fondi per la loro produzione e fornitura alla Marina Militare nell’ambito del programma pluriennale di co-produzione con la Francia gestito dal consorzio internazionale Occar.

La Rete Italiana Pace e Disarmo ritiene soprattutto inammissibile che questa ed altre forniture militari all’Egitto, Paese coinvolto nel conflitto in Libia e il cui regime autoritario è responsabile di incarcerazioni persecutorie nei confronti degli attivisti per i diritti umani, vengano concretizzate senza alcun dibattito in Parlamento in chiara violazione della legge 185 del 1990. Una legge che (in piena coerenza con norme internazionali successive ratificate dall’Italia, come il Trattato Attt) regolamenta le esportazioni di sistemi e materiali militari italiani e che prevede che l’esportazione di armamenti sia vietata ‘verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i princìpi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere’ (art. 1. c. 6). L’operazione di vendita è inoltre intollerabile in considerazione della mancata collaborazione da parte delle autorità egiziane a fare chiarezza sul terribile omicidio del nostro connazionale Giulio Regeni e della prolungata incarcerazione del giovane studente Patrick Zaki e di migliaia di attivisti e oppositori politici da parte del regime del generale al Sisi. Non a caso lo scorso 16 dicembre il Parlamento Europeo ha approvato una specifica Risoluzione che denuncia l’aumento delle esecuzioni in Egitto, il ricorso alla pena capitale e le sistematiche violazioni alle libertà di espressione e dei diritti di difesa e nella quale, si esortano gli Stati membri dell’Unione Europea a sospendere la vendita di armi all’Egitto chiedendo “una revisione profonda e completa delle relazioni dell’Ue con l’Egitto”, ivi compresa la possibilità di misure restrittive nei confronti di alti dirigenti responsabili di violazioni dei diritti umani. Tale Risoluzione è stata votata alla vigilia delle mobilitazioni ‘Stop Armi Egitto’ promosse in oltre 30 città italiane dalla Rete Italiana Pace e Disarmo e che hanno visto la partecipazione simbolica di attivisti in rappresentanza di centinaia di organizzazioni della società civile per la pace, il disarmo, la nonviolenza. 

Per tutti questi motivi e in considerazione delle ipotizzate forniture da parte dell’Italia all’Egitto di altre quattro fregate, 20 pattugliatori, unitamente a 24 caccia multiruolo Eurofighter e 20 aerei addestratori M346 ed altro materiale militare del valore tra i 9 e gli 11 miliardi di euro rinnoviamo al Governo la richiesta di sottoporre l’intera questione all’attenzione delle Camere e in tal senso esortiamo il Parlamento a richiedere con urgenza un dibattito approfondito sulle esportazioni di sistemi militari all’Egitto”.

Lo Stato di polizia all’ombra delle Piramidi

Nell’Egitto di al-Sisi i “desaparecidos” si contano ormai a decine di migliaia. E più della metà dei detenuti nelle carceri lo sono per motivi politici. Per contenerli, il governo ha dovuto costruire 19 nuove strutture carcerarie. Un conteggio ufficiale non è stato fatto, ma attivisti per i diritti umani egiziani, con la garanzia dell’anonimato per non fare una brutta fine, hanno detto a Globalist che un conteggio in difetto, porta a non meno di 43.000 desaparecidos. Per comprendere l’enormità di questo crimine, va ricordato che, tra il 1976 e il 1983, in Argentina, sotto il regime della Giunta militare, sono scomparsi fino a 30.000 dissidenti o sospettati tali – 9.000 accertati secondo i rapporti ufficiali della Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas (Conadep) – su 40.000 vittime totali.

Il generale-presidente esercita un potere che si ramifica in tutta la società attraverso l’esercito, la polizia, le bande paramilitari e i servizi segreti, i famigerati Mukhabarat, quasi sempre più di uno. Al-Sisi si pone all’apice di un triangolo, quello dello Stato-ombra: esercito, Ministero degli Interni (e l’Nsa, la National Security Agency.) e Gis (General Intelligence Service, i servizi segreti esterni).   Se lo standard di sicurezza si misurasse sul numero degli oppositori incarcerati, l’Egitto di al-Sisi I° sarebbe tra i Paesi più sicuri al mondo: recenti rapporti delle più autorevoli organizzazioni internazionali per i diritti umani, da Human Rights Watch ad Amnesty International, calcolano in oltre  60mila i detenuti politici (un numero pari all’intera popolazione carceraria italiana): membri dei fuorilegge Fratelli musulmani, ma anche blogger, attivisti per i diritti umani, avvocati…Tutti accusati di attentare alla sicurezza dello Stato.

Chi costruisce il suo potere su un sistema repressivo così radicato e tentacolare, non teme certo le parole. Ma le sanzioni, sì. Soprattutto economiche, vista la grave crisi in cui versa l’Egitto e il malessere e la rabbia sociali che il regime del presidente-carceriere prova a contenere con un mix di repressione e promesse che restano tali. Sanzioni mirate, dunque. Mirate ai conti bancari, all’estero, di quella nomenklatura militare-affaristica che si è arricchita sotto Mubarak e continua a farlo con al-Sisi. E poi, stop alla vendita di armi ad un regime che le usa per reprimere nel sangue le proteste interne e per dettar legge, in competizione con la Turchia del “sultano” Erdogan, in Libia, in Siria, nel Nord Africa tutto.

“Dall’inizio del 2020 – scrive Pierfrancesco Curzi sul fattoquotidiano.it – , stando a quanto riferito da un report del centro anti tortura El Nadim del Cairo, sono stati 68 i detenuti morti per ‘cause naturali’ (nella prigione di Tora): ‘La maggior parte di queste persone non aveva ricevuto adeguate cure sanitarie e il deterioramento dei loro quadri clinici ne ha causato la morte. La mancata cura dei detenuti è un crimine paragonabile al tentato omicidio’ denuncia Aida Seif Elldawla del centro El Nadim. Nulla di nuovo, in fondo la crudeltà del penitenziario di Tora è sempre stata elevata, anche durante i regimi che hanno preceduto l’epoca di Abdel Fattah al-Sisi. Qualcosa però deve essere accaduto di recente: ‘Il giro di vite sulle cure ai detenuti da parte delle autorità carcerarie si è notevolmente rafforzato dallo scorso mese di novembre – aggiunge la responsabile di El Nadim -. Non era mai capitato che ci arrivassero così tante denunce da parte delle famiglie e degli avvocati dei detenuti. Nel solo mese di novembre sono state ben 17 e alcune sono davvero urgenti. Soggetti con infarti cardiaci alle spalle, altri che hanno bisogno urgente di interventi chirurgici, diabetici, addirittura un caso di morbo di Parkinson. Ripeto, non so cosa sia successo di recente per scatenare l’irrigidimento delle autorità. In questo momento c’è un caso urgente, in particolare, che ci preoccupa. Si tratta di Hisham Fouad, giornalista e politico, in cella a Tora esattamente da un anno e mezzo. Hisham è una persona molto riservata e difficilmente si lamenta. Stavolta ha lanciato un grido d’aiuto perché sta davvero male. Temiamo per la sua sorte’.

La “sisificazione” della stampa

“L’Egitto, dalla sua indipendenza nel 1956, non ha mai avuto un momento di pace. Quasi ogni famiglia conta un parente arrestato o scomparso a causa dei regimi. Ma con l’avvento del presidente Abdel Fattah Al-Sisi la situazione è peggiorata: se prima esisteva una linea rossa che nessuno superava e una certa libertà d’informazione, oggi quella linea non esiste più, ogni violazione o abuso è concesso. Quanto ai media, hanno subito un processo di ‘sisificazione’ diventando megafono del governo”. Ad affermarlo è il portavoce di Amnesty International Riccardo Noury, intervenendo al webinar ‘Da Mubarak ad Al-Sisi: Il destino degli attivisti in Egitto’.

Noury ha denunciato che dal 2013 “sono aumentati esponenzialmente i detenuti di coscienza, vale a dire attivisti, giornalisti o intellettuali ‘etichettati’ come terroristi islamisti dalla stampa filogovernativa”. Un tipo di stampa che è ormai prevalente, ha riferito il portavoce, grazie alle “all’acquisto, proposto con ingenti somme di denaro, da parte di esponenti delle forze armate vicini al generale al-Sisi”. Proposte a cui “testate ed emittenti, soprattutto indipendenti, non hanno potuto opporsi sia per oggettive difficoltà economiche sia perché hanno subito minacce”.

La “‘sisificazione’ della stampa” e la “creazione del nemico” che ne deriva, ha continuato Noury, servono a “motivare gli abusi, gli arresti o le detenzioni arbitrarie. Nel caso di Patrick Zaki ad esempio, la tesi del terrorista islamista non si poteva perseguire dal momento che lo studente appartiene a una famiglia copto-cristiana. Ecco perché è stato denigrato in quanto difensore dei diritti degli omosessuali”, in una società che considera l’omosessualità “immorale”.

Il risultato, ha avvertito Noury, è che gli egiziani “vivono nell’angoscia di non sapere cosa sarà del loro futuro, sempre timorosi di vedere agenti di polizia arrivare nel cuore della notte a portarli via per reati illegali o indefiniti. Può capitare che due giornalisti scrivano la stessa cosa, ma solo uno dei due venga incriminato per il suo lavoro”, gettando le persone “nello sconforto di non capire cosa poter fare o meno”. Alla luce di queste violazioni il portavoce di Amnesty ha fatto nuovamente appello a una presa di posizione forte da parte dell’Italia: “Il nostro Paese è quello che ha maggiore influenza sull’Egitto. Bisogna richiamare l’ambasciatore Giampaolo Cantini per dargli istruzioni nuove sulla politica da perseguire al Cairo, frutto di una strategia chiara e ragionata”, in modo da fare pressione “sul caso Regeni, ma anche sul caso Zaki e delle migliaia di detenuti egiziani”.

Lo scorso 16 dicembre il Parlamento Europeo ha approvato una specifica Risoluzione che denuncia l’aumento delle esecuzioni in Egitto, il ricorso alla pena capitale e le sistematiche violazioni alle libertà di espressione e dei diritti di difesa e nella quale, esortando gli Stati membri dell’Unione Europea a sospendere la vendita di armi all’Egitto chiedendo “una revisione profonda e completa delle relazioni dell’Ue con l’Egitto”.

Invece di richiamare l’ambasciatore, spediamo le fregate vendute al presidente-carceriere egiziano. E lo facciamo in sordina…Neanche il coraggio di metterci la faccia.

(Globalist)

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